Il commento

Data protection, il difficile rapporto degli americani con la Privacy

di Roberto Capocelli, Privacy Italia, giornalista specializzato in economia e relazioni internazionali |

La recente normativa approvata dal Congresso americano che permetterà ai fornitori di servizi internet di poter vendere i dati di navigazione degli utenti senza chiedere autorizzazione ha alzato numerose critiche verso il neo presidente Usa, tanto per cambiare.

Innanzitutto sgomberiamo il campo da ogni possibile equivoco o strumentalizzazione: la privacy delle informazioni personali, sensibili e dei dati degli utenti rappresenta indiscutibilmente un diritto inviolabile, addirittura un diritto umano, se dipendesse da me.

Fatta questa doverosa premessa è opportuno guardare con un po’ più di attenzione agli eventi americani, in particolare alla recente normativa approvata dal Congresso che permetterà ai fornitori di servizi internet di poter vendere i dati di navigazione degli utenti senza chiedere l’autorizzazione.

L’oltraggio pubblico contro la scelta dell’amministrazione repubblicana è rimbalzato sui social network, naturalmente, favorito dal facile bersaglio che la figura del presidente Donald Trump offre per il suo carico mediatico (caratteristica di cui, per altro, è anche lui responsabile).

La questione però non è se siamo di fronte, come viene raccontato, ad una battaglia fra libertà e tirannia, fra sorveglianza orwelliana e diritto alla riservatezza; del resto la logica digitale sta alla semplificazione, come la narrativa dominante alla mistificazione.
Cioè qui non si tratta di scegliere se la privacy dei cittadini debba vivere o morire, ma soltanto di scegliere di che morte debba morire. Per carità pur sempre una scelta, se proprio ci vogliamo accontentare.

La storia delle nostre navigazioni, i nostri acquisti, le nostre preferenze, i messaggi che ci scambiamo, le nostre posizioni nello spazio e nel tempo sono, infatti, già disponibili ai soliti noti che attraverso l’uso di app, beacon e cookies tracciano la nostra navigazione, profilandoci in maniera sofisticatissima. Dati che, naturalmente, vengono venduti producendo profitti a dieci zeri: l’intero modello di business dei più grandi colossi digitali si basa su questo meccanismo.

Certo c’è una differenza; il servizio offerto da Google e Facebook è gratuito, mentre quello degli ISP si paga. Quisquilie, avrebbe detto Toto’.
Chiudiamo gli occhi e pensiamoci un attimo; proviamo ad andare indietro nel tempo a quando esistevano le cabine telefoniche, la SIP e i telefoni fissi Bigrigio. Ora immaginiamo una legge che autorizza la compagnia telefonica a vendere il dettaglio dei nostri tabulati agli inserzionisti pubblicitari. Si possono facilmente vedere, continuando questo gioco dell’immaginazione, milioni di persone in strada a protestare, forse addirittura una crisi di governo.

Oggi, il controllo su dati ben più dettagliati dei semplici tabulati telefonici ai tempi del fisso, è accettato quasi senza resistenza, anche se proprio attraverso questo controllo passa un aspetto chiave della sovranità degli stati e della libertà degli individui.

Ecco, nel gioco a far finta di non capire che dalla questione della proprietà dei dati e dei canali attraverso cui vengono condivisi passa la battaglia per la democrazia, Trump non ha fatto altro che allargare i posti a tavola del fruttuoso business da pochissimi a pochi. Forse ha addirittura aumentato la competizione e creato le condizioni perché si passi da una monarchia a un oligopolio e, se siamo fortunati, ad un semplice cartello.

Un atto quasi liberale nella illiberalità del contesto attuale in materia di privacy.