Data protection

Data mining su Facebook, succede ai Giochi del Commonwealth. Proteste della Privacy foundation australiana

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In Australia scoppia il caso Gold Cost: per accedere al WiFi super veloce e ai servizi in città si deve autorizzare la raccolta di dati tramite gli account Facebook dei visitatori. Critiche dall’Australian Privacy Foundation: “Non c’è un consenso davvero informato”.

Dal 4 al 15 aprile presso la città australiana di Gold Cost si terrà la XXI edizione dei Giochi del Commonwealth. Atletica leggera, rugby, pallacanestro, nuoto, ciclismo, pugilato, tennis tavolo, sono tante le discipline che vedranno sfidarsi centinaia di atleti provenienti da tutti i Paesi appartenenti al vecchio Commonwealth.

L’amministrazione pubblica di Gold Cost, per l’occasione, ha pensato di offrire alle migliaia di visitatori ed appassionati sportivi in arrivo un nuovo servizio gratuito di WiFi super veloce, tramite il quale accedere ai tanti servizi di nuova generazione pensati proprio per l’utente dei Giochi che ha bisogno di muoversi rapidamente in città, di trovare posti per mangiare, dormire, divertirsi e i classici punti di interesse.

Basta accettare le condizioni di utilizzo, al momento della registrazione al servizio, che implicitamente autorizzano l’amministrazione pubblica a raccogliere i dati personali dei visitatori tramite il loro account Facebook.

Sostanzialmente, si autorizza il data mining di Facebook.

Niente di oscuro e poco trasparente, si sono affrettati a spiegare dal municipio di Gold Cost: “Si tratta di un uso limitato dei dati in questione – ha spiegato al quotidiano The Guardian un portavoce dell’amministrazione cittadina – non saranno mai condivisi con terze parti e comunque riguardano solo alcuni set di dati, come il Paese e la città di origine, stato sociale, tipo di utilizzo che si fa del device, quanto tempo si passa online e che tipo di navigazione si effettua tramite il Wifi”.

Nessuna “analisi retrospettiva” sui dati relativi alle persone, hanno precisato dall’amministrazione locale, “ciò che raccoglieremo sono solo informazioni utili a migliorare la nostra offerta di servizi in città per turisti, viaggiatori e sportivi”.

Non la pensa però allo stesso modo l’Australian Privacy Foundation (APF), che ha criticato l’iniziativa di Gold Cost, troppo poco pubblicizzata, non supportata da una campagna informativa di comunicazione più chiara e che dovrebbe chiedere direttamente all’utente un consenso davvero informato: “è quello che si dovrebbe fare ogni qualvolta si raccolgono dati personali relativi agli utenti di un servizio”, ha spiegato David Vaile, presidente APF.

Il Consiglio cittadino ha l’obbligo della massima trasparenza, deve preoccuparsi di informare nel dettaglio i cittadini e i visitatori del tipo di utilizzo che si fa dei loro dati, nel momento in cui si accedere ad un servizio pubblico”, ha precisato Vaile.

Qui si tratta solo di fare click e di fleggare un consenso, che non può dirsi davvero informato, perché non c’è il tempo per l’utente di rendersi conto di che tipo di gestione dei dati si tratti”.

L’amministrazione cittadina ha assicurato che il rispetto della privacy e delle regole per il trattamento dei dati personali “sarà rigoroso”, ma è chiaro che il pensiero di tutti va al nuovo datagate che vede coinvolto proprio Facebook, nella spinosa faccenda dei dati raccolti da Cambridge Analytica poi illecitamente condivisi con terzi.

Il servizio Wifi in questione è costato alla città di Gold Cost oltre 5 milioni di dollari ed è considerato il primo passo per la diffusione della banda ultralarga sul territorio urbano e soprattutto nei luoghi turistici più frequentati, come Surfers Paradise, Southport e Broadbeach.

Un ulteriore problema sollevato dall’APF è legato al principio guida che dovrebbe ispirare un’amministrazione pubblica moderna e che sembra non sia stato rispettato a Gold Cost.

In effetti, chi eventualmente non volesse concedere l’autorizzazione alla raccolta dei propri dati personali tramite l’account Facebook avrebbe comunque modo di fruire del servizio WiFi offerta dalla città, ma ad una velocità notevolmente minore, così come avrebbe modo di accedere ai servizi offerti, ma non tutti e solo per certe applicazioni.

Una scelta degli organizzatori che fa pensare ad un data mining pubblico che tende a discriminare ed escludere, invece che includere e coinvolgere.

La privacy non può essere una discriminante, ma soprattutto, nel momento in cui tutti i dati personali dei cittadini vanno tutelati ugualmente allo stesso modo, non può mai trasformarsi in merce di scambio.