Un mondo che si va riempiendo di data center, Italia al 13° posto
Il nostro Paese non è molto grande, in termini di superficie siamo piccoli rispetto a giganti come Russia, Cina, Stati Uniti, Canada, Australia, Brasile o India. Paesi con vasti spazi in cui realizzare infrastrutture strategiche come i data center. Eppure, nonostante le difficoltà burocratiche e finanziarie e il tentativo di non compromettere oltremodo il nostro fragile territorio, che perdipiù mostra caratteristiche orografiche uniche, troviamo il modo di costruirne anche noi.
Secondo gli ultimi aggiornamenti della Data Center Map, l’Italia raggiunge il 13° posto al mondo per numero di data center realizzati sul territorio nazionale, 179 in totale (erano 153 a dicembre 2024).
Un numero pari a quello registrato in Russia, di poco inferiore a Giappone (184), Brasile (185) e Paesi Bassi (193) che ci precedono.
La classifica vede occupare i posti più alti dagli Stati Uniti, con 3.828 data center), seguiti dalla Germania (457), il Regno Unito (445), la Cina (362), il Canada (277), la Francia (273), l’India (265) e l’Australia (259).
Un ottimo risultato, anche considerando il ruolo chiave giocato da queste infrastrutture tecnologiche per la crescita e lo sviluppo economico del Paese e per l’implementazione dei servizi cloud e delle soluzioni di intelligenza artificiale impiegate ormai in ogni campo del sapere e settore industriale.
Siamo quarti in Europa (o quinti se contiamo anche la Gran Bretagna)
Restringendo il campo all’Unione europea, siamo al quarto posto dopo la Germania, la Francia e come visto l’Olanda. Se vogliamo invece considerare la dimensione continentale, saremmo quindi, perché al secondo posto ci sarebbe la Gran Bretagna.
Andando nel dettaglio della distribuzione territoriale nazionale dei data center proposta dalla mappa, il 38% delle infrastrutture si trova nell’area di Milano, che ne conta 65 in totale, seguita a distanza da Roma con 19, e Torino, con 11.
A livello regionale, al primo posto troviamo la Lombardia, ovviamente, seguita dal Lazio (21) e poi da Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna e Toscana.
Data center e vantaggi strategici
L’Italia può consolidare la sua posizione come hub tecnologico e digitale strategico nel Mediterraneo, facilitando il flusso di dati tra Europa, Medio Oriente e Africa. Questo attira ulteriori investimenti e innovazione.
La presenza di data center sul territorio riduce la latenza (il tempo necessario per il trasferimento dei dati), migliorando la velocità e l’affidabilità dei servizi digitali per cittadini e imprese. Questo è cruciale per applicazioni che richiedono risposte in tempo reale, come l’edge computing, la guida autonoma o la telemedicina.
Avere data center nazionali o comunque sul territorio europeo può contribuire grandemente alla sovranità digitale, garantendo che i dati sensibili siano archiviati e gestiti secondo le normative locali (come il GDPR), aumentando la sicurezza e la fiducia.
Investimenti crescenti, ma anche tante le sfide da affrontare
Come riportato da La Repubblica, gli investimenti in costruzione, approvvigionamento e riempimento di server IT per nuove infrastrutture in Italia possono arrivare a 23 miliardi di euro entro il 2030. Un aumento significativo, considerando che gli investimenti in data center nel biennio 2023-2024 si sono fermati a 5 miliardi di euro.
Questo processo di crescita sarà accompagnato da un aumento del volume di dati, che passerà da 149 a oltre 394 zettabyte, con conseguente incremento dei consumi energetici ed idrici da non sottovalutare (i primi per il costo dell’energia elettrica, in Italia altissimo, i secondi per i sempre più ricorrenti periodi di siccità e le anomalie negative di precipitazioni che si susseguono in questi anni).
I dati indicano che i data center hanno un impatto significativo sul consumo di acqua, e l’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) ha sollevato preoccupazioni riguardo a questo aspetto. L’aumento del numero di data center e della loro potenza computazionale porta a un maggiore consumo di energia, che a sua volta richiede un raffreddamento a base d’acqua, e quindi un aumento del consumo idrico. L’ASviS, in particolare, ha evidenziato che l’Italia deve ancora affrontare con decisione le sfide legate all’efficienza idrica, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030.