Analisi

Da Netflix a Cinetel: quando i numeri producono qualche confusione

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Netflix pubblica dati, parziali, sulle ore di fruizione a livello mondiale di 18mila titoli del suo catalogo, ma la presenza di opere “made in Italy” è marginale: sui primi 1.000 titoli ha uno “share” dello 0,3 %.

È trascorsa una decina di giorni dalla ultima sortita di IsICult – Istituto italiano per l’Industria Culturale sulle colonne del quotidiano online “Key4biz” (vedi il nostro intervento “Dal Ministero della Cultura alla Rai: quando gli elefanti partoriscono i topolini” su “Key4biz” del 6 dicembre 2023), e quel che denunciamo si è riproposto: non è sufficiente offrire alla comunità professionale ed alla cittadinanza tutta dei “numeri” – per cercare di comprendere alcuni “fenomeni” (mediali o sociali che siano) –, ma ci si deve anche sforzare di fornire adeguate chiavi di lettura, strumenti di interpretazione critica.

Altrimenti si rientra nel gioco della fantasia, della numerologia ad effetto, dei dati sparati con l’obiettivo di impressionare, senza cura alcuna della affidabilità: si rinnovano quelli che tante volte abbiamo definito – anche su queste colonne – i fuochi d’artificio numerici.

Grande è stata l’attenzione a livello internazionale (un po’ meno in Italia) per quella che Netflix ha definito addirittura una svolta epocale ovvero “una pietra miliare per la nostra industria” (così ha sostenuto il Co-Ceo di Netflix, Ted Sarandos): per la prima volta, martedì scorso 12 dicembre, la multinazionale statunitense ha reso di pubblico dominio un database di circa 18mila titoli, intitolato “What We Watched”, ovvero “A Netflix Engagement Report”, uno studio che verrà pubblicato due volte l’anno (a cadenza giustappunto semestrale), che riporta i dati totali di “ore” di visione, sebbene con molti… “arrotondamenti”.

Il gruppo con sede centrale a Los Gatos ha annunciato che d’ora in poi provvederà a divulgare i “numeri” dei titoli più visti a livello globale, ovvero planetario.

Netflix: una improvvisa vocazione alla trasparenza?

Va ricordato che questa improvvisa vocazione alla “trasparenza” (ovvero ad una “trasparenza a metà”, formula che spesso abbiamo utilizzato su queste colonne) non è un tardivo conato di coscienza pubblica, ma è una delle conseguenze della lotta durata mesi tra i sindacati di Hollywood ed i principali “studios”, scioperi grazie ai quali scrittori ed attori hanno ottenuto maggiori compensi per il proprio lavoro a favore dello “streaming”: la loro retribuzione, nella parte variabile, è correlata ai dati relativi alla fruizione delle opere da parte degli spettatori…

Stupisce osservare che la notizia della divulgazione da parte di Netflix non era stata nemmeno registrata dalle agenzie stampa italiane e batte tutti sul tempo una rinnovata dichiarazione entusiasta della sempre ottimista Sottosegretaria alla Cultura Lucia Borgonzoni: la senatrice leghista, alle ore 20:12 di mercoledì 12 dicembre, chiede al suo ufficio stampa di diramare un comunicato che viene intitolato:Audiovisivo, Borgonzoni: “Da Netflix decisione di portata storica””.

Questo il Borgonzoni-pensiero: “la decisione di Netflix di divulgare i dati relativi alle ore di visione globali di oltre 18mila titoli in catalogo registrati nel primo semestre 2023 ha una portata storica e apre la strada alla consapevolezza e alla trasparenza. È la dimostrazione del fatto che quanto caldeggiato dal Ministero della Cultura fosse un obiettivo raggiungibile e utile per l’intero sistema cinematografico e dell’audiovisivo. Ringrazio il co-Ceo di Netflix Ted Sarandos per avermi messa a parte di questo importante messaggio nelle nostre interlocuzioni, avvenute nei giorni scorsi”.

Siamo lieti, da cittadini italiani, che Netflix avesse comunicato questa sua “storica” decisione, evidentemente in anteprima, alla Sottosegretaria italiana che ha ricevuto dal Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano la delega per il cinema e l’audiovisivo e le industrie culturali e creative.

Ci sorprende però la frase con cui il comunicato della senatrice si chiude: “il Sottosegretario Borgonzoni conclude congratulandosi con i produttori, gli interpreti e tutti i lavoratori per gli straordinari risultati raggiunti dai titoli italiani ‘La legge di Lidia Poët’, ‘Il mio nome è vendetta’ e ‘Mare Fuori’”.

Or bene: con quale criterio numerico, numerologico, oggettivo, serio… si manifestano simili “congratulazioni”?!

Congratulazioni, per cosa, di grazia?!

La logica è forse quella del “meglio poco che nulla”?!

I dati oggettivi: la prima serie televisiva italiana presente nel database è “La legge di Lidia Poet” (stagione 1), diretta da Matteo Rovere e Letizia Lamartire (una produzione Groenlandia), con Matilde De Angelis, ed il primo film italiano con più ore di visione è “ll Mio Nome è Vendetta” di Cosimo Gomez con Alessandro Gassmann (una produzione Colorado Film).

Le ore viste sono rispettivamente 85 milioni per la serie “La legge di Lidia Poet” e 31,1 milioni di ore per “Il mio nome è Vendetta”. Terza e quarta nell’elenco, emerge la serie “Mare Fuori”, con 31,0 milioni di euro, sia nella prima sia nella seconda stagione. Quinto il film “Era ora” di Alessandro Aronadio, con Edoardo Leo e Barbara Ronchi, con 30,8 milioni di ore…

Se è vero che la serie italiana è stata citata, durante la conferenza stampa di martedì 12, dalla Vice Presidente Netflix per Strategia ed Analisi, Lauren Smith, tra i “titoli non in lingua inglese” più popolari nell’ultimo anno, non ci sembra che questo risultato possa essere considerato eccezionale.

Si ricorda – en passant – che “La legge di Lidia Poet” è uscita il 15 febbraio 2023 su Netflix, dopo l’evento di presentazione tenutosi il 13 febbraio a Torino: è liberamente tratta dalla storia vera di Lidia Poët, la giovane torinese che fu la prima donna d’Italia ad entrare nell’Ordine degli Avvocati…

Le “approssimazioni” metodologiche del database di Netflix “What We Watched – A Netflix Engagement Report”

Varie sono le criticità ovvero i deficit di questo database pubblicato da Netflix, per renderlo funzionale ad una graduatoria metodologicamente valida (e con un senso logico, peraltro): anzitutto, il numero delle ore fruite deve essere ponderato, ovvero ricalcolato su base oraria, considerando che una serie può durare 10 ore ed un film cinematografico dura invece generalmente 1,5 ore…

Abbiamo analizzato il foglio elettronico e sono emerse poi varie approssimazioni metodologiche, che abbiamo sottoposto a Netflix, ovvero specificamente alla gentile Francesca Carotti, Senior Manager Communications per l’Italia, ovvero per l’Emea (ovvero Europe, Middle East, and Africa) della multinazionale, e che qui di seguito opportunamente riportiamo, a vantaggio dei lettori più attenti ed appassionati…

Abbiamo cortesemente chiesto a Netflix se fosse possibile acquisire un database “esteso”, ovvero contenente i seguenti dati:

  • nome e cognome del regista;
  • nome della società di produzione (la principale) e nazionalità del produttore dell’opera;
  • durata complessiva dell’opera;
  • quantità di Paesi nei quali l’opera è stata offerta nelle “library” e magari identità delle nazioni.

Si tratta di informazioni, a parte l’ultima, tutte accessibili da fonti pubbliche.

Abbiamo poi obiettato e domandato a Netflix: perché i dati sono forniti con notevoli approssimazione (giustappunto “rounded to 100,000 hours viewed”, recita la stringata nota metodologica proposta).?!

Per capirci, dal programma n° 12.518 all’ultimo ovvero al n° 18.114, le ore di fruizione sono tutte indifferentemente indicate come “200.000 ore”, e, dal n° 14.408, come “100.000 ore”; questa procedura di (incomprensibile) approssimazione rende non granché significativa la colonna, dato che le opere che hanno meno (ma hanno “meno” di 200.000 o “circa”?!?) rappresentano oltre il 30 % del totale delle opere analizzate… in effetti, sorprende in particolare il passaggio dal record n° 14.407, ultimo tra quelli a quota “200.000 ore”, al record n° 14.408, che è il primo a quota “100.000 ore”: quale è il discrimine tra l’ultima classifica a quota 200mila e la prima classificata a quota 100mila?! Sarebbe più corretto, statisticamente, indicare “superiore a” o “inferiore a” ed utilizzare classi come suggerirebbe anche uno studente universitario al 1° anno della facoltà di statistica…

Si converrà che il livello di “approssimazione” appare veramente eccessivo…

Francesca Carotti ha così risposto alle nostre richieste: “come avrà avuto modo di riscontrare, il report da noi reso disponibile due giorni fa include una grande mole di dati”, concludendo, in modo netto quanto sbrigativo, “non abbiamo altre informazioni da condividere”.

IsICult ha preso atto di questa chiusura a riccio della multinazionale di Los Gatos e sta lavorando ad alcune originali elaborazioni del database, che pubblicheremo nei prossimi giorni.

Netflix ed “i 190 Paesi” nei quali offre il suo catalogo: una mitologia autoreferenziale da sfatare? Il 75 % del catalogo non è classificato “globally”

A naso, ci sembra però di poter sostenere che quella dei “190 Paesi” nei quali Netflix dichiara di distribuire le opere sia una sorta di novella mitologia da sfatare: in una scena divenuta ormai “cult” del suo ultimo film, “Il Sol dell’Avvenire”, Nanni Moretti, interpretando il regista che va a chiedere a Netflix di intervenire economicamente nella produzione del suo film, si ritrova dei funzionari che gli ripetono quasi ossessivamente che i Paesi nei quali i film sono distribuiti dalla piattaforma “sono 190”, a dimostrazione che consentono una chance di distribuzione fino a poco tempo fa impensabile… (Si ricordi che le nazioni aderenti all’Onu sono attualmente 193.)

Va segnalato che, dei 18.214 titoli presenti nel database pubblicato il 12 dicembre 2023 da Netflix ben 13.700 titoli non sono classificati come “globally”: si tratta di ben il 75 % del totale del catalogo.

Quelli classificati da Netflix come “globally” sono soltanto 4.514, corrispondenti ad un 25 % del totale.

Non è possibile comprendere se e in quali Paesi (a parte quello di origine, nell’offerta della piattaforma) sono distribuiti quei titoli non classificati come “globally”, mentre si può ipotizzare che quelli classificati come “globally” siano effettivamente disponibili nei succitati (mitici) 190 Paesi.

È interessante osservare che limitando l’analisi ai primi 1.000 titoli (del totale di 18.214), il rapporto tra “globali” e “non globali” cambia significativamente, perché 512 titoli su 1.000 sono classificati come “globally”.

Si segnala che il titolo che ha registrato la maggior quantità di ore fruite in assoluto è il thriller politico statunitense “The Night Agent”, diretta da Shawn Ryan (prodotto da Sony Pictures Television), che ha registrato, nel primo semestre dell’anno, 813 milioni di ore di visione (il dato è riferito alla prima stagione, 10 episodi da 55 minuti ognuno).

Si tratta di una quota di circa l’0,86 % sul totale complessivo di 93,5 miliardi di ore (per la “precisione”, si tratta di 93.455.200.000 ore). Questo dato corrisponde al 99 % di tutto ciò che è stato visionato sulla piattaforma dal pubblico nel primo semestre dell’anno. Gli abbonati a Netflix sono nell’ordine di 250 milioni in tutto il mondo.

I primi 1.000 titoli dei 18.214 del catalogo Netflix assorbono il 57 % del totale delle ore viste

Si consideri che il totale di ore fruite dagli spettatori dei primi 1.000 titoli (sul totale di 18.214) è di 53,8 miliardi di ore, corrispondenti al 56,7 % del totale delle ore viste a livello planetario nel semestre, a conferma di un notevole livello di concentrazione dei titoli di maggior successo.

Focalizzando l’attenzione sui primi 1.000 titoli, alla luce delle prime elaborazioni curate da IsICult, emergerebbero soltanto 7 opere “made in Italy”, che qui ordiniamo in sequenza decrescente per ore fruite (ricordando che il dato è “sporco” perché si dovrebbero differenziare le opere in funzione della durata, soprattutto tra serie tv e film cinematografici, ma procederemo presto a produrre una più accurata elaborazione):

Clicca sulla tabella per ingrandirla

Complessivamente, quindi, queste 7 opere audiovisive italiane (corrispondenti allo 0,7 % del totale dei titoli dei primi 1.000 titoli) hanno raccolto 265 milioni di ore di fruizione, corrispondenti allo 0,3 % per cento del totale delle ore viste di 93,5 miliardi.

L’audiovisivo italiano su Netflix a livello planetario: 0,3 % del totale delle ore fruite

È evidente che questo calcolo di “ore fruite” è un indicatore mediologico ben altro rispetto al classico “share” televisivo cui ci ha abituati Auditel, ma possiamo senza dubbio sostenere che, sui primi 1.000 titoli di maggior successo, l’audiovisivo italiano registra una quota di mercato corrispondente ad un modesto (anzi misero) 0,3 per cento (dicesi zero-tre-per-cento)!

Insomma, riteniamo che l’entusiasmo della Sottosegretaria Lucia Borgonzoni vada proprio ridimensionato ovvero ricondotto a più miti riflessioni…

E forse la “promozione internazionale” del “made in Italy” audiovisivo ha necessità di ben altro, rispetto al ruolo (più teorico che reale) di una Netflix, che è meno “benefattrice” o “generosa” di quel che vuole apparire.

Quando IsICult presenterà il proprio report di elaborazioni potranno svilupparsi altre interessanti considerazioni, ma per ora si ritiene di poter sostenere che sia in atto un’abile operazione comunicazionale di Neflix, che si autopromuove come soggetto che stimola un innovativo pluralismo espressivo ed una politica commerciale “democratica” multiculturale-globale che… non siamo convinti corrisponda a vera verità.

Il corrispondente da Los Angeles del quotidiano “Financial Times” Christopher Grimes (in un articolo pubblicato giovedì della scorsa settimana 14 dicembre, intitolato “Watching brief. Netflix reveals viewing data accross its entire catalogue for the first time”) riporta il parere di Jeremy Zimmer, Chief Executive della “talent agency” Uta, che sostiene che “Netflix ha aspettato a rendere pubblici questi dati fino a quando ha ritenuto che il beneficio risultasse maggiore del costo”… Da segnalare che nel primo trimestre del 2022 la “grande N” ha perso abbonati per la prima volta in 10 anni ed ha registrato un notevole calo delle entrate. Per aumentare i guadagni, l’azienda ha posto fine alla condivisione delle password, ha aumentato i prezzi e ha lanciato un livello di offerta supportato da pubblicità.

L’export audiovisivo italiano tra i 106 e 152 milioni di euro nell’anno 2022?

Queste considerazioni ci consentono di avviare una ulteriore riflessione su un altro set di dati (e analisi) che è stato promosso, nella stessa giornata di martedì scorso 12 dicembre, dalle due maggiori “lobby” dell’industria cinematografica ed audiovisiva, l’Anica (cinema) e l’Apa (tv), che hanno affidato alla società di consulenza specializzata eMedia (fondata e guidata da Emilio Pucci) una ricerca sul fatturato da estero delle società di produzione cinematografica e audiovisiva italiane: anche in questo caso, dati parziali (vedi supra, alla voce “trasparenza a metà”) e stime piuttosto approssimative (molto elastiche)… L’export audiovisivo italiano viene stimato da eMedia in una forbice (assai larga, si converrà) oscillante tra un minimo di 106 ad un massimo di 156 milioni di euro per l’anno 2022. Torneremo presto su queste ed altre elaborazioni.

E, nel mentre, alcuni (anzi molti) continuano ad “ubriacarsi” con una lettura parziale dei dati Cinetel, società di rilevazioni di Anica (produttori e distributori) ed Anec (esercenti) che rende pubblica soltanto una minima parte delle proprie elaborazioni: gli incassi del “box office” del cinema italiano sembrano veleggiare su quote incoraggianti, ma, negli ultimi mesi, la quasi totalità di questo (pseudo) successo è dovuto al fenomeno “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi

Segnaliamo, ad onor di verità (e per ridimensionare gli entusiasmi infondati) che, nel cosiddetto “fine settimana” cinematografico – da giovedì 14 a domenica 17 dicembre 2023 – in Italia i cinematografi hanno registrato complessivamente 1,086 milioni di spettatori, con un incasso complessivo di 7,8 milioni di euro.

Di questi, i film italiani (72 titoli su 217 distribuiti in sala) hanno registrato 381mila spettatori, corrispondenti al 35 % del totale, a fronte di incassi per 2,6 milioni di euro, corrispondenti al 33 %. Questi dati, però, se vengono rielaborati “al netto” del fenomeno-Cortellesi, scendono a 289mila spettatori e a 2 milioni, ovvero rispettivamente al 27 % e 26 %… E si ricordi che la “coda” di “C’è ancora domani” è ormai in fase assolutamente discendente (il film è uscito in sala il 26 ottobre).

Prima di iniettarsi in vena flebo di entusiasmo (e letture della realtà elaborate inforcando gli occhiali con montatura e lenti rosa à la “Barbie”), sarebbe sempre meglio far riferimento all’invito di Renzo Arbore: “meditate gente, meditate”.

E si tenga sempre a mente quel che Albert Einstein scrisse sulla lavagna del suo studio all’Università di Princeton (che è anche uno degli slogan fatti propri da IsICult fin dalla sua fondazione nel 1992): “non tutto ciò che può essere contato conta, e non tutto ciò che conta può essere contato”.

[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.