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Covid-19, Amazon e il controllo dei lavoratori via software. Tutto lecito?

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Nonostante il mancato raggiungimento di accordi con i sindacati, Amazon ha ottenuto il via libera all’installazione nei magazzini italiani di Proxemics, un software che, agendo insieme alle telecamere di sorveglianza, verifica il rispetto della distanza di sicurezza prevista dagli ormai “famigerati” protocolli anti - covid.

La rubrica “Digital & Law” è curata da D&L Net e offre una lettura delle materie dell’innovazione digitale da una prospettiva che sia in grado di offrire piena padronanza degli strumenti e dei diritti digitali, anche ai non addetti ai lavori. Per consultare tutti gli articoli clicca qui.

Con molto anticipo rispetto all’avvicinarsi del black friday previsto per il 27 novembre (per tradizione il “venerdì nero” è quello successivo alla festività americana del Giorno del Ringraziamento, data che tradizionalmente dà il via agli acquisti natalizi), Amazon è tornata ad infiammare i rapporti con le rappresentanze dei lavoratori.

Nonostante il mancato raggiungimento di accordi con i sindacati, infatti, ha ottenuto il via libera all’installazione nei magazzini italiani di Proxemics, un software che, agendo insieme alle telecamere di sorveglianza, verifica il rispetto della distanza di sicurezza prevista dagli ormai “famigerati” protocolli anti – covid.

Il software si integra con la rete di videosorveglianza e, con una prima applicazione, distance assistant, in grado di analizzare le immagini, che vengono appositamente sfocate (pixellate) per evitare l’identificazione dei lavoratori: misurando la distanza tra i pixel, emette un alert se essa è inferiore a due metri.

Il software è in funzione nelle aree comuni, per “regolare” la presenza e l’occupazione degli spazi e per assicurare il necessario distanziamento.

Se questa è l’intuibile motivazione del colosso americano con diversi magazzini nel nostro Paese, immaginabile la posizione, diametralmente opposta, dei sindacati, che ne denunciano la superfluità e una illecita invasività, lamentando come l’Ispettorato del Lavoro competente possa non aver attentamente controllato, in loco, il funzionamento del software.

Il controllo dei lavoratori dopo il Jobs Act

Con il Jobs Act il divieto generale che nello Statuto dei Lavoratori impediva l’uso “di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” è scomparso.

Attualmente, infatti, gli impianti e gli strumenti audiovisivi come le telecamere, da cui possa derivare la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere impiegati, anche se solamente per finalità determinate e specifiche (esigenze organizzative e produttive; sicurezza sul lavoro e tutela del patrimonio aziendale) da installare solo previo accordo collettivo stipulato con le RSU o le RSA ovvero con le associazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti possono essere installati previa autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.

Il divieto, che comunque rimane, di controllo a distanza, prevede inoltre due esplicite eccezioni: per gli strumenti utilizzati per rendere la prestazione lavorativa e per gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

Per quanto riguarda gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti che consentono il controllo a distanza, vige il divieto di installazione che è, però, superabile in presenza di esigenze specifiche e con l’accordo sindacale – autorizzazione dell’INL.: nei fatti è noto che le telecamere siano ampiamente utilizzate nel contesto aziendale.

Su tali premesse normative intervengono le purtroppo note vicende determinate dall’espandersi e dal perdurare della pandemia da Covid-19: i Protocolli aziendali succedutisi dall’aprile scorso impongono ai datori di lavoro l’osservanza di strette misure anti contagio, riassumibili nelle necessità, oltre che di igiene personale, di fornire i lavoratori di dispositivi di protezione individuale e di assicurare e mantenere la distanza interpersonale anche nelle attività lavorative di volta in volta consentite.

Si tratta di verificare se l’applicazione del software che abbiamo visto sopra e la sua interazione con le videocamere possa essere ritenuta legittima.

La posizione del Garante su sistemi per mantenimento e il controllo del distanziamento

La posizione del Garante italiano in tema di contenimento del rischio di contagio sul luogo di lavoro è piuttosto chiara: l’Autorità specifica che sono disponibili applicativi “che non comportano il trattamento di dati personali riferiti a soggetti identificati o identificabili”, ossia che non consentono di associare e ulteriormente registrare il rilevamento effettuato ad un determinato soggetto.

Il Garante evidenzia come esistono “applicazioni che effettuano il conteggio del numero delle persone che entrano ed escono da un determinato luogo”, attivando un determinato segnale, come un “semaforo rosso al superamento di un prestabilito numero di persone contemporaneamente presenti”; oppure “dispositivi indossabili che emettono un avviso sonoro o una vibrazione in caso di superamento della soglia di distanziamento fisico prestabilita (dunque senza tracciare chi indossa il dispositivo e senza registrare alcuna informazione)”.

Altri dispositivi ritenuti legittimamente utilizzabili sono “applicativi collegati ai tornelli di ingresso che, attraverso un rilevatore di immagini, consentono l’accesso solo a persone che indossano una mascherina (senza registrare alcuna immagine o altra informazione).

In presenza di uno strumento che, utilizzato per la finalità di contenimento del contagio, come previsto dalle numerose disposizioni in vigore,

  • non consenta in alcun modo l’identificazione del soggetto inquadrato;
  • non registri la sessione;

si dovrebbe optare per la legittimità dell’utilizzo stesso, ferma restando la necessità:

  • della previa autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro;
  • di una adeguata e confacente valutazione di impatto, in base alle disposizioni del Regolamento Europeo in materia di trattamento e protezione dei dati personali.

Articolo di Andrea Broglia, avvocato – componente D&L Network