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Copyright Ue. Le reazioni alla riforma tra link tax, filtri e rischio censura

Ieri è arrivato il primo passo per l’avvio dell’iter legislativo dell’attesa riforma del copyright nell’Unione europea. La commissione giuridica del Parlamento europeo (Juri) ha deciso di avviare così un lungo percorso, che vedrà ulteriori votazioni (come quella del 2 luglio prossimo) e che terminerà a Strasburgo molto probabilmente nella prima parte del 2019.

Come si legge sulle pagine online della SIAE, tutto nasce da un’idea: “Il diritto d’autore consente all’autore di poter disporre in modo esclusivo delle sue opere, di rivendicarne la paternità, di decidere se e quando pubblicarle, di opporsi ad ogni loro modificazione, di autorizzarne ogni tipo di utilizzazione e di ricevere i relativi compensi, retribuzione dovuta a chi ha creato un’opera”.

Negli ultimi anni, con la diffusione rapida e ed inarrestabile di internet, tutti possono entrare in possesso di idee ed opere altrui sfruttandole economicamente. La pirateria digitale e online, in questo, ha dimostrato quanto dannosa possa essere l’attività di contraffazione e appropriazione dell’ingegno di altri.

Secondo l’annuale indagine FAPAV, Federazione per la Tutela dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali, condotta in collaborazione con Ipsos, i danni economici all’industria culturale e creativa solo in Italia nel 2016 sono stati pari a 1,2miliardi di euro, per 6.500 posti di lavoro andati in fumo.

I parlamentari europei sono partiti da qui per affrontare il tema dei diritti d’autore, ma inevitabilmente si è accesa una disputa sul carattere repressivo del provvedimento, addirittura censorio secondo alcuni, o invece garante dei diritti di proprietà intellettuale delle opere, soprattutto editoriali.

Due gli articoli su cui si punta il dito: l’articolo 11, o “Link tax”, e l’articolo 13, ribattezzato “Censorship machine”.

L’articolo 11, o tassa sui link, obbliga chi utilizza gli snippet, le anteprime degli articoli di giornale, ad avere il permesso di farlo tramite apposita licenza concessa dagli editori stessi. La norma dovrebbe mettere al bando i classici aggregatori di notizie e soprattutto contenere il modello di business ritenuto dannoso per l’industria editoriale nel suo complesso.

L’articolo 13, invece, o “macchina per la censura”, impone alle piattaforme online di controllare costantemente il comportamento degli utenti registrati per evitare la violazione del copyright nel moment oin cui si postano e si caricano immagini, video e contenuti editoriali senza relative autorizzazioni.

Per rendere efficace questo meccanismo, spiegano gli europarlamentari, si immagina un database comunitario per le licenze di copyright.

Secondo molti questa misura potrebbe limitare fortemente alcuni diritti fondamentali del web, dall’espressione alla parola, fino alla satira, imbavagliando così il popolo 2.0.

Disposizioni, si legge dalle pagine online dello Studio Cataldi, che, secondo il relatore del provvedimento nella commissione Ue, Alex Voss, sono “doverose”, giacchè, “creatori e editori di notizie devono adattarsi al nuovo mondo di Internet come funziona oggi”. Spesso, infatti, ricorda l’europarlamentare, “editori e autori di notiziepiù piccoli’ non sono pagati a causa delle pratiche di potenti piattaforme di condivisione dei contenuti online e aggregatori di notizie“.

In tal modo, prosegue l’europarlamentare, “si correggerebbe dunque questo modo di fare sbagliato, applicando un’equa retribuzione per il lavoro svolto a tutti sia nel mondo fisico che online“.

Pro e contro il provvedimento si stanno già sfidando sul web a colpi di dichiarazioni.

La nostra SIAE, Società italiana degli autori ed editori, ad esempio, “accoglie con favore il risultato del voto di oggi della Commissione Giuridica del Parlamento UE sulla modernizzazione del diritto d’autore nel mercato unico digitale”.

“Siamo nella giusta direzione per garantire indipendenza e libertà per chi crea, favorendo al tempo stesso la fruizione dei contenuti creativi in rete – ha commentato il Presidente di SIAE, Filippo SugarLa proposta di direttiva indica come strada maestra la collaborazione tra piattaforme, titolari dei diritti e società degli autori ed editori”.

Critica, invece, la voce dell’Unione nazionale consumatori (UNC), secondo cui nell’86% dei casi il consumatore medio non conosce i contenuti della direttiva copyright: “Secondo una nostra survey lanciata per capire quanto ne sanno i consumatori sulla proposta di Direttiva nel mercato unico digitale, risulta che l’86% dei consumatori non ne ha mai sentito parlare o non ne conosce neanche vagamente i contenuti. Si tratta di dati allarmanti”, ha affermato il presidente dell’UNC, Massimiliano Dona.

Eppure, il 93% dei consumatori italiani ritiene che internet sia un canale fondamentale di informazione mentre ben il 76% dei consumatori dichiara di accedere alle notizie attraverso social, aggregatori, motori di ricerca”.

Dalle pagine di Key4biz, Michele Mezza attacca il progetto di riforma, perché è “una strategia miope che colpisce la circolarità dei contenuti e non costringe i service provider a mettere a disposizione degli utenti le proprie potenze tecnologiche”.

Nel testo del provvedimento sono state inoltre individuate delle norme contraddittorie che, accusano i consumatori del Beuc (Bureau Européen des Unions de Consommateurs, organizzazione europea dei consumatori), rischiano di “obbligare le piattaforme a filtrare in modo sistematico i contenuti che gli utenti vogliono caricare“, perché se “la giusta remunerazione dei creatori è importante“, è anche vero che “i consumatori non devono essere la parte perdente“.

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