La riforma

Copyright, la sfida di Google all’Europa e la mancanza di un modello di business diversificato

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Forte azione di lobbying di Google per impedire il varo finale della riforma Ue sul diritto d’autore, con i piccoli editori schiacciati sul motore di ricerca e la possibilità di ristabilire il principio di equo compenso. Il punto è: si può continuare così o è forse l’ora di rivedere il modello di business?

L’Unione europea è riuscita a superare l’ennesimo ostacolo nel suo percorso verso l’approvazione della riforma del copyright. Dopo mesi di confronti, scontri, accordi, tavoli saltati e poi ricomposti, con il voto di venerdì scorso, la riforma del diritto d’autore in Europa fa un passo in avanti ed entrata nella sua fase finale.

Manca ancora qualche passaggio, uno proprio in questi giorni, con il confronto in sede di Trilogo tra i rappresentanti della Commissione europea, del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea.

Una direttiva contestata da associazioni di categoria e in generale dai giganti del web, che vedono fortemente ridotta la libertà d’azione in rete invocando improbabili censure, ma soprattutto contrastata con tutte le sue forze da Google.

Secondo l’articolo 13 della direttiva, infatti, uno dei più contestati, le piattaforme come YouTube sarebbero obbligate a filtrare e rimuovere il materiale coperto da diritti d’autore caricato illecitamente dai singoli utenti in violazione dei diritti di proprietà intellettuale.

Su questo era stata lanciata nei mesi passasti una petizione contro l’articolo 13, che alla fine ha raccolto più di 4,5 milioni di firme.

Google si è impegnata molto per far saltare la riforma e lo ha fatto con ogni mezzo, attraverso una pesantissima campagna di lobbying nel tentativo di far saltare il tavolo e lasciare tutto quanto così com’è.

C’è molto in gioco, sia per Google, sia per gli editori”, ha dichiarato Robert Guthrie, partner dello studio legale internazionale Osborne Clarke.

Il voto favorevole alla riforma darà la possibilità ai grandi editori di rinegoziare le licenze con Google, mentre cresceranno i timori dei piccoli editori che si vedranno o schiacciati su Google o semplicemente tagliati fuori”.

Come detto, Google ha fatto di tutto per far saltare il tavolo, anche annunciando dei test sulla piattaforma Google News, applicando le nuove regole in termini di diritto d’autore, che ovviamente avevano dato esito fortemente negativo, con un calo del traffico verso gli editori di notizie anche del 45%.

Google non guadagna con le notizie di per sé, ma col traffico e per l’87% con le campagne pubblicitarie (oltre 95 miliardi di dollari di fatturato nel 2017).

Le conseguenze peggiori”, secondo il direttore operativo dell’aggregatore ed editore NewsNow, Greg Witham, “sono tutte per i piccoli editori, che per sopravvivere fanno affidamento proprio sui motori di ricerca”, quelli come Google.

Altro aspetto chiave nella vicenda è quello espresso da François Godard, analista presso Enders Analysis, secondo cui “la crisi che si aperta con questa riforma è il sintomo chiaro della mancanza di un modello di business diversificato”.

Affidarsi a Google e alla pubblicità digitale sta portando i piccoli editori in un vicolo cieco e deve essere chiaro a tutti che la pubblicità digitale non finanzia il giornalismo”.

La direttiva, se arrivasse così com’è al varo finale, farebbe perdere un sacco di soldi ai giganti del web, quindi anche a Google, ma è anche vero che queste grandi organizzazioni troverebbero comunque il modo di adattarsi e continuare a fare business.

Al contrario, sarebbe un risultato invece estremamente positivo per il mondo della cultura e delle imprese dell’industria creativa, che si vedrebbero riconosciuti dei diritti di cui già erano detentori, con il legittimo riconoscimento sia dell’equo compenso’ pagato dai Big del web ad editori di giornali, giornalisti e autori di contenuti protetti dal copyright, sia della responsabilità per gli Ott dei contenuti illegali condivisi dagli utenti sulle piattaforme da loro gestite.