Anche Rai, cinema e teatro

Copyright, adottata la direttiva. Cosa cambia per l’equo compenso a editori, autori, giornalisti e artisti

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I primi 2 errori dei nuovi diarchi Rai, i decreti legislativi su diritto d’autore e Smav, Roma come nuova sede dell’agenzia europea per la cultura, e 5 milioni per promuovere il cinema in sala e il teatro.

La prima settimana di agosto ha evidenziato una notevole effervescenza di iniziative, che non ci sembra siano state oggetto di adeguata attenzione da parte della stampa quotidiana e dei media “mainstream” (fatte salve rarissime eccezioni), e quindi qui cerchiamo di ricostruire lo scenario complessivo.

Partiamo dai dettagli, anche perché notoriamente il diavolo si annida lì: nell’audizione di mercoledì sera 4 agosto davanti alla Commissione parlamentare bicamerale di Vigilanza, la neo Presidente (non vuole essere chiamata “Presidentessa”, ha precisato) Marinella Soldi ed il neo Amministratore Delegato Carlo Fuortes hanno commesso due errori, che saranno anche errorini ma possono essere sintomatici di quel piglio semplificatorio-decisionista che corre il rischio di trascurare dettagli emblematici… 

La Presidente ha sostenuto che l’azionista della Rai è il Ministero del Tesoro: è vero, ma è vero soltanto per il 99,56 per cento, dato che esiste un secondo azionista, che è la Società Italiana Autori Editori (Siae), che detiene lo 0,44 %. 

Dettagli? Forse sì nella forma, ma non nella sostanza, perché, se esiste un secondo azionista, è perché evidentemente lo Stato, nel corso dei secoli, ha ritenuto di voler riconoscere – almeno simbolicamente – il ruolo che gli autori hanno ne “la più grande industria culturale del Paese”. 

E Siae rappresenta peraltro circa 100mila, tra autori ed editori, ovvero la gran parte della spina dorsale della creatività d’Italia. Che, poi, per ragioni varie ed eventuali, Siae abbia ritenuto, nel corso del tempo, di non premere sull’acceleratore del proprio ruolo di socio di minoranza in Rai, è questione altra: anche in occasione delle designazioni di Presidente ed Amministratore Delegato da parte del Governo, risulterebbe che Siae sia stata silente (ed assente nell’Assemblea che ha approvato il bilancio di esercizio 2021). Un errore politico e simbolico, riteniamo, e ci piacerebbe registrare l’opinione del Presidente Giulio Rapetti alias Mogol e del Direttore Generale Gaetano Blandini, in materia.

E che dire dell’Amministratore Delegato Carlo Fuortes, che ha sostenuto che i tagli al budget del bilancio previsionale 2021 sarebbero stati approvati “all’unanimità” nella riunione del Consiglio di Amministrazione del 28 luglio? Errore: è di pubblico dominio che un membro del Cda (e non uno qualsiasi, bensì l’unico eletto dai dipendenti della Rai) ovvero Riccardo Laganà si è astenuto. Dettaglio? Non tanto, perché temiamo che possa essere sintomatico di una visione “semplificatoria” – nella prospettiva “decisionista” – della gestione di una macchina complessa qual è la Rai. 

Altri hanno sostenuto che, seppur è “cosa buona e giusta” lavorare per il pareggio di bilancio, una impresa atipica qual è la Rai dovrebbe puntare ad obiettivi prioritari altri rispetto alla gerarchia dell’economico: Fuortes ha in effetti più volte evocato, durante l’audizione, lo spettro del “rischio di portare i libri in tribunale”. Ha certamente ragione a preoccuparsi (siamo stati i primi in Italia, su queste colonne, a proporre una analisi critica del bilancio di esercizio 2020 – vedi “Key4biz” del 23 luglio 2021 “Dossier IsICult: bilancio di esercizio e bilancio sociale Rai, entrambi allarmanti” – ed a segnalare l’incremento impressionante della situazione economico-finanziaria di Viale Mazzini), ma non riteniamo che possa e debba essere questa “la priorità n° 1”.

La priorità assoluta è la rigenerazione del profilo identitario della Rai nel nuovo scenario mediale: “cosa” deve essere il servizio pubblico multimediale, e quali sono le risorse economiche di cui ha assoluta necessità per affrontare le nuove sfide. Altrimenti, si è costretti a vivacchiare, in una passiva deriva identitaria.

Dalla Presidente e dall’Amministratore Delegato, non abbiamo ascoltato in verità parole nette e chiare, e quindi temiamo che nessuno dei due abbia ricevuto dal Presidente del Consiglio una indicazione di “mission” precisa, se non il vago “rimettere a posto i conti”. 

Attendiamo fiduciosi l’esito dello studio – anche sotto l’ombrellone (o a bordo di uno yacht?) – dei diarchi su “cosa” intendono per “servizio pubblico radiotelevisivo” (ovvero multimediale): quale Rai hanno in mente?!

A parte il consigliere Riccardo Laganà, in effetti, nessuna pubblica sortita degli altri membri del consiglio di amministrazione: non una intervista, non una dichiarazione. Immaginiamo che questa compostezza e discrezionesia stata richiesta dall’Ad e dalla Presidente, ma… è in controtendenza rispetto ad una storia della Rai che è anche fatta (ed anche ricca) di policentrismo espressivo e di differenziazioni politiche.

Riccardo Laganà (membro cda Rai eletto dai dipendenti) si astiene sui tagli al bilancio 2021: “necessario prima un progetto industriale e editoriale basato su risorse congrue per il servizio pubblico”

La presa di posizione del consigliere Riccardo Laganà merita essere rilanciata: “rispetto alle ipotesi di tagli, ho chiesto di sapere il criterio e gli eventuali impatti in termini di qualità del prodotto, ore di trasmissione ed eventuali problematiche gestionali delle direzioni sottoposte ai tagli. L’Ad ha risposto che tali interventi sono stati meticolosamente ponderati grazie alle strutture competenti e che, essendo mediamente di modesta entità, non impatteranno in alcun modo in termini di prodotto. Ho ribadito comunque la necessità di aprire un confronto sindacale, laddove i tagli possano impattare su offerta informativa e maggiorazioni. Ho cercato di spiegare con esempi concreti quelle che temo essere le conseguenze pratiche di tali misure con la stagione produttiva autunnale in fase di avvio. Ho chiesto altresì di intervenire su appalti costosi, collaborazioni munifiche, contratti a società di produzione che di solito hanno sempre avuto garantito la loro parte di budget mentre le evidenze di questi giorni mostrano come è il pieno utilizzo delle risorse interne a garantire risparmi oltre che qualità e innovazione del prodotto. Ci saranno aggiornamenti rispetto alle ipotesi prospettate ma in ogni caso rimane la mia forte preoccupazione”. Ed ha concluso: “è necessario prima un progetto industriale e editoriale basato su risorse congrue e certe per adempiere a tutti gli obblighi di servizio pubblico”.

Durante la lunga audizione (oltre due ore) seral-notturna di fronte alla commissione bicamerale presieduta da Alberto Barachini (Forza Italia), Fuortes ha ribadito che i tagli apportati (non lineari bensì sartoriali, come abbiamo segnalato su queste colonne) non avranno alcun impatto sui palinsesti imminenti ed in generale sulla complessiva offerta editoriale. Non ha reso di pubblico dominio il set di dati, limitandosi a segnalare che il budget di Rai 1scenderebbe a 124 milioni di euro, con una modesta riduzione di soltanto 825mila euro, altresì dicasi per i 53 milioni di Rai 3 con un calo di 859mila euro soltanto, ed il budget di Rai Digital scenderebbe a 7,8 milioni con un “taglietto” di appena 100mila euro… Nulla è dato sapere per le strutture della holding ovvero della cosiddetta Corporate (ComunicazioneMarketingRai per il Sociale…) ma giunge voce di tagli significativi, che possono indebolire il già deficitario “sistema informativo” aziendale (non ci riferiamo qui a quello finanziario, ovviamente). Con il rischio di nocumento certamente non “visibile” nell’immediato (palinsesti e offerta), ma pericoloso nel medio-lungo periodo…

In relazione all’audizione, ci limitiamo a segnalare quanto rare siano state le domande efficaci e mirate dei tanti parlamentari intervenuti, tra i quali meritano essere segnalati Valeria Fedeli (Pd), Daniela Santanché (Lega) e Federico Mollicone (Fratelli d’Italia). Per il resto, molta noia e debolezza di interventi…

Finalmente adottata la direttiva dell’Unione Europea sul diritto d’autore e sui diritti connessi

La giornata di ieri, giovedì 5, ha visto la celebrazione, da parte del Ministro Dario Franceschini, di un buon successo: in serata, l’ufficio stampa del Ministero della Cultura ha diramato un lungo comunicato, che ben sintetizza quel che è accaduto: la tanto attesa e controversa (contestata dai “giganti del web”) direttiva dell’Unione Europea sul diritto d’autore è stata finalmente adottata. 

Si tratta della attuazione della direttiva (Ue) 2019/790 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le Direttive 96/9/Ce e 2001/29/Ce. In sintesi, si tratta della “Direttiva 790/2019”, cosiddetta “Direttiva Copyright”.

Il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema preliminare di decreto legislativo che recepisce la Direttiva Ue 2019/790 sul “diritto d’autore” e sui “diritti connessi” nel mercato unico digitale, che passa quindi all’esame del Parlamento (le commissioni competenti debbono esprimere un parere, che però non è vincolante), per poi essere adottato definitivamente dal CdM. 

Il percorso è ancora lungo e – come sempre – lastricato di rischi, ma un passo importante è stato compiuto. 

Il Ministro Dario Franceschini rivendica che vengono finalmente adottate norme chiare e meccanismi trasparenti e adeguati all’era digitale: “con il recepimento della direttiva copyright, viene rafforzata la tutela degli autori e degli artisti con norme chiare e meccanismi trasparenti e adeguati all’era digitale. Nell’elaborare questo provvedimento, condiviso con tutte le realtà del settore, si è deciso di prediligere la tutela degli autori, dando loro il giusto rilievo. Senza il gesto creativo, non c’è contenuto: di questo bisogna tener conto lungo tutta la filiera del settore, tanto più considerando il notevole salto tecnologico conosciuto negli ultimi anni. Il valore autoriale, così come quello degli artisti interpreti ed esecutori, deve essere difeso, anche attraverso una maggior trasparenza da parte delle piattaforme digitale dell’utilizzo dell’opera creativa”.

Il testo è il frutto di un lungo lavoro con il Dipartimento per l’Editoria e le altre amministrazioni coinvolte, nonché di un intenso dialogo con le associazioni e le rappresentanze di categoria del settore, che sono state audite da ultimo anche nel mese di luglio 2021, sotto la guida del Capo di Gabinetto del Ministero, l’avvocato Lorenzo Casini (giurista, docente di diritto amministrativo, autore tra l’altro di un recente saggio che merita essere letto: “Lo Stato nell’era di Google. Frontiere e sfide globali”, pubblicato ad aprile 2020 da Mondadori Educational, 120 pagine, 12 euro), avvalendosi del Comitato Consultivo Permanente sul Diritto d’Autore.

La Direttiva modernizza il quadro giuridico dell’Unione Europea in materia di diritto d’autore, adattandolo all’ambiente digitale contemporaneo, e cercando di assicurare così un elevato livello di protezione del diritto d’autore e dei diritti connessi. Gli sviluppi tecnologici hanno mutato considerevolmente il contesto della fruizione dei contenuti creativi, rendendo necessario porre rimedio alle problematiche legate alla circolazione incontrollata delle opere dell’ingegno attraverso l’aggiornamento delle norme sul diritto d’autore, per adattarle alle modalità di accesso ai contenuti online da parte degli utenti.

Il provvedimento europeo definisce un quadro completo in cui il materiale protetto dal diritto d’autore, i titolari dei diritti, gli editori, i prestatori di servizi e gli utenti possano beneficiare di norme più chiare, trasparenti e adeguate all’era digitale.

La responsabilità delle piattaforme per le violazioni del copyright

Nel recepire la direttiva europea, lo schema di decreto legislativo adottato dal Consiglio dei Ministri prevede che le “piattaforme online” (inclusi i “social network”), quando concedono l’accesso al pubblico a opere protette dal diritto d’autore caricate dai loro utenti, hanno l’obbligo di ottenere un’autorizzazione da parte dei titolari dei diritti (sono escluse, tra gli altri, le “enciclopedie online”, i repertori didattici e scientifici, i prestatori di mercati online, i servizi “cloud”).

Viene introdotto un nuovo diritto connesso a favore degli editori dei giornali, per l’utilizzo online dei loro contenuti da parte dei prestatori di servizi delle società dell’informazione, delle società di monitoraggio media e rassegne stampa. Viene riconosciuta agli editori la possibilità di negoziare accordi con tali soggetti per vedersi riconosciuta un’equa remunerazione per l’utilizzo dei contenuti da loro prodotti. È previsto altresì il diritto degli autori dei contenuti giornalistici a ricevere una quota dei proventi attribuiti agli editori (quota oscillante tra il 2 ed il 5% dell’equo compenso). 

Il diritto non è riconosciuto né in caso di utilizzi privati o non commerciali di pubblicazioni giornalistiche da parte di singoli utilizzatori, né in caso di collegamenti ipertestuali o di utilizzo di singole parole o di estratti molto brevi. 

Notoriamente, la definizione di “estratto molto breve” è polisemica e dovrà essere oggetto di approfondimenti tecnici adeguati (in una versione di lavoro era stato introdotto il limite dei 150 caratteri…) da parte dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni).

L’Agcom dovrà adottare un apposito regolamento, che individui i criteri per la determinazione dell’equo compenso e che orienti la negoziazione tra le parti. 

Alcuni osservatori sostengono che questo recepimento italico vada oltre quei criteri minimi che la Direttiva europea ha introdotto, e limiti la libertà contrattuale delle parti (favorendo eccessivamente gli editori), col rischio di ricorsi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. 

Secondo Marco Pancini, Responsabile delle Relazioni Pubbliche di YouTube per l’area Emea e quindi anche per l’Italia, questo testo approvato dal Governo non sarebbe in linea con il testo originale della Direttiva…Vedremo.

Accesso ai dati, per poter misurare il diritto d’autore: introdotti alcuni “obblighi di trasparenza”, multa fino all’1 % del fatturato

Viene introdotto l’obbligo di informazione a carico dei prestatori di servizi online, che devono mettere a disposizione alla parte interessata ogni dato idoneo a determinare la misura dell’“equo compenso”. Su questo adempimento, andrà a vigilare l’Agcom che, in caso di mancata comunicazione dei dati, applica una sanzione amministrativa pecuniaria fino all’1 % del fatturato

In effetti, non si può concretizzare una migliore e soprattutto concreta tutela degli autori e degli artisti (così come degli editori) se permane una assoluta cortina fumogena non soltanto sugli algoritmi, ma soprattutto sul databasedi utilizzazione dei contenuti da parte degli utenti sulle varie piattaforme.

Vengono quindi introdotti alcuni obblighi di trasparenza: autori, artisti interpreti ed esecutori devono poter ottenere regolarmente informazioni aggiornate e complete sullo sfruttamento delle loro opere dai soggetti cui hanno concesso in licenza o trasferito i diritti. 

La mancata comunicazione delle informazioni comporta, a carico del soggetto inadempiente, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino all’1% del fatturato da parte di Agcom.

Inoltre, questo eventuale inadempimento costituisce una presunzione legale di inadeguatezza del compenso in favore dei titolari dei diritti.

Viene anche introdotto un meccanismo di “adeguamento contrattuale”: gli autori e gli artisti interpreti o esecutori possono pretendere una remunerazione ulteriore, se quella inizialmente pattuita si rilevasse sproporzionatamente bassa rispetto ai proventi generati dallo sfruttamento delle loro opere.

Introdotto anche un diritto dell’autore e dell’artista di revocare la licenza esclusiva di sfruttamento dei propri diritti relativi a un’opera in caso di mancato sfruttamento.

Introduzione del principio della remunerazione adeguata e proporzionata al valore potenziale o effettivo dei diritti concessi, nonché commisurata ai ricavi che derivano dal loro sfruttamento.

Previste anche alcune estensioni delle tutele: anche gli spettacoli teatrali in streaming vengono equiparati a opere audiovisive per la tutela dei diritti; la tutela dei diritti è assicurata anche per nuove figure professionali quali il direttore del doppiaggio e l’adattatore dei dialoghi…

Torneremo presto su questo “dossier”, che merita approfondimento ed attenzione.

Un’altra attuazione di leggi europee: nuovo “Testo unico dei servizi media audiovisivi” (Direttiva Smav). Meno pubblicità alla Rai, più alle tv commerciali e più obblighi di investimento per Netflix

Da segnalare che il Consiglio dei Ministri di ieri giovedì 5 agosto ha approvato, in esame preliminare, ben 12 decreti legislativi di attuazione di norme europee.

Interessano qui altri 2 decreti in particolare (il primo soprattutto):

  • l’attuazione della Direttiva (Ue) 2018/1808 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, recante modifica della direttiva 2010/13/Ue, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di “servizi di media audiovisivi”, in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato;
  • l’attuazione della Direttiva (Ue) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, che istituisce il “Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche”.

I due decreti legislativi recepiscono direttive comunitarie che regolano nel loro insieme le telecomunicazioni, la radiotelevisione ed i media.

Per quanto riguarda il “Testo unico dei servizi media audiovisivi”, il nuovo Testo unico modifica la legislazione esistente, al fine di creare e garantire il corretto funzionamento di un “mercato unico europeo per i servizi di media audiovisivi”, contribuendo allo stesso tempo alla promozione della diversità culturale e fornendo un livello adeguato di protezione dei consumatori e dei minori.

Il Testo unico fornisce una disciplina di tutti i media audiovisivi, per le trasmissioni televisive tradizionali (in chiaro e a pagamento) così come per i servizi di media audiovisivi su richiesta (“on demand”) e solo alcuni aspetti (protezione minori) delle piattaforme di condivisione video (“video-sharing platform)”.

Le principali novità del nuovo Testo unico sono:

  • il rafforzamento della promozione dei contenuti europei, attraverso l’obbligo di trasmissione e investimento sui contenuti europei e nazionali. In particolare, gli obblighi di investimento per i fornitori di servizi “on demand” saranno progressivamente innalzati, dal livello esistente sino ad arrivare al 25 % nel 2025;
  • l’aggiornamento delle regole per la tutela del pluralismo: sull’onda della vicenda Mediaset-Vivandi e la seguente sentenza della Corte di Giustizia. Viene introdotto un meccanismo di tutela del pluralismo in cui non vi sono più posizioni di mercato vietate (al raggiungimento di una certa quota di mercato). Tali soglie di mercato rappresentano adesso solamente “indicatori” di una possibile lesione del pluralismo. Per cui al raggiungimento di tali soglie, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni effettuerà un’approfondita istruttoria per verificare se via siano lesioni del pluralismo…
  • l’incremento della flessibilità dei limiti di affollamento pubblicitari: viene introdotto un aumento dei tetti di affollamento pubblicitario per tutti i soggetti televisivi, applicato su due fasce orarie giornaliere. Nel nuovo “Testo Unico”, il concessionario di servizio pubblico avrà un affollamento massimo del 7 % nel 2022 e del 6 % dal 1° gennaio 2023, i servizi lineari (non a richiesta) a pagamento 15 % e i servizi lineari non a pagamento andranno al 20 %. Resta invariato il tetto al 25 % per le televisioni locali.

Questo testo produce conseguenze non indifferenti nel sistema mediale italiano, ma nessuno sembra essersene reso conto, complice la pausa agostana.

Soltanto l’accurato Andrea Biondi sulle colonne del quotidiano confindustriale “Il Sole 24 Ore” evidenzia alcune perplessità (soprattutto dal punto di vista della Rai) per il decreto legislativo che recepisce la cosiddetta Direttiva Ue “Smav” (Servizi Media Audiovisivi), che introduce alcune nuove regole per il sistema della radiotelevisione.

Secondo una prima interpretazione – ovvero a prima vista – la parte riguardante gli affollamenti pubblicitari andrebbe a colpire Viale Mazzini, mentre sarebbero beneficiati Mediaset e le altre emittenti commerciali nonché le “pay tv”. 

Vengono raddoppiati gli obblighi di investimento in produzioni audiovisive europee e italiane per i giganti dello streaming (Netflix in primis), dal 12,5 % del fatturato italiano attuale al 25 % del 2025… L’incremento ha la seguente progressione temporale: 17 % fino a fine dicembre 2022, 20 % dal 1° gennaio 2023, 22,5 % dal 1° gennaio 2024, e quindi il 25 % dal 1° gennaio 2025.

Per quanto riguarda la pubblicità, coerentemente con la direttiva Smav che prevedeva maggiore flessibilità sui limiti, queste le novità: per le tv commerciali, il limite di affollamento del 15 % giornaliero è scomparso e quello del 18 % orario si è trasformato in un 20 % sulle due fasce orarie “6-18” e “18-24”, per le tv a pagamento, il limite passa dal 12 % al 15 % (sempre sulle due stesse fasce orarie). Il tetto per le televisioni locali resta fissato al 25 %.

E la Rai? Finora è stata sottoposta a un vincolo del 4 % settimanale con limite orario del 12 % sull’insieme della programmazione e dei canali Rai. Ora con il nuovo testo si mantiene il 12 % come limite orario, ma si passa al 6 % durante la giornata “riferito ad ogni singolo canale”. 

In sintesi: si andrebbe a ridurre il carico pubblicitario di Viale Mazzini e la sua possibilità di integrare le risorse da canone. Risorse pubblicitarie che, allo stato attuale, sono indispensabili a Rai per (cercare di) attuare le previsioni di Convenzione e Contratto di Servizio.

In argomento (canone), va segnalato che in audizione Carlo Fuortes ha escluso che vi sia intenzione del Governo di eliminare il pagamento del canone nella bolletta elettrica. Ha sostenuto (quasi infastidito dai “rumors” della stampa e dei media): “il canone che esce dalla bolletta non è all’ordine del giorno: assolutamente, del governo né del ministero. Il canone della Rai è di 90 euro in Francia è di 135 euro, in Inghilterra 180 euro, in Germania 240 euro. Abbiamo una parte di pubblicità che però ha un tetto e si discute anche di ridurlo”. Ma – come ha ben scritto il redattore anonimo del blog specialistico BloggoRai – “non ce lo chiede l’Europa?!”. 

Trasferire a Roma la sede dell’Agenzia Europea per la Cultura (Eacea)?

Altra notizia importante: è stato il quotidiano romano “Il Messaggero” a rilanciare la voce, con un articolo a piena pagina nell’edizione odierna, a firma di Mario Ajello (giornalista sempre sensibile alle tematiche culturologiche e mediologiche, anche se un suo articolo sui “tagli a” budget Rai sarebbe rientrato tra la “disinformazione” lamentata dall’Ad Fuortes), ben sintetizzato nel titolo: “Agenzia Ue, chance a Roma: 26 miliardi e 700 assunzioni”. Sottotitolo: “Il progetto per la cultura connesso all’arrivo dei big Netflix e Viacom. Possibile sede nell’antico auditorium di Adriano. Asse bipartisan sul dossier. La ripartenza Capitale”.

La prospettiva tratteggiata è il trasferimento a Roma di una importante agenzia europea: l’Agenzia brussellese per la cultura e l’istruzione, che lavora a stretto contatto con la Commissione Ue, ha ben 26 miliardi di budget, gestendo gli investimenti per Erasmus+Europa CreativaCerv e Corpo Europeo di Solidarietà… 

Attualmente gestisce oltre 7mila progetti. Ci sono 3 italiani in posti-chiave: il Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, l’eurodeputato dem Massimiliano Smeriglio, “relatore generale del dossier Europa Creativa”, Roberto Carlini Direttore dell’Agenzia. La Sottosegretaria al Mic, la leghista Lucia Borgonzoni, ha dichiarato che sarebbe “un’operazione qualificante per questa città ed anche per l’Europa”. Entusiasmo immediato espresso dal Presidente dell’Anica Francesco Rutelli

Per ora, si tratta soltanto di una idea, ma è certamente una bella prospettiva.

Franceschini: 5 milioni per campagne di promozione della fruizione di cinema in sala e di spettacolo dal vivo

Infine, oggi pomeriggio (venerdì 6 agosto) una piccola e lieta novella: recependo le istanze di molti operatori del settore (anche noi abbiamo invocato un robusto provvedimento specifico per il “post Covid”), il Ministro Dario Franceschini ha annunciato di aver firmato un decreto che prevede l’avvio campagne di comunicazione e di informazione, della ripresa delle programmazioni delle sale cinematografiche, dei teatri, delle sale da concerto e di altri luoghi dello spettacolo dal vivo. 

Bene: era ora!

Su queste colonne (vedi “Key4biz” del 25 maggio 2021, “Cda Rai ancora nelle nebbie e cinema alla ricerca di un rilancio in sala”), avevamo manifestato una stima di fabbisogno di almeno 20 milioni di euro. Il Ministro ha deciso di stanziare soltanto 5 milioni di euro. Meglio poco che niente. 

Le risorse (quota parte del fondo emergenze spettacolo, cinema e audiovisivo) sono distinte in due “sottoquote” da 2,5 milioni di euro per il cinema e 2,5 milioni di euro per lo spettacolo, sono assegnate alla Direzione Generale Cinema e Audiovisivo – Dgca (retta da Nicola Borrelli), la quale, d’intesa con la Direzione Generale Spettacolo – Dgs (retta da Antonio Parente) per quanto di sua competenza – anche avvalendosi di Cinecittà – promuove la realizzazione e la diffusione di campagne di informazione e comunicazione per sostenere la frequentazione di cinema, teatri, sale da concerto e altri luoghi di spettacolo dal vivo nel rispetto delle misure di prevenzione e sicurezza sanitaria. 

Ci auguriamo che i decreti attuativi siano rapidi: ce ne sarebbe stata necessità prima dell’estate, ma sarà importante avviare le gare pubbliche – magari coinvolgendo le migliori agenzie pubblicitarie italiane – quanto prima.

Agosto veramente effervescente! 

Quali altre novità dal “cappello magico” del Governo, nelle prossime settimane?!

“Clicca qui per la bozza di decreto legislativo di attuazione della “Direttiva Copyright” (Direttiva Europea 790/2019), approvato dal Consiglio dei Ministri del 5 agosto 2021.