Dati Cinetel

Cinema in sala a picco (-70%) nel 2021. Mercato italiano stagnante (20%)

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I sindacati Cgil-Cisl-Uil ed il sindacato degli esercenti Anec chiedono estensione degli ammortizzatori sociali, ma si rischia di invocare misure contingenti e miopi

Su queste colonne, ieri l’altro martedì 28, segnalavamo le dimensioni terribili del calo dei consumi cinematografici in sala in Italia, ed evocavamo una quota percentuale indicativa nell’ordine del “-70 %” (vedi “Key4biz” del 28 dicembre 2021, “Il cinema in sala muore (-70 % di incassi) ma il Governo resta a guardare”): quest’oggi (giovedì 30), Cinetel ha diffuso i dati di pre-consuntivo per l’anno 2021 del “box office” italiano, e si ha conferma statistica di questo stato di crisi acutissima.

In sostanza, si certifica notarilmente la estrema gravità della situazione in essere.

Si registra infatti un decremento del 71 % degli incassi e del 73 % delle presenze cinematografiche rispetto alla media del triennio 2017-2018-2019.

In un mercato fortemente condizionato dall’emergenza sanitaria, che ha imposto la chiusura delle sale per 4 mesi (da inizio gennaio a fine aprile) e il cui nuovo aggravarsi ha avuto un impatto sui risultati di “box office” durante le festività di fine anno, in Italia nel 2021 i cinema hanno registrato un incasso complessivo di circa 170 milioni di euro, per un numero di presenze pari a 25 milioni di biglietti venduti

Si tratta di un risultato leggermente inferiore a quello del 2020 (-7 % incassi e -11 % presenze) che aveva tuttavia beneficiato di uno dei migliori avvii di sempre in condizioni di mercato pre-pandemiche.

Se si considerano però correttamente – precisano gli analisti di Cinetel – soltanto i dati sul periodo maggio-dicembre, i mesi in cui le sale cinematografiche sono state riaperte, il mercato ha registrato invece rispettivamente circa il 51 % e il 53 % in meno rispetto alla media del periodo 2017-2018-2019 (è opportuno ricordare che nel 2020 le sale sono state chiuse da fine ottobre in poi, e quindi non è stato possibile considerare quest’anno nella media). 

È necessario ricordare infatti che le sale quest’anno hanno potuto riaprire solamente a partire dal 26 aprile 2021, in un contesto di sostanziali restrizioni all’accesso, come il “coprifuoco” e il distanziamento in sala, sino all’introduzione del “green pass” ad agosto, del “super green pass” e delle ulteriori norme introdotte a ridosso delle festività natalizie.

Sconfortanti i dati relativi ai film di produzione nazionale (includendovi anche le cosiddette “co-produzioni”): si emerge un incasso di oltre 36 milioni di euro per un numero di presenze pari a circa 5,6 milioni di ingressi ed una quota sul totale di circa il 21 %. Questo modesto livello percentuale non si discosta dalla media tra il 20 % e il 21 % delle produzioni locali nel triennio 2017-2019.

In sostanza, a fronte di un preoccupante crollo del consumo, permane una piccola “fetta” di spettatori che ancora predilige il cinema “made in Italy”.

Va osservato che la quota di incassi dei film italiani del 21,36 % corrisponde ad una quota del 37,48 % del totale dei film distribuiti: è evidente che si registra una sovraofferta di titoli ed una modesta capacità di attrarre spettatori da parte della cinematografia nazionale.

Il Presidente di Cinetel Davide Novelli commenta questi dati sostenendo che si tratta di “numeri che segnalano la gravità e lo stress economico e sociale subito dalle sale e dalle distribuzioni cinematografiche, ma che al tempo stesso sottolineano la vitalità e la capacità di reagire dell’intera filiera”. Ci sembra una lettura discretamente ottimista, a fronte di uno scenario che è semplicemente disastroso.

Cinetel annuncia che i dati e le analisi dettagliate verranno diffuse nel corso del mese di gennaio 2022, ma già la sintesi proposta oggi dovrebbe far scattare molti campanelli di allarme.

Si ricorda che Cinetel srl è la società partecipata pariteticamente dall’Associazione Nazionale Esercenti Cinema – Anec e da Anica Servizi srl (controllata dall’Associazione Nazionale Industria Cinematografica Audiovisiva e Multimediale), che cura quotidianamente la raccolta degli incassi e delle presenze dei cinema in Italia.

In assenza di una campagna promozionale forte, cronaca di una morte annunciata

Se non interverrà il Governo con una campagna promozionale, forte intensa robusta, il 2022 confermerà questo processo di allontanamento degli spettatori italiani dalle sale cinematografiche.

Si corre il rischio di assistere ad una vera e propria “cronaca di una morte annunciata”.

Da molto tempo, anche su queste colonne, invochiamo l’esigenza di un simile intervento (una campagna pubblicitaria di impatto), auspicando anche un coinvolgimento attivo del “public media service” ovvero della Rai.

Sembra invece prevalere una sorta di rassegnazione.

Nonostante la iniezione di risorse pubbliche che il Ministro Dario Franceschini ha messo in atto nel corso del 2021 – facendo arrivare il Fondo per il Cinema e l’Audiovisivo (istituito a fine 2016 con la legge che porta il suo nome) alla mirabolante cifra di 750 milioni di euro – il problema di fondo è (resta) l’allocazione di queste risorse pubbliche, la misurazione dell’efficienza e dell’efficacia dell’intervento dello Stato.

È corretta, efficiente, efficace, l’attuale ripartizione dei 750 milioni di euro l’anno del Fondo Cinema e Audiovisivo?!

Alla retorica del “tax credit” come (presunto) strumento salvifico dell’economia del settore audiovisivo – con conseguente overdose produttiva – si deve affiancare una interpretazione onesta dello stato di salute: si producono senza dubbio più lungometraggi cinematografici (e fiction audiovisiva), ma l’aggettivazione “cinematografica” sta divenendo sempre più impropria, perché la gran parte di questi film non arrivano in sala, o, se vi arrivano, registrano fugaci apparizioni, andando presto ad alimentare i cataloghi delle piattaforme digitali e dei broadcaster televisivi.

In taluni casi, questi film cinematografici non vengono offerti né dalle piattaforme né dalle emittenti, e restano quindi veramente in un limbo incredibile.

Per “chi” sono stati e vengono prodotti? A beneficio di quale estensione del pluralismo espressivo?

Oppure, in altri casi, questi film… semi-invisibili alimentano un vero e proprio “mondo parallelo”, ovvero il circuito parallelo – riservato ad una nicchia privilegiata della popolazione – qual è quello della circuitazione nei festival cinematografici nazionali.

Sono centinaia, in tutta Italia, anche se nessuno (nemmeno il Ministero della Cultura) dispone di un’anagrafe accurata, ma esiste una compagnia di giro di critici e di appassionati, rispetto alla quale nessuno ha mai proposto un’indagine demoscopica per comprenderne al meglio l’identikit.

Il “mondo parallelo” del circuito dei festival cinematografici, una compagnia di giro di critici e appassionati

Anche di questo sub-settore del sistema audiovisivo, non esiste una mappatura accurata, e nessuno sembra domandarsi – al Ministero – il senso del sostegno pubblico a queste pur commendevoli attività, in totale assenza di valutazioni di impatto e di precise misurazioni dell’entità dei contributi pubblici: la stessa associazione nazionale dei festival cinematografici Afic non sembra porsi (almeno pubblicamente) quesiti profondi sulle logiche che governano la quantificazione dei contributi ministeriali, che pure sono assegnati a seguito di una selezione curata da una commissione di esperti “indipendenti”.

Basti osservare i tabulati ministeriali con l’entità delle sovvenzioni per avere conferma di una estrema discrezionalità adottata dalla mano pubblica, in assenza di parametri oggettivi e di trasparenti criteri selettivi quali-quantitativi.

Alcuni casi sono eclatanti: tra tutti emergono le iniziative promosse dall’iperattivo giornalista Pascal Vicedominici, che organizza (attraverso l’Istituto Capri del Mondo ed annessi e connessi) kermesse luccicanti come Capri Hollywood Film Festival e Ischia Global Film & Music Festival (co-presieduta da Tony Renis) e finanche il Los Angeles – Film Fest and Art Fest… Proprio in questi giorni, Vicedomini organizza un rito festaiolo che porta a Capri un “bel mondo” di attori e attrici, registi, sceneggiatori, in una grande autocelebrazione “glamour” di Capodanno, che molti ritengono fine a se stessa. Fiumi di champagne, a spese dello Stato.

Si tratta di attività che beneficiano di ricchissime sovvenzioni ministeriali (svariate centinaia di migliaia di euro ogni anno), che producono una discreta rassegna stampa e mediale – anche grazie alla parata di star nazionali e qualcuna internazionale – alimentata anche grazie a pagine intere di pubblicità redazionale pure su quotidiani nazionali…

Qualcuno si è mai sognato di andare a verificare – con un minimo di metodiche scientifiche – se iniziative come queste determinano una concreta ricaduta sul tessuto cinematografico del cinema italiano?! Non ci risulta.

E nemmeno si sogna, Pascal Vicedomini, di proporre sui siti web delle proprie iniziative una sorta di “bilancio sociale” delle stesse, e comunque anche soltanto una rendicontazione minimamente trasparente di come vengono utilizzate le sovvenzioni del Ministero della Cultura (della Regione Campania e di altri enti pubblici).

Ci piace segnalare che non siamo gli unici “osservatori critici” di queste fenomenologie: ci limitiamo a ricordare che anche Giulio Sangiorgio, direttore della più qualificata testata di critica cinematografico-audiovisiva italiana qual è il settimanale “Film Tv”, scriveva nell’editoriale del n° 31 della testata (in edicola il 3 agosto 2021), intitolato “A Classic Horror Story”. E merita essere letto il commento di Gabriele Niola, sull’edizione del 5 agosto 2021 del sito “Badtaste” (specializzato in cinema, tv, fumetti, videogiochi), intitolato “è questa l’idea di festival che lo Stato vuole supportare?”. Il Ministero privilegia festival che mostrano molte paillettes e qualche star hollywoodiana, mal trattando iniziative che contribuiscono realmente ad una attività laboratoriale, di formazione professionale, di alfabetizzazione critica: “sembra che il punteggio ministeriale non riesca tenerne conto – scrive a chiare lettere Niola – finendo per premiare di più Ischia e Capri, manifestazioni sia ben chiaro molto costose e che hanno un grande impatto sulle loro isole, ma che fino ad oggi, almeno per quanto ci è dato sapere, non hanno prodotto nulla che abbia avuto un impatto culturale o industriale sul nostro settore, non hanno inciso sul cinema, non hanno prodotto una qualsiasi forma di valore per la filiera che non sia aver ospitato grandi talent, cosa che in sé, vale la pena urlarlo, non è un valore”. Ciò basti.

I sindacati chiedono estensione degli ammortizzatori sociali: richiesta legittima ma miope

Le conseguenze di questa crisi profonda del consumo di cinema in sala andrebbero analizzate in una logica organica di politica culturale e mediale, ma purtroppo sembra prevalere un approccio, anche nella crisi post-Covid, contingente e circoscritto. Tattico e non strategico.

Ne è purtroppo una riprova la lettera aperta che i tre maggiori sindacati dei lavoratori hanno indirizzato lunedì scorso 27 dicembre al Ministero. È curioso notare che in indirizzo ci sono soltanto il Ministro Dario Franceschini, il Segretario Generale del Mic Salvo Nastasi ed il Capo di Gabinetto Lorenzo Casini, e non risulta invece tra i destinatari il Direttore Generale per il Cinema e l’Audiovisivo Nicola Borrelli.

Firmata dai rappresentanti della Cgil (Slc) Umberto Carretti, della Cisl (Fistel) Fabio Benigni, della Uil (Uilcom) Roberto Corirossi, e “controfirmata” anche da una parte datoriale, ovvero da Mario Lorini nella veste di Presidente dell’Anec (gli imprenditori dell’esercizio), chiedono una estensione degli ammortizzatori sociali per il periodo 1° gennaio 2022 – 31 marzo 2022 (attuale scadenza dello stato emergenziale), ritenendo comunque necessaria anche una futura analisi alla luce di eventuali proroghe.

I sindacati dei lavoratori e degli imprenditori lamentano come le misure di divieto di consumo di cibi e bevande all’interno delle sale cinematografiche con decorrenza dal giorno di Natale, tradizionalmente primo di 14 giorni di forte affluenza di pubblico al cinema, abbiano determinato un immediato esubero di personale assunto appositamente per affrontare le festività nella vendita di cibi e bevande e di supporto per l’accoglienza nelle sale…

Si tratta di una rivendicazione senza dubbio legittima, ma veramente circoscritta e contingente: si ha a che fare con un piccolo problema all’interno di una criticità “macro”, che è quella del “senso” (semiotico prima che economico) che lo Stato ritiene di dover attribuire alla fruizione di cinema in sala.

Temiamo che questo approccio pecchi di miopia, a fronte delle radicali modificazioni dello scenario audiovisivo determinate dalla rivoluzione digitale.

È evidente che l’intervento dello Stato italiano è attualmente tutto squilibrato a favore della produzione di cinema ed audiovisivo.

È evidente che la sala cinematografica viene ormai vissuta – dal “policy maker” italiano – quasi come un fattore accessorio, e non centrale, nell’economia audiovisiva.

Riteniamo invece che si tratti di una questione fondamentale, sulla quale le associazioni imprenditoriali (non soltanto quelle che tutelano gli interessi degli esercenti) dovrebbero sviluppare un ragionamento critico-strategico lungimirante.

C’è chi maligna che la Direzione Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura dovrebbe ormai essere ri-denominata paradossalmente Direzione Piattaforme Digitali, a fronte della oggettiva “distrazione” che essa sembra mostrare rispetto al comparto del cinema “theatrical”.

Non resta che augurarsi che l’anno nuovo determini una correzione di rotta, che riporti il cinematografo al centro del sistema audiovisivo, in termini culturali e mediali (e finanche sociali).