privacy

Chrome, i cookie di terze parti e il gioco delle tre carte di Google

di |

Un gioco delle tre carte quello di Google che, di fronte a una maggiore consapevolezza degli utenti e una legislazione sempre più rigorosa sull’uso di cookie di terze parti e sulla profilazione in rete, “sceglie di cambiare rotta perché nulla cambi”, forte della posizione dominante di Chrome.

La rubrica “Digital & Law” è curata da D&L Net e offre una lettura delle materie dell’innovazione digitale da una prospettiva che sia in grado di offrire piena padronanza degli strumenti e dei diritti digitali, anche ai non addetti ai lavori. Per consultare tutti gli articoli clicca qui.

Articolo dell’avv. Mario Montano di Studio Legale Lisi- Componente del D&L Net

Il così chiacchierato addio di Chrome ai cookies di terze parti a partire dal 2022 non è una novità assoluta. Infatti era un’azione già conosciuta da anni, basti pensare a Safari di Apple e Firefox Focus della Mozilla Foundation che bloccano di default i cookies di terze parti.

Google e l’addio ai cookie di terze parti su Chrome

La vera notizia è semmai che la società che detiene il monopolio delle attività di advertising, Google, ha deciso di rinunciare allo strumento più utilizzato dalle società pubblicitarie per tracciare gli utenti, profilarli e scambiare la loro esperienza sul web, le loro impression, nei Real Time Bidding (RTB), le aste in tempo reale degli spazi pubblicitari online. Bisogna chiarire che i cookie sono solo uno degli strumenti utilizzati per tracciare e profilare gli utenti e che oggi, con un po’ di esperienza, è possibile bloccare quasi del tutto. Inoltre, altri e più sofisticati strumenti sono stati sviluppati negli ultimi anni, come: local storage; indexedDB; webSQL; Service worker.

Quest’ultimo merita un breve approfondimento.

Service worker

È uno script eseguito in background dal browser, integratosi con le Progressive Web App (PWA), un ibrido a metà strada tra una pagina web e un’applicazione nativa. Questo permette di gestire le notifiche push, la sincronizzazione in background e il salvataggio dei dati in locale, che consente la navigazione offline. Fra non molto il service worker permetterà di implementare nelle PWA nuove e più pervasive funzionalità, come la geofencing e la sincronizzazione periodica.

Google e PWA

Ritorniamo su Google, è stata proprio quest’ultima, nel 2015, a coniare il termine Progressive Web App e ad annunciare la fine delle Chrome apps in favore delle PWA a partire dal 2022, anno in cui è previsto,  l’abbandono dei cookies di terze parti.

Google ha chiarito che se la pubblicità digitale non evolve verso un modello che tenga conto delle crescenti preoccupazioni degli utenti rispetto alla protezione dei dati personali, a rischio è il futuro stesso del web libero e gratuito così come si presenta oggi. Secondo Google, infatti, bloccare i cookie di terze parti favorisce l’uso opaco e fraudolento del fingerprinting, metodo che consente di creare un profilo unico dell’utente basato sull’hardware, il software, i componenti aggiuntivi e perfino le preferenze del browser, tracciando l’utente per mesi, anche dopo aver eliminato i dati del browser o aver scelto di navigare in modalità anonima, ignorando le indicazioni dell’utente sul fatto di non voler essere tracciato.

Per conservare la asserita gratuità, libertà del web e al contempo rispettare la privacy degli utenti, Google ha avviato Sandbox Privacy, un progetto aperto agli stakeholder e alle autorità di regolamentazione che si propone di sviluppare un ecosistema privacy-oriented.

Non solo Privacy

Uno dei componenti del SendBox è la Federated Learing Technology, tecnologia di IA basata sulla machine learning. L’intento è di utilizzare la cronologia di Chrome per creare dei raggruppamenti omogeni degli utenti, i quali vengono successivamente assegnati a un gruppo chiamato “flock”. Ogni utente sarà in seguito identificato con il proprio flock name, che lo colloca all’interno del gruppo di utenti con le medesime caratteristiche.

Il tentativo di Google di superare la profilazione fondata sui cookie di terze parti con un sistema di clusterizzazione degli utenti, se da una parte potrebbe garantire una maggiore protezione dei dati personali, dall’altra rischia di esacerbare le discriminazioni già presenti nella targhettizzazione. Non è, quindi, solo una questione di privacy: la profilazione per gruppi omogeni di utenti permetterebbe comunque agli inserzionisti di utilizzare le caratteristiche etniche, i convincimenti politici o religiosi, il genere o l’età per inviare pubblicità mirata e potenzialmente discriminatoria. Non solo, si rischierebbe di agevolare e potenziare tutte quelle attività tese a influenzare il pensiero politico delle masse, confinando in bolle sempre più omogenee e isolate gli utenti con caratteristiche simili, rappresentando un rischio concreto per i principi democratici.

Nella recente Risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2020 recante “raccomandazioni alla Commissione concernenti il quadro relativo agli aspetti etici dell’intelligenza artificiale, della robotica e delle tecnologie correlate”, si ricorda che “l’analisi dei dati e l’IA influenzano sempre di più le informazioni rese accessibili ai cittadini” e che “tali tecnologie, se utilizzate impropriamente, possono mettere in pericolo i diritti fondamentali alla libertà di espressione e all’informazione, nonché la libertà e il pluralismo dei mezzi di comunicazione[1]. Il Parlamento europeo auspica uno sviluppo antropocentrico delle soluzioni di IA, a tutela della dignità, dell’autonomia e della sicurezza umane.

Chrome: il gioco delle tre carte di Google

Quella di Google non è una crociata contro l’uso spregiudicato e disinvolto dei cookie di terze parti o il fingerprinting come vorrebbe farci credere, quanto, piuttosto, forse una strategia ben congegnata per continuare a fare profitti con l’advertising, settore nel quale è e vuole rimanere leader, sviluppando tecnologie, come le PWA e sistemi di IA in grado di offrire all’utente servizi più rapidi ed efficienti, ma, al contempo, raccogliendo in maniera sempre più opaca e insondabile i suoi dati, accrescendo, come detto, il rischio di discriminazioni.

Un gioco delle tre carte quello di Google che, di fronte a una maggiore consapevolezza degli utenti e una legislazione sempre più rigorosa sull’uso di cookie di terze parti e sulla profilazione in rete, “sceglie di cambiare rotta perché nulla cambi”, forte della posizione dominante di Chrome.

E se iniziassimo a scegliere servizi più rispettosi dei diritti degli utenti? Le alternative non mancano e alla fine una buona conoscenza ed informazione potrebbe far vacillare Big G.