supremazia tech

Chip, 5G e fibra, la Cina frena l’export di materie prime. Prezzi aumenteranno, supply chain presto sotto pressione

di |

Giro di vite di Pechino sulle esportazioni di gallio e germanio, soprattutto verso i mercati occidentali, con effetti negativi sulle catene di approvvigionamento. Presto i prezzi delle materie prime critiche torneranno ad aumentare e creeranno problemi alla nostra transizione energetica, ecologica e digitale.

Guerra tecnologica, botta e risposta Cina-USA

La guerra tra Stati Uniti e Cina per la supremazia tecnologica passa spesso per le materie prime critiche, fondamentali per la transizione energetica, ecologica e digitale che stiamo attraversando. In questi giorni Pechino ha annunciato che le esportazioni mondiali di gallio e germanio saranno sottoposte a maggiori controlli.

Le materie prime critiche sono numerose e tra queste, oltre a gallio e germanio, abbiamo: Antimonio, Afnio, Barite, Bauxite, Berillio, Bismuto, Borato, Carbon coke, Cobalto, Fluorite, Fosforite, Fosforo, Gomma naturale, Grafite naturale, Indio, Litio, Magnesio, Metalli del gruppo del platino, Titanio, Niobio, Scandio, Silicio metallico, Stronzio, Tantalio, Terre rare leggere, Terre rare pesanti, Tungsteno, Vanadio.

Ieri il portavoce del Ministero degli Affari Esteri cinese, Mao Ning, ha ribadito che le possibili restrizioni sulle esportazioni di questi due metalli rari sono assolutamente conformi alla legge e non mirano a colpire nessun Paese in particolare.

Ovviamente non è così e i media di mezzo mondo hanno subito collegato la misura restrittiva annunciata dalla Cina alle possibili mosse degli Stati Uniti relative a restrizioni alle esportazioni di AI chipset (circuiti integrati progettati per esprimere massima efficienza e velocità nello svolgimento dei calcoli richiesti dall’intelligenza artificiale) proprio verso il gigante asiatico, soprattutto da parte di società del calibro di Nvidia e AMD.

Non solo, perché secondo la Reuters l’amministrazione americana potrebbe anche escludere o limitare fortemente l’accesso delle aziende cinesi alle principali piattaforme cloud gestite da Big Tech a stelle e strisce, come Amazon, Microsoft e Google.

Gli effetti negativi sulle industrie che supportano la transizione digitale, energetica ed ecologica

Questo potrebbe significare a breve un rialzo anche significativo dei prezzi del gallio e del germanio, ma a cascata anche di altre materie prime critiche, indispensabili per la produzione di semiconduttori e componentistica primaria di antenne 5G, fibra ottica, veicoli elettrici, batterie, pannelli fotovoltaici e pale eoliche, di chip per l’intelligenza artificiale e la robotica, ma anche dei più diffusi dispositivi di elettronica di consumo.

Sui mercati mondiali il 60% del germanio e l’80% del gallio sono prodotti in Cina, secondo stime dell’associazione industriale Critical Raw Materials Alliance.

Questo significa che a breve termine ci saranno anche problemi di approvvigionamento di queste materie prime critiche su scala globale, con un incremento dei prezzi diffuso e quindi un aumento dei costi per i consumatori finali.

Tutto questo sta accadendo a pochi giorni dalla visita ufficiale in Cina del segretario del Tesoro americano, Janet Yellen.

L’Italia cerca di approfittarne

Nello stesso giorno in cui la Cina annunciava queste nuove drastiche misure, in Italia il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, lanciava una nuova sfida: proporre il Paese come produttore e fornitore a livello europeo e mondiale di alcune materie prime critiche.

Gli Usa cercano il decoupling dalla Cina, possiamo offrirci come produttore alternativo almeno di alcune materie prime critiche, che è una delle principali sfide del nostro tempo, soprattutto per la transizione ecologica”, ha dichiarato la Premier italiana.

Quali di queste? Non è ancora dato sapere. L’Italia non è un Paese produttore di queste materie prime critiche, tutt’altro, siamo un mercato che ne ha un disperato bisogno.

La Cina fornisce all’Unione Europea circa il 98% delle terre rare, la Turchia il 98% del borato, il Sudafrica il 71% del platino e una percentuale ancora più alta per i materiali del gruppo del platino: iridio, rodio, rutenio. Il litio è fornito al 78% dal Cile, mentre la fornitura di alcune materie prime critiche con l’afnio e lo stronzio dipendono da singole aziende europee. E questi sono dati forniti dal ministero delle Imprese e del made in Italy (Mimit).

Ma dove le troviamo noi le materie prime critiche?

Due le linee guida del Governo, che ricalcano quelle europee: il recupero di queste materie prime critiche dal riciclo dei rifiuti elettrici ed elettronici (Raee) grazie all’economia circolare; l’estrazione di alcune di esse dal sottosuolo del territorio nazionale.

Un Gruppo di Lavoro che risponde al Mimit e al ministero dell’Ambiente avrà comunque il compito di identificare le potenzialità per le attività estrattive primarie e secondarie (recupero da rifiuti estrattivi), verificando le possibilità di un’estrazione sostenibile nel territorio italiano, compreso il recupero di materie prime da siti precedentemente abbandonati e da rifiuti minerari.

Solo il tempo ci dirà se questa è o no una strada percorribile. Attualmente, larga parte della produzione industriale italiana, pari a 686 miliardi di euro – ovvero il 38% del Pil nazionale – dipende dall’impiego di materie prime critiche che l’Italia non possiede e che deve dunque importare da Paesi extra europei.