riflessioni

Digital Single Market, Europa ed Economia Familiare Italiana, convergenza possibile? 

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La trasformazione digitale come motore di sviluppo e di crescita. L’Europa e l’Italia sono equipaggiate per utilizzarne il pieno potenziale e giocare la partita con Stati Uniti e potenze asiatiche?

Non c’è apertura di convegno o articolo sul futuro dell’economia europea e di quella italiana che non individui la trasformazione digitale come motore di crescita. Ci ripetiamo, in maniera ossessiva che, nel mondo è in corso una rivoluzione, spinta dalle tecnologie informatiche che ha cambiato e continuerà a farlo, il mondo in cui viviamo, lavoriamo, produciamo e ci spostiamo. Un cambiamento che, se governato con opportune iniziative strategiche, assicurerà adeguati livelli di sviluppo e occupazione.<a href=”https://www.key4biz.it/wp-content/uploads/2019/01/stefania-blandini.jpg” data-mce-href=”https://www.key4biz.it/wp-content/uploads/2019/01/stefania-blandini.jpg”><img class=”alignleft wp-image-240832 size-full” src=”https://www.key4biz.it/wp-content/uploads/2019/01/stefania-blandini.jpg” alt=”” width=”168″ height=”112″ data-mce-src=”https://www.key4biz.it/wp-content/uploads/2019/01/stefania-blandini.jpg” /></a>Tuttavia, nonostante la consapevolezza sulla grande partita che le potenze mondiali stanno giocando, l’economia digitale in Europa rappresenta solo il 5% del PIL della UE-28, quota trainata principalmente dal consumo privato (53%) e dagli investimenti privati (15%), con significative variazioni tra i paesi del Nord Europa (6.9% del PIL) e ad esempio l’Italia (4% del PIL).Variazioni derivate sopratutto da un utilizzo più intensivo di e-commerce e da maggiori investimenti pubblici in software e servizi digitali. L’Europa opera al di sotto del suo potenziale digitale e dipende nettamente dagli Stati Uniti come importatore di servizi digitali, ciò significa un deficit commerciale di circa il 5.6% degli scambi tra Europa e USA. Non riesce a competere con gli Stati Uniti come produttore di contenuti globali, creatore di piattaforme digitali o incubatore di aziende di successo. Non ci sono infatti aziende europee tra le prime 20 aziende digitali e delle 250 maggiori aziende ICT al mondo, 75 provengono dagli Stati Uniti e 50 dal Giappone.Le grandi aziende (con più di 250 dipendenti) impattano sul 60% dell’occupazione negli USA, più della metà nel Regno Unito e solo il 30% ad esempio in Italia. Le microimprese (con meno di 10 dipendenti) impattano solo sull’8% dell’occupazione in US e il 18% in Europa.Da diverse analisi che sono state fatte, è emerso come le grandi aziende tendono ad essere più digitalizzate di quelle medio/piccole e ne consegue che, i paesi caratterizzati da una dimensione media delle imprese, potrebbero essere più lontani dall’acquisire il pieno potenziale derivante dalla trasformazione digitale.Il collegamento quindi tra digitalizzazione, produttività e occupazione è una questione determinante, dibattuta tra le economie avanzate. Dibattito molto accesso anche in Europa che ha è ben compreso la battaglia in atto e come, per ottenere un incremento del livello occupazionale, sia necessaria un’accelerazione della trasformazione digitale, in tutti i settori dalla logistica, all’assistenza sanitaria,  all’istruzione, alle costruzioni.Si è compreso, quindi, come determinante sia un <strong><em>Ecosistema Digitale</em></strong> <strong><em>Dinamico</em></strong> e per questa ragione, il 6 maggio 2015 la Commissione Europea Junker ha adottato quella che è nota come strategia del <strong>Single Digital Market</strong> (SDM). Si è compreso come il Mercato Unico potrebbe accelerare la crescita del PIL di 415 miliardi di euro/anno, attraverso una piattaforma comune per le transazioni on line che consentirebbe alle imprese di raggiungere una dimensione adeguata a competere con le aziende statunitensi e asiatiche.La Commissione Europea ha individuato il 2020 come l’anno entro il quale raggiungere il pieno potenziale digitale del SDM con l’adozione di 29 proposte legislative (es. abolizione dei costi di roaming, portabilità transfrontaliera di servizi e contenuti on line, eliminiazione dei geo-blocking, GDPR ecc.) e di alcune tecnologie/piattaforme abilitanti (Cloud Computing, Mobile Business, Internet of Things, Big Data, Cybersecurity e Social business, Blockchain, Open Data e Cognitive Computing, Additive Manufacturing, Autonomous Robot ecc.).Ma nonostante, gli stati Europei stiano progredendo, la strada per la piena attuazione del SDM non è breve e l’attenzione non deve scemare, sopratutto ora, in un momento nel quale la tensione finanziaria tra USA e Cina è alta e la guerra dei dazi potrebbe avere un impatto devastante per l’Europa.E l’italia in quale direzione sta andando? Le PMI Italiane sono in grado di abbracciare e sposare le inziative del SDM? In Italia si stima che le aziende familiari siano circa 784.000 – pari ad oltre l’85% del totale aziende – e pesino in termini di occupazione circa il 70%. Alcuni dei marchi di famiglia più rispettati, come<strong> Lamborghini, Ferrari e Ferrero</strong> sono stati fondati in Italia, sono sopravvissuti alla prova del tempo, hanno lasciato il segno nel mondo e sono diventati i migliori.Secondo <strong>Dario Voltattorni,</strong> direttore esecutivo del Family Business Network italiano, “<em>la capacità dell’Italia di giocare con i suoi punti di forza culturali ha permesso tale successo.Ma ora la crisi finanziaria ha costretto molte aziende in Europa e in Italia a cambiare profondamente il loro approccio ai mercati locali e internazionali. La tecnologia dell’innovazione e l’economia digitale hanno aperto l’arena competitiva e ora tutti i mercati sono facilmente accessibili attraverso il web. E l’azienda familiare italiana ha il grande vantaggio di essere flessibile e fortemente reattiva ai cambiamenti nei mercati</em>”.Cambia lo scenario competitivo e cambia il modo di fare impresa, che sempre di più deve il suo successo all’efficienza della filiera.  Ma non basta. Proprio considerando la specificità del nostro tessuto produttivo, il piano di avvicinamento al SDM deve avere un approccio che valorizzi l’innovazione lungo tutte le componenti e i protagonisti della catena produttiva spingendoli a ricercare nuove sinergie. <em>La forza degli ecosistemi e delle innovation community definisce la forza delle imprese stesse  che ne fanno parte in una cultura di co-creazione.</em>Le PMI italiane, sanno che la digitalizzazione è strategica per la loro crescita, perciò sanno che nei prossimi anni dovranno usare i big data, potenziare l’e-commerce e  sopratutto “farsi contaminare” dalle startup, in una logica di innovazione aperta.In Italia la connessione tra pmi e startup innovative è particolarmente vantaggiosa per entrambe: le prime facilitano i loro processi di “svecchiamento”, le seconde entrano in contatto con un bacino di clienti consolidato. Ma, cosa ancora più importante, è che siano presenti in un stesso distretto,  in modo da poter sopperire alla cronica mancanza di capitali. Importante quindi riconsiderare il ruolo dei <strong><em>Distretti Industriali</em></strong> (DI) che in passato sono stati eccellenti sistemi locali di innovazione.Già da alcuni studi effettuati nel 2003, si è compreso come, adottando le categorie concettuali dell’economia della conoscenza (Rullani), un DI funziona come un meta-contesto, caratterizzato da un’alta densità di luoghi dove si producono conoscenze e da un’elevata densità di canali interni di trasferimento della conoscenza. A loro volta, i processi di trasferimento alimentano la produzione di nuova conoscenza che diventa elemento fondante del vantaggio competitivo.Ed è sempre il contesto distrettuale che nel suo complesso, può svolgere anche  un ruolo di incubatore per la nascita di nuove imprese.Traslando questo concetto a livello globale, con una ovvia semplificazione, potremmo affermare che i DI, proprio nella situazione attuale, possano ancor più sfruttare la loro qualità distintiva ossia operare come sistemi locali di innovazione, luoghi di co-working, dove  si realizzi una significativa connessione tra piccole e medie imprese operanti nei distretti, le multinazionali e le startup innovative, facendo leva sulla presenza di una <strong><em>forte cultura imprenditoriale radicata nei territori. </em></strong>Concludendo: il divario da recuperare per portare il nostro Paese al livello degli altri paesi europei è ampio ma, per la prima volta dopo anni, si intravedono elementi di positività.Spetta a tutti gli operatori coinvolti, attori istituzionali e policy maker locali, sostenere le traiettorie evolutive dei DI al fine di accrescere il loro livello di apertura cognitiva nei confornti del mondo esterno e di potenziare le relazioni con i detentori di conoscenze e competenze utili ai fini competitivi.Strategia Digitale e Industria 4.0 hanno posto le basi per stimolare nuova imprenditorialità e innovazione, ma questo tema deve diventare prioritario nell’agenda politica di istituzioni e governi.La convergenza tra SDM, Europa e PMI italiane non solo è necessaria ma è possibile.

Non c’è apertura di convegno o articolo sul futuro dell’economia europea e di quella italiana che non individui la trasformazione digitale come motore di crescita. Ci ripetiamo, in maniera ossessiva che, nel mondo è in corso una rivoluzione, spinta dalle tecnologie informatiche che ha cambiato e continuerà a farlo, il mondo in cui viviamo, lavoriamo, produciamo e ci spostiamo. Un cambiamento che, se governato con opportune iniziative strategiche, assicurerà adeguati livelli di sviluppo e occupazione.

Tuttavia, nonostante la consapevolezza sulla grande partita che le potenze mondiali stanno giocando, l’economia digitale in Europa rappresenta solo il 5% del PIL della UE-28, quota trainata principalmente dal consumo privato (53%) e dagli investimenti privati (15%), con significative variazioni tra i paesi del Nord Europa (6.9% del PIL) e ad esempio l’Italia (4% del PIL).

Variazioni derivate sopratutto da un utilizzo più intensivo di e-commerce e da maggiori investimenti pubblici in software e servizi digitali. L’Europa opera al di sotto del suo potenziale digitale e dipende nettamente dagli Stati Uniti come importatore di servizi digitali, ciò significa un deficit commerciale di circa il 5.6% degli scambi tra Europa e USA. Non riesce a competere con gli Stati Uniti come produttore di contenuti globali, creatore di piattaforme digitali o incubatore di aziende di successo. Non ci sono infatti aziende europee tra le prime 20 aziende digitali e delle 250 maggiori aziende ICT al mondo, 75 provengono dagli Stati Uniti e 50 dal Giappone.

Le grandi aziende (con più di 250 dipendenti) impattano sul 60% dell’occupazione negli USA, più della metà nel Regno Unito e solo il 30% ad esempio in Italia. Le microimprese (con meno di 10 dipendenti) impattano solo sull’8% dell’occupazione in US e il 18% in Europa.Da diverse analisi che sono state fatte, è emerso come le grandi aziende tendono ad essere più digitalizzate di quelle medio/piccole e ne consegue che, i paesi caratterizzati da una dimensione media delle imprese, potrebbero essere più lontani dall’acquisire il pieno potenziale derivante dalla trasformazione digitale.

Il collegamento quindi tra digitalizzazione, produttività e occupazione è una questione determinante, dibattuta tra le economie avanzate. Dibattito molto accesso anche in Europa che ha è ben compreso la battaglia in atto e come, per ottenere un incremento del livello occupazionale, sia necessaria un’accelerazione della trasformazione digitale, in tutti i settori dalla logistica, all’assistenza sanitaria,  all’istruzione, alle costruzioni.

Si è compreso, quindi, come determinante sia un Ecosistema Digitale Dinamico e per questa ragione, il 6 maggio 2015 la Commissione Europea Junker ha adottato quella che è nota come strategia del Single Digital Market (SDM). Si è compreso come il Mercato Unico potrebbe accelerare la crescita del PIL di 415 miliardi di euro/anno, attraverso una piattaforma comune per le transazioni on line che consentirebbe alle imprese di raggiungere una dimensione adeguata a competere con le aziende statunitensi e asiatiche.

La Commissione Europea ha individuato il 2020 come l’anno entro il quale raggiungere il pieno potenziale digitale del SDM con l’adozione di 29 proposte legislative (es. abolizione dei costi di roaming, portabilità transfrontaliera di servizi e contenuti on line, eliminiazione dei geo-blocking, GDPR ecc.) e di alcune tecnologie/piattaforme abilitanti (Cloud Computing, Mobile Business, Internet of Things, Big Data, Cybersecurity e Social business, Blockchain, Open Data e Cognitive Computing, Additive Manufacturing, Autonomous Robot ecc.).Ma nonostante, gli stati Europei stiano progredendo, la strada per la piena attuazione del SDM non è breve e l’attenzione non deve scemare, sopratutto ora, in un momento nel quale la tensione finanziaria tra USA e Cina è alta e la guerra dei dazi potrebbe avere un impatto devastante per l’Europa.

E l’italia in quale direzione sta andando? Le PMI Italiane sono in grado di abbracciare e sposare le inziative del SDM? In Italia si stima che le aziende familiari siano circa 784.000 – pari ad oltre l’85% del totale aziende – e pesino in termini di occupazione circa il 70%. Alcuni dei marchi di famiglia più rispettati, come Lamborghini, Ferrari e Ferrero sono stati fondati in Italia, sono sopravvissuti alla prova del tempo, hanno lasciato il segno nel mondo e sono diventati i migliori.

Secondo Dario Voltattorni, direttore esecutivo del Family Business Network italiano, “la capacità dell’Italia di giocare con i suoi punti di forza culturali ha permesso tale successo.Ma ora la crisi finanziaria ha costretto molte aziende in Europa e in Italia a cambiare profondamente il loro approccio ai mercati locali e internazionali. La tecnologia dell’innovazione e l’economia digitale hanno aperto l’arena competitiva e ora tutti i mercati sono facilmente accessibili attraverso il web. E l’azienda familiare italiana ha il grande vantaggio di essere flessibile e fortemente reattiva ai cambiamenti nei mercati“.

Cambia lo scenario competitivo e cambia il modo di fare impresa, che sempre di più deve il suo successo all’efficienza della filiera.  Ma non basta. Proprio considerando la specificità del nostro tessuto produttivo, il piano di avvicinamento al SDM deve avere un approccio che valorizzi l’innovazione lungo tutte le componenti e i protagonisti della catena produttiva spingendoli a ricercare nuove sinergie. La forza degli ecosistemi e delle innovation community definisce la forza delle imprese stesse  che ne fanno parte in una cultura di co-creazione.

Le PMI italiane, sanno che la digitalizzazione è strategica per la loro crescita, perciò sanno che nei prossimi anni dovranno usare i big data, potenziare l’e-commerce e  sopratutto “farsi contaminare” dalle startup, in una logica di innovazione aperta.

In Italia la connessione tra pmi e startup innovative è particolarmente vantaggiosa per entrambe: le prime facilitano i loro processi di “svecchiamento”, le seconde entrano in contatto con un bacino di clienti consolidato. Ma, cosa ancora più importante, è che siano presenti in un stesso distretto,  in modo da poter sopperire alla cronica mancanza di capitali. Importante quindi riconsiderare il ruolo dei Distretti Industriali (DI) che in passato sono stati eccellenti sistemi locali di innovazione.

Già da alcuni studi effettuati nel 2003, si è compreso come, adottando le categorie concettuali dell’economia della conoscenza (Rullani), un DI funziona come un meta-contesto, caratterizzato da un’alta densità di luoghi dove si producono conoscenze e da un’elevata densità di canali interni di trasferimento della conoscenza. A loro volta, i processi di trasferimento alimentano la produzione di nuova conoscenza che diventa elemento fondante del vantaggio competitivo.

Ed è sempre il contesto distrettuale che nel suo complesso, può svolgere anche  un ruolo di incubatore per la nascita di nuove imprese.

Traslando questo concetto a livello globale, con una ovvia semplificazione, potremmo affermare che i DI, proprio nella situazione attuale, possano ancor più sfruttare la loro qualità distintiva ossia operare come sistemi locali di innovazione, luoghi di co-working, dove  si realizzi una significativa connessione tra piccole e medie imprese operanti nei distretti, le multinazionali e le startup innovative, facendo leva sulla presenza di una forte cultura imprenditoriale radicata nei territori. Concludendo: il divario da recuperare per portare il nostro Paese al livello degli altri paesi europei è ampio ma, per la prima volta dopo anni, si intravedono elementi di positività.

Spetta a tutti gli operatori coinvolti, attori istituzionali e policy maker locali, sostenere le traiettorie evolutive dei DI al fine di accrescere il loro livello di apertura cognitiva nei confornti del mondo esterno e di potenziare le relazioni con i detentori di conoscenze e competenze utili ai fini competitivi.Strategia Digitale e Industria 4.0 hanno posto le basi per stimolare nuova imprenditorialità e innovazione, ma questo tema deve diventare prioritario nell’agenda politica di istituzioni e governi.

La convergenza tra SDM, Europa e PMI italiane non solo è necessaria ma è possibile.

Articolo a cura di Stefania Blandini, Sales Manager e Consigliere direttivo CDTI