La maxi-fusione

Causeries. Sodalizio Comcast-Time Warner: pochi ostacoli dall’Antitrust Usa

di Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l'Università di Firenze |

Il sodalizio Comcast-Time Warner non sembra abbia molto da temere dalle autorità di vigilanza americane.

#Causeries è una rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze.
Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Il sodalizio Comcast e Time Warner – la fusione delle reti via cavo che darà vita a un operatore monstre – non sembra che abbia molto da temere dalle autorità di vigilanza americane.

Come stupirsene?

Difficile attendersi qualcosa di diverso da un antitrust e da una regolazione piuttosto fiacche. Le quali ben difficilmente avrebbero potuto sbarrare la strada a un’impresa di queste proporzioni, le cui coperture politiche è dato solo immaginare, peraltro senza troppo sforzo.

Se consideriamo del resto che la tutela del consumatore è affidata non alle sanzioni amministrative irrogate, come in Europa, ma ad azioni giudiziarie intentate davanti alle corti federali, cogliamo la misura della inadeguatezza della regolazione di oltreoceano.

Proprio in questo contesto devono leggersi due notizie.

La prima è che la città di New York proverà ad esigere da Comcast la copertura gratis del suo digital divide in cambio dell’approvazione della fusione da parte dell’autorità locale (in America le imprese devono passare il vaglio di parecchie istituzioni, in ossequio al principio federale).

La seconda è che la Federal Trade Commission ha citato in giudizio AT&T per avere rallentato la qualità del servizio dei suoi clienti che facevano un uso particolarmente massiccio della banda dei dispositivi mobili.

L’idea che l’enforcement sia affidato negli USA ai giudici, è qualcosa di cui  operatori e consumatori europei dovrebbero essere consapevoli quando lamentano l’inadeguatezza di quello a loro familiare. Viste in controluce con l’Europa, non vi è davvero ragione per essere colpiti dal merito o dal metodo di queste  procedure. Un necessario memento questo per i riformatori europei: migliorare sì, ma per carità non ripudiare l‘ottima regolazione continentale.

L’impatto delle tecnologie dell’informazione sulla sfera pubblica

Non è comunque su questi profili che voglio richiamare l’attenzione del lettore, bensì su un altro tema che ho già avuto modo di sfiorare in questa rubrica. L’impatto delle tecnologie dell’informazione sulla sfera pubblica.

Ebbene, qualche anno fa uno studioso di rango del rapporto tra diritto e tecnologia, Yochai Benkler, pronosticava un rinnovamento del rapporto tra cittadini e media contrassegnato dal passaggio da un rapporto passivo a uno attivo: consapevole, militante, creativo.

Pronostici realizzati? Sembrerebbe proprio di no.

La psicologia è entrata massicciamente nel dibattito e i risultati, più che confortanti, sembrano allarmanti. In un’importante ricerca di una psicologa del MIT, Sherry Turkle, intitolato significativamente “Alone Together”, il quadro che risulta da una estesa ricerca empirica sui giovani dei colleges è quella di un tecnologia foriera di ansia e di alienazione.

La privazione, anche momentanea, dello strumento che consente di essere online si ripercuote sulla psiche sotto forma di stress da privazione: come se venisse meno una sostanza dopante.

E non solo.

Il senso di appartenere a una comunità virtuale rende superflua la ricerca della comunità reale, che è fatta di prossimità fisica, preoccupazioni condivise, e responsabilità comuni. Slitta il contenuto semantico del termine “comunità”, con la conseguenza di aggravare il processo di atomizzazione.