Concorrenza

Causeries. L’algoritmo e l’insidia automatismo. Il ruolo dell’antitrust

di Stefano Mannoni |

La mano invisibile dell’algoritmo non è innocua e chiama in causa l’autorità della concorrenza che non può assecondarla.

Causeries è una rubrica settimanale sulle criticità dei mercati della convergenza e il loro rapporto con le grandi tematiche della regolazione, curata da Stefano Mannoni, professore di Diritto delle Comunicazioni presso l’Università di Firenze. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

La mano invisibile dell’algoritmo può sembrare a prima vista innocua. Oggettivo, automatico, autosufficiente: una volta avviato fa tutto da sé. Il problema è che innocuo non è affatto come ci segnalano A. Ezracchi e M. E. Stuche in ‘Virtual competition. The promise and perils of he algorithm- driven economy’, Harvard University Press, 2016.

L’insidia si annida proprio nel suo automatismo.

Raccogliendo informazione, facendo paragoni, osservando gli avversari aggiusta continuamente i prezzi.

E come lo fa?

Individualizzando la ricerca sulla base dei Big Data che raccoglie su ognuno di noi.  L’autorità della concorrenza è perplessa. Deve assecondare o no l’automatismo di questa “mano invisibile”?

La risposta è che non lo deve fare, perché attraverso gli algoritmi si ricostituiscono i cartelli anche all’insaputa degli imprenditori che ne sono i beneficiari.

Le mega piattaforme informatizzate dominano il mercato con buona pace per la trasparenza e la libera scelta del consumatore.

Tre scenari si configurano.

  • Quello delle imprese che utilizzano consapevolmente l’algoritmo per manipolare il mercato.
  • Quello di un singolo algoritmo come dispositivo centrale che come un direttore di orchestra manipola i singoli prezzi senza intervento umano.
  • Infine, quello degli algoritmi che dialogano in rete tra loro monitorando e aggiustando i prezzi in brevissimo tempo.

A parte la prima ipotesi l’antitrust non è attrezzato a perseguire il cartello perché le imprese non cospirano tra loro.

La collusione tacita orchestrata dall’algoritmo sfugge alle grinfie dell’antitrust.

Dove è la prova della collusione se a gestire la giostra è una formula matematica che si adatta in pochi secondi?

E il problema si ripropone anche nei comportamenti unilaterali perché è l’algoritmo che, “osservando in modo indipendente il mercato, stabilisce la dinamica e la strategia ottimale”.

Se poi passiamo all’analisi “behavioristica” il panorama è ancora più allarmante perché quello che l’algoritmo può fare è disegnare un abito su misura su ciascun individuo grazie alla messe di informazioni che raccoglie su di lui.

Il più delle volte nella totale inconsapevolezza dell’interessato.

Il risultato è una costante discriminazione del prezzo che si attaglia a ciascun consumatore. “Il potere in questo scenario favorisce chi detiene e vende i dati personali: questa asimmetria informativa supporta una discriminazione comportamentale quasi perfetta”.

Che fare di fronte a questo scenario così desolante?

Per cominciare le scelte a favore della privacy non devono essere par default: l’opzione del consumatore per la privacy deve essere la regola non l’eccezione.

In secondo luogo, favorendo l’ingrasso nel mercato dei nuovi entranti considerato la barriera corallina di informazioni di cu dispongono gli incumbents.

Persino diminuire la trasparenza dei prezzi potrebbe mettere i bastoni tra le ruote al carro dell’algoritmo.

E infine c’è la regolazione che potrebbe imporre di aprire gli scrigni che tengono gelosamente custoditi i segreti dell’algoritmo.

Ebbene, gli autori sono animati da buona volontà ma se addirittura preconizzano la nascita di un assistente informatico per ognuno di noi che si prenda costantemente cura dei nostri bisogni, la battaglia sembra persa prima di essere cominciata.