Tollerenza zero

Call center, settore a rischio: il governo accelera sulla black list contro i ‘contratti pirata’

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Il ministro dello sviluppo economico ha annunciato una stretta sulle gare al ribasso vinte da aziende che pagano gli operatori dei call center anche 3 euro l’ora e non 17 come previsto dal contratto nazionale. Da qui a cascata nascono i problemi dell’intero settore

Pugno duro da parte del governo nei confronti delle aziende che stanno danneggiando il settore dei call center in Italia. Il ministro dello Sviluppo economico vuole inserire nella legge di bilancio una norma ad hoc per la creazione di una black list di tutte le aziende pubbliche e private che non rispettano le regole nell’assegnazione delle gare. L’obiettivo è porre fine alla prassi consolidata del massimo ribasso.

Di solito, funziona così: molte società commissionano ricerche, sondaggi e indagini di mercato con gare che, permettendo aggiudicazioni a prezzi al di sotto dei livelli di retribuzione indicati dai contratti nazionali di lavoro maggiormente rappresentativi, consentono alle aziende dei call center di applicare i cosiddetti contratti pirata.  Così agli operatori non viene applicato il contratto collettivo della categoria – che prevede un salario di 17 euro lordi l’ora – ma uno dei tanti esistenti nella giungla normativa che porta al precariato e a condizioni economiche non dignitose. Si arriva, in alcuni casi, anche a 3 euro l’ora con un contratto a scadenza mensile.

Mise: Frenare delocalizzazione e cassa integrazione per i lavoratori

È iniziata, finalmente, la tolleranza zero da parte del governo per chi non rispetta la legge. Il Ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha inviato una comunicazione agli amministratori delegati delle maggiori aziende che ricorrono ai call center, sollecitandole al rispetto della norma (art. 24bis DL 83/2012) che contrasta le delocalizzazioni in Paesi extraeuropei e invitando loro a predisporre quanto necessario per consentire al consumatore di scegliere che il servizio richiesto sia reso tramite un operatore collocato in Italia.

Infatti negli ultimi anni si è registrato un boom di call center nati all’estero, soprattutto in Albania e Romania, paesi in cui il salario, rispetto al loro potere di acquisto, è più basso rispetto ai nostri stipendi. In più in questi Stati i sindacati sono praticamente assenti e dove sono presenti sono nati da poco e le leggi sono poco stringenti, anzi alleggeriscono la tassazione proprio per attrarre aziende straniere.

Il governo italiano, proprio per frenare questa fuga all’estero, è pronto ad inserire nella legge di Bilancio 2017 le seguenti novità:

  1. Rafforzare gli obblighi, in particolare sulla privacy dei clienti, per le società che spostano i call center fuori dall’Unione europea.
  2. Estendere l’accesso alla cassa integrazione per tutti i lavori del settore.

I numeri della crisi dei call center in Italia

Oltre 2.500 licenziamenti tra Roma e Napoli e quasi 400 persone trasferite da Palermo in Calabria. Sono questi i numeri della chiusura di due grandi sedi di Almaviva Contact, la cui crisi aziendale riflette la situazione in cui si trova il settore. 70-80mila posti di lavoro sono a rischio”, questo è l’allarme lanciato dai sindacati.

Il dumping salariale, la causa di tutti i mali

In molti call center è in atto una guerra tra poveri. Si accettano paghe basse pur di lavorare, l’alternativa è stare fuori dal mercato del lavoro e vedersi prendere quel posto da un’altra persona che, suo malgrado, accetta un contratto svantaggioso.

È in atto il cosiddetto fenomeno del dumping salariale: un’azione condotta dal datore di lavoro, un processo attraverso il quale viene esercitata una pressione verso il basso del livello generale dei salari.

Questa condizione, però, cosa genera?

Una frustrazione del lavoratore che poi si ripercuote anche nel suo modo di lavorare: sia attraverso un telemarketing selvaggio (perché più telefonate fai, più puoi guadagnare e più ti vedi assegnati i turni di lavoro) sia nella qualità del prodotto finale. Perché lavorare nella fretta e con l’ansia di prestazione non sono le condizioni ideali per raccogliere bene i dati utili a una ricerca di mercato o a un sondaggio commissionato dalla grande azienda. Se quest’ultima assegna le gare con il massimo ribasso, di conseguenza la paga degli operatori non sarà dignitosa, il che può generare un lavoro non di qualità, frutto anche del telemarketing molesto. E infine ci rimette anche il consumatore finale, ormai intollerante ai call center disonesti.

Un cane che si morde la coda e per questo il Governo vuole metterci mano.

Assocontact: necessaria una visione complessiva del settore 

Assocontact, l’associazione nazionale dei contact center in outsourcing, vuole ribadire l’urgenza di un riordino organico del comparto. Ecco le proposte.

“Sono necessarie misure ad hoc: combattere il sistema delle gare al massimo ribasso, rispetto delle procedure operative previste per legge come quella del “controllo a distanza”, applicazione dei soli contratti nazionali collettivi siglati dalle organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative, modifica ed aggiornamento delle procedure inerenti l’attività del telemarketing, applicazione concreta della “Clausola di salvaguardia sociale” in occasione delle gare e scadenze dei contratti, lotta all’illegalità”.

In quest’ottica si pone il disegno di legge depositato dalla senatrice Stefania Pezzopane (PD) e di cui urge avviare l’iter. Si prevedono, norme organiche per i call center che puntano alla qualificazione del lavoro e delle aziende, una certificazione di impresa per chi assolve agli obblighi contributivi, fiscali e assicurativi e per chi rispetta i contratti nazionali di lavoro.

Gli sgravi contributivi inoltre, in un settore labor intensive dove il costo del lavoro rappresenta l‘80% del conto economico, si traducono in abbattimento del costo del lavoro a favore della committenza alimentando politiche di dumping e non favorendo sana e durevole occupazione: andrebbero quindi riconosciuto ed applicati in maniera maggiormente diluita nel tempo (6 anni invece che 3) per evitare un uso speculativo.

“In base ai costi orari previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro”, ha fatto notare Assocontact, i servizi di customer care dovrebbero essere venduti ad una media di 28 euro/ora: oggi la media è di 21/22 a fronte di gare che anche quando rispettano i criteri cosìddetti della “massima economicità” sono sbilanciate su una valutazione fatta al 70% dal prezzo e solo al 30% dalla qualità dei servizi offerti”.

“Il settore”, ha concluso Assocontact, “rappresenta un anello vitale all’interno della filiera del “digitale”: necessita di un proprio contratto di riferimento e di nuove regole in grado di consentire la sostenibilità economica di un comparto strategico per la crescita del Paese”.