l'analisi

Bye bye mercato unico digitale? Obiettivi Ue a rischio dopo la mancata fusione Telenor-TeliaSonera

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Secondo John Strand, la Ue non è seria sulla Digital Agenda e gli stakeholder, quindi, non dovrebbero perdere tempo a discutere di mercato unico digitale.

La decisione di TeliaSonera e Telenor di rinunciare alla fusione delle rispettive divisioni mobile danesi è stata accolta come una doccia gelata dal settore europeo delle telecomunicazioni che deve ora fare i conti con quello che sembra un approccio radicalmente diverso al consolidamento del settore, rispetto a quello della precedente Commissione europea, che aveva avallato una serie di operazioni che avevano ridotto da 4 a 3 il numero di operatori sul mercato.

La decisione, secondo diversi analisti, avrà un notevole impatto anche su altre operazioni che stanno aspettando il via libera della Commissione, tra cui quella tra Wind e 3 Italia e quella tra 3UK e O2.

Nel mercato mobile danese sono attive 3 reti, 4 operatori tradizionali e una quarantina di operatori virtuali, per una popolazione di 5,5 milioni di abitanti. Mediamente,  per un abbonamento alla rete mobile, si spende in un mese lo stesso prezzo che spende per una pizza o 2 cappuccini.

Per il presidente ETNO Steven Tas, la Commissione europea ha perso di vista l’obiettivo vero di questi merger, ossia creare operatori con la dimensioni e il peso finanziario necessari per investire nelle infrastrutture e realizzare così l’obiettivo di un vero mercato unico digitale.

“E’ un’opportunità mancata perché l’Europa ha bisogno dello sviluppo massiccio delle reti a banda ultralarga e sono operatori più forti possono sostenere gli ingenti investimenti nelle reti e nelle tecnologie”, ha affermato Tas.

Non si può, insomma, pensare di regolare un mercato soltanto facendo la conta degli operatori, ma bisognerebbe esaminare dinamiche più ampie e altri fattori quali la competitività e l’evoluzione tecnologica: meno politica più decisioni basate sui fatti.

E poi, viene da chiedersi: perché nessuna autorità europea è intervenuta per evitare che i giganti della rete come Google, Facebook, Netflix e Amazon diventassero dominanti non solo sui mercati nazionali ma anche su quelli internazionali? E ancora: come si può pensare di far ripartire gli investimenti senza la necessaria trasparenza degli standard utilizzati dalla DG Comp per approvare o respingere un merger?

“Quanto successo in Danimarca è una cattiva notizia per l’intero settore. Se l’industria mobile danese non è riuscita a trovare un accordo con la DG Concorrenza, sarà difficile trovare una soluzione nel Regno Unito e in Italia, Paesi con una popolazione 10 volte maggiore e in cui le metriche non sono così sensazionali come in Danimarca” , ha detto John Strand di Strand Consult.

“Tutti gli operatori hanno problemi di redditività, incluso il principale, TDC e Hi3G. Se, quindi le fusioni non sono consentite, l’unico modo per guadagnare con la telefonia mobile è il taglio dei costi e/o l’aumento dei prezzi”. Un paradosso, insomma, visto che, pur avendo bloccato la fusione per impedire un  aumento dei prezzi, si rischia o di licenziare lavoratori “o di innescare comunque un incremento dei prezzi praticati ai consumatori”, sottolinea l’analista.

“La decisione dell’Antitrust dimostra che la Commissione europea non vuole realizzare seriamente la Digital Agenda. Gli stakeholder, quindi, non dovrebbero perdere tempo a discutere di mercato unico digitale. E’ il momento – aggiunge Strand – di gettare la spugna: la Ue ha perso l’occasione di riprendere la leadership nel mercato della telefonia mobile e gli investitori sanno che ci sono altre regioni e altri settori che garantiscono un outlook decisamente migliore”.

La decisione di mantenere una fermezza tale da indurre i due operatori a rivedere i loro piani “…è sorprendente dato che la Ue aveva approvato altri merger di questo tipo”, ha affermato Thomas Heath di Handelsbanken Capital Markets

Non vede tutto così a tinte fosche UBS, secondo cui la fermezza della Commissione potrebbe essere limitata al caso specifico e non necessariamente “implica la fine del consolidamento del settore”.