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BreakingDigital. Se fosse la Rai l’alternativa a YouTube?

di Michele Mezza, (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) - mediasenzamediatori.org |

Sessanta giovani editori emergenti di casa nostra hanno deciso di rompere con YouTube e di aderire alla piattaforma italiana Blasteem. Ma perché non si propone la Rai come partner digitale dei nostri autori?

BreakingDigital, rubrica a cura di Michele Mezza (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) –mediasenzamediatori.org. Ultimo libro pubblicato Giornalismi nella rete, per non essere sudditi di Facebook e Google,Donzelli editore. Analista dei processi digitali e in particolare delle contaminazioni social del mondo delle news. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Sessanta giovani editori emergenti italiani hanno deciso di rompere con YouTube e mettersi in proprio, aderendo alla piattaforma italiana Blasteem.

E’ la prima volta che un nucleo consistente di artisti, giovani e in larga parte esordienti, ma con un seguito già rilevate, come ad esempio Favij, più di 2 milioni e 300 mila follower, o i Mates e i Melgagodo, con più di 4 milioni ciascuno, decide di lasciare YouTube.

I profili degli autori ci parlano di talenti self made man, che hanno usato i varchi offerti dalla rete, e in particolare la vetrina di YouTube per emergere ed imporsi.

Ma oggi si cammina con la proprie gambe.

Il nodo è in parte economico – l’integratore di Google paga poco – e in parte editoriale, vista l’imposizione di limiti e condizionamenti nella gestione delle comunity degli autori. Questa in effetti è la vera novità del successo online.

Non si tratta di gestire un mercato, di coltivare una platea, di alimentare un mito. In rete il performer deve amministrare una comunity, dosando la propria identità e i mille stimoli che affiorano dall’attualità.

In sostanza, ognuno si trova alla testa di un partito, dove ogni giorno bisogna prendere posizione, organizzare la propria lista di opinion leaders, relazionarla ed alimentarla con i followers.

Entrano in campo, a questo punto, gli altri elementi della piattaforma: oltre alla visibilità, su cui YouTube ovviamente non ha rivali, cominciano a pesare i linguaggi, i contesti, le opzioni, le soluzioni.

Insomma, il mondo delle opportunità si declina per tutte le risorse tecnologiche e diventa un tutt’uno.

Blasteem ha colto questo bisogno, solleticando l’istinto più commerciale degli artisti: una piattaforma chiusa, riservata ai grandi autori di nome, che si propone come grande amministratrice del successo.

Siamo ad un bivio: l’alternativa alla omologazione su YouTube può essere il ritorno ad una gestione puramente editoriale, con impresari che ottimizzano il mercato e basta?

Il rischio è pagare l’indipendenza internazionale con una dipendenza nazionale.

Di rinchiudersi in una bottega, in un negozio forse più controllabile ma meno arioso.

Il limite forse è che una architettura di rete non può nascere solo da un istinto speculativo.

Youtube ha dentro di sé il patrimonio delle sue origini, di quella trasgressione genetica che la rese una grande alternativa alle casseforti del copyright.

Blasteem nasce invece già come contatore di consumatori.

La rottura dei monopoli degli OTT è cosa troppo seria da lasciare a impresari che per quanto illuminati stanno solo trasportando il vecchio modello di business delle scritture nel mondo digitale.

Legittimo, ma insufficiente.

La domanda è: ma se non lo fa la Rai un progetto del genere chi lo dovrebbe fare? Se non è servizio pubblico quello di far parlare e produrre i talenti italiani con linguaggi e culture adeguate ai tempi perché il canone?

Se non è questo il digitale Rai che senso ha avere un responsabile digitale?

Solo per tradurre in bit quanto si produce in modalità tradizionale?

Solo come traduttore simultaneo in digitale dei vecchi linguaggi?

Forse alle mille domande frivole della consultazione sul servizio pubblico potrebbe aggiungersi un’altra: vorresti la Rai come partner del tuo successo?