Il dibattito

BreakingDigital. Il giornalismo faccia i conti con il tramonto della carta

di Michele Mezza, (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) - mediasenzamediatori.org |

Più che stare di sentinella sugli spalti della fortezza Bastiani per scorgere i primi segnali dell’esaurirsi della spinta propulsiva della rete, i giornalisti farebbero bene a chiedersi come ritrovare un ruolo al suo interno.

BreakingDigital, rubrica a cura di Michele Mezza (docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli) –mediasenzamediatori.org. Autore di ‘Giornalismi nella rete, per non essere sudditi di Facebook e Google’. Direttore di Pollicina Academy, centro di ricerca sugli effetti del mobile (www.pollicinacademy.it) Analista dei processi digitali e in particolare delle contaminazioni social del mondo delle news. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Una vera seduta psicoanalitica per giornalisti sull’orlo di una crisi di nervi.

L’ultimo numero de L’Espresso, che torna con la elle maiuscola nella storica testata, come la scrissero i suoi fondatori Arrigo Benedetti ed Eugenio Scalfari, precisa il direttore Tommaso Cerno, si avventura in una riabilitazione della carta, annunciando quasi una imminente chiusura della parentesi digitale.

Il merito appare quanto mai fragile. Tutto il ragionamento che occupa gran parte dell’ormai modesta foliazione del settimanale, si basa su vaghi indizi che segnalerebbero un aumento del consumo di carta.

Analizzando i dati in realtà si tratta di un rallentamento del declino più che di un incremento dei valori assoluti della preziosa materia prima inventata dai cinesi. Come ironizza sullo stesso settimanale Michele Serra, gran parte della carta prodotto ormai è destinata a diventare carta igienica, forse l’unica tipologia al momento non minacciata dalla digitalizzazione.

Metodologicamente mi sembra interessante vedere come persino in una grande scuola giornalistica, quale è ancora L’Espresso, il riflesso condizionato dei giornalisti è quello di immaginarsi comunque legati alla carta. Questo è il vero buco nero da cui la categoria non riesce e, forse, non vuole uscire.

Il giornalismo è quello che si è visto fino ad ora, legato alle forme e ai linguaggi di questi 3 secoli, fatti di carta, per larga parte, e di radio e televisione, nella seconda parte del ‘900. Il resto è una turbolenza, che si spera provvisoria. Una parentesi che prima o poi andrà chiusa.

Le ragioni che vengono portate a giustificazione di quest’illusione sono palesi abbagli, giustificati solo dalla ferma necessità di trovare qualcosa che sostenga la voglia di sopravvivere ma non di cambiare.

Ci si attacca a sporadiche notizie di testate che tornano in edicola, dopo esperienze prevalentemente infelici online. Come ad esempio Newsweek.

Si dimentica di constatare che il glorioso magazine, chiuso 3 anni fa, torna in edicola completamente ripensato a cominciare dai numeri della sua redazione, oggi ridotta a 9 componenti, rispetto ai circa 100 dei suoi tempi migliori.

Oppure si sbandierano i dati di mercato dell’eBook, che ci indicano un’oggettiva stasi nella diffusione del libro digitale. Ma anche in questo caso la realtà sembra invece andare in senso opposto. E’ ovviamente vero quanto si scrive sull’Espresso di un logoramento dei picchi di vendita di eBook ma questo, spiegano gli esperti, è legato al fatto che sta cambiando completamente il modo di trasferire saperi e contenuti fra gli esseri umani. Qui veniamo al punto cruciale: ma davvero possiamo misurare gli effetti della rete usando le categorie dei media?

La rete è in effetti solo la trasposizione in altri ambienti del sistema tradizionale della comunicazione?

Insomma la rete è un media o invece è una protesi della vita, come già Mc Luhan nelle sue ultime intuizioni definiva i sistemi elettronici di comunicazione?

Perché se è vero il primo caso, allora qualcuno deve spiegare perché il mercato editoriale non riesce a trapiantarsi nella rete. Se è vero il secondo, come penso anch’io, ultimo delle fila, allora il problema non è misurare giorno per giorno audience e fatturati ma osservare i comportamenti degli esseri umani di cui la rete è conseguenza e non causa. Persino un prestigioso pensatore come il professor Luciano Floridi, dalle molteplici attività sia in commissioni etiche sul digitale in Europa sia come parte di comitati di consulenza di Google, nella sua intervista ci propone quest’equivoco quando dice che la moltiplicazione dei percorsi digitali produce frammentazione e nicchie identitarie separate.

Rovesciando il rapporto di causa ed effetto fra dinamiche sociali e impatto delle tecnologie: sono i primi, lo spiegava lucidamente Baumann, a determinare i secondi. In sostanza, diceva il grande sociologo scomparso, alla triade lavoro di massa-consumi di massa media di massa si è sostituita una concatenazione che dai lavori individuali porta ai consumi personali e dunque ai media on demand.

Forse più che stare di sentinella sugli spalti della fortezza Bastiani per scorgere i primi segnali dell’esaurirsi della spinta propulsiva della rete, i giornalisti farebbero bene ad analizzare i processi sociali ed a chiedersi come collocarsi in queste dinamiche e come ritrovare un ruolo nei nuovi meccanismi orizzontali di trasferimento dei saperi e delle informazioni. Senza illudersi che la carta igienica possa aiutarli.