Il dibattito

Banda Ultralarga: la sparata su Enel che mette in difficoltà il Governo Renzi

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Nulla di nuovo nell’articolo pubblicato sulla prima pagina del quotidiano La Repubblica, rispetto a quanto si sapeva già da un mese. E allora perchè?

C’è da rimanere sconcertati dalla lettura dell’articolo pubblicato sulla prima pagina del quotidiano La Repubblica.

Alle significative rivelazioni annunciate nel titolo, Ecco il piano delle Tlc banda ultralarga all’Enel “Telecom non basta più”, non segue infatti null’altro di nuovo.

Tutte le informazioni dichiarate erano già note, perché riportate proprio su queste pagine, con un articolo di Key4biz del 17 aprile scorso: Banda Ultralarga: ecco il progetto dell’Enel per entrare in partita. Un articolo più che dettagliato e con stralci del documento originale inviato tre giorni prima, il 14 aprile scorso, da Enel ad AGCOM.

L’articolo di Repubblica “svela” invece il documento dell’Enel del mese scorso come fonte rivelatrice di una nuova scelta forte del governo e come se questo stesso documento (peraltro abbastanza generico e privo di elementi forti) accreditasse una svolta copernicana nel futuro della banda ultralarga italiana.

In verità, nulla di tutto ciò.

Ma allora se non vi è nulla di nuovo, perché Repubblica è uscita in modo così vistoso e urlato?

Qual è la ragione politica di un’uscita così immotivata?

Perché ci si richiama più volte nell’articolo a decisioni governative, presuntamente dell’ultima ora, su fatti retrodatati di quasi un mese?

Per capirne di più occorre procedere con ordine, non solo rileggendo l’articolo di Repubblica e facendo qualche considerazione di merito, ma anche richiamando il contesto nel quale questa uscita fuori dalle righe del quotidiano di De Benedetti ha preso corpo.

Il governo Renzi, Telecom Italia e i 6 miliardi di euro che fanno gola

 

Il governo approva ai primi di marzo la Strategia del governo per la banda ultralarga.

L’azione del governo prevede tre elementi forti:

1) assicurare al paese un’infrastruttura di banda ultralarga;

2) sostenere l’investimento con 6 e passa miliardi di euro di provenienza nazionale ed europea (fondi Fesr, Feasr e Coesione), che potranno essere utilizzati solo in cofinanziamento precedendo l’investimento di operatori privati per un importo di uguale valore

3) assegnare a Metroweb, la società della fibra partecipata da Cassa Depositi e Prestiti, il ruolo di “società veicolo”.

Il prerequisito perché tutte e tre le circostanze del progetto si verifichino è che tutti gli operatori devono accettare di stare nel progetto governativo, ovvero in Metroweb. Così non è perché Telecom Italia condiziona il proprio ingresso in Metroweb all’acquisizione di una quota maggioritaria della società, circostanza che ovviamente non viene accettata dagli altri operatori.

In sostanza Telecom Italia fa resistenza al progetto governativo e dichiara di voler procedere autonomamente. In questo caso, si dirà, in Italia avremo almeno due reti in fibra.

Ma sarà così?

I 6 miliardi di euro provenienti dalle casse pubbliche (nazionali ed europee), non possono essere usati se non attraverso un progetto ecumenico che coinvolga tutti gli operatori.

I fondi pubblici non possono, infatti, essere usati per creare condizioni di svantaggio ad altri soggetti operanti sul medesimo mercato.

Ma allora se gli operatori non staranno tutti sulla stessa barca, sarà vietato usare soldi pubblici. E’ possibile, sia chiaro, che questi ultimi essere impiegati da un soggetto pubblico o a maggioranza pubblica (come Enel) “solo ed esclusivamente” nelle aree corrispondenti ai cosiddetti Cluster C e D, indicati nella Strategia del governo come aree a fallimento di mercato.

In tal senso, è sbagliato, come scrive Repubblica, indicare in ENEL il soggetto prescelto dal governo in sostituzione di Metroweb: perché ENEL con i soldi pubblici potrà eventualmente impegnarsi solo in aree a fallimento di mercato, con l’obiettivo di contrastare il digital divide (ovvero una parte molto limitata del territorio nazionale, basso spendente, a scarsa densità abitativa).

Perché Repubblica sbaglia mira

Invece l’articolo pubblicato sul giornale di De Benedetti ci dice molte altre cose, tutte inesatte.

  • Ci dice che “…L’azienda guidata da Starace, nelle valutazioni di Palazzo Chigi, ha le caratteristiche per diventare il candidato migliore per accelerare sulla banda di ultima generazione”. Ma stiamo parlando di una società che non fa telecomunicazioni, che le telecomunicazioni le ha dismesse nove anni fa (cedendo Wind all’egiziano Sawiris) e che per riprendere quella expertise, a questi livelli, ha bisogno di non pochi anni. C’è da chiedersi se Repubblica valuti in modo appropriato i livelli di complessità industriale del settore…
  • Ci dice che la scelta del governo ha un obiettivo: “… rendere marginale l’attuale rete del soggetto privato Telecom”. Ma dove si è mai visto un governo che si mette a far la guerra ad un’impresa privata sul terreno delle operations di quest’ultima?
    Sono queste le regole con cui intendiamo accogliere gli investitori esteri interessati a portare risorse in Italia? I governi devono creare le condizioni perché gli investitori, anche esteri come molti operatori di tlc, investano. Se invece i governi sono direttamente impegnati nelle operations, devono comportarsi in modo corretto e senza abusare della propria posizione di predominio e di arbitro del mercato. La frase di Repubblica appare francamente del tutto arbitraria. E’ da escludere che questo rientri tra gli intendimenti del governo.
  • Ci dice che Enel ha: “…formalmente dichiarato alle autorità competenti la disponibilità a impegnarsi…mandando così in soffitta la vecchia infrastruttura in ramee senza reclamare un ruolo nella gestione del servizio…”. Insomma il governo userebbe un bounty killer chiamato Enel per sparare alle tempie della rete in rame di Telecom Italia e per questa operazione di killeraggio non riceverebbe in cambio alcunché. Ma cosa ne pensano gli azionisti di Enel, a partire dal Ministero dell’Economia e delle Finanze?
  • Ci dice che il governo guarda a una “…complessiva ristrutturazione del settore delle telecomunicazioni. Che comprenderà anche le reti per le trasmissioni televisive, a cominciare dalle antenne. Con il medesimo obiettivo di fondo: conservare il controllo da parte dello Stato del sistema infrastrutturale, non degli operatori”. Ma qui non si tratta di conservazione (al momento lo Stato non controlla nulla), ma di sottrazione al mercato di asset che oggi sono nelle mani di imprese private. Pensare che a sostegno di questa tesi vengano richiamati i temi della sicurezza nazionale fa sorridere, perché l’alternativa sarebbe quella di un agglomerato fatto solo di società estere delle TLC: tutte benvenute sia chiaro per aver investito in Italia, sia chiaro, ma la privatezza dei dati lascia già molto a desiderare (per tante ragioni che non è il caso di richiamare qui).
  • Ci dice che: “…la società di Starace (Enel, ndr.), sviluppando un progetto già ideato dal predecessore Fulvio Conti ha quindi messo in campo la sua immensa rete”. Ma se Fulvio Conti AD di Enel cedette nove anni fa Wind a Sawiris, con il più profondo disprezzo per il mercato delle Tlc che considerava sempre più senza margini….
  • Infine ci dice che: “…il cavo della banda larga potrà essere steso anche sui tralicci elettrici con la cosiddetta ”posa aerea”. Una opzione che supera le difficoltà degli scavi e ne comprime i costi”. Purtroppo Repubblica ignora il fatto che Enel si è già impegnata con Telecom Italia per mettere a disposizione dell’operatore di tlc tutte le sue infrastrutture: dai tralicci, utilizzati per la “posa aerea” con l’obiettivo di raggiungere le cabine e le abitazioni specialmente nelle zone rurali, ai cavidotti Enel, per portare sin dentro le case la fibra di Telecom Italia. Un accordo, questo, che contribuisce ulteriormente a far saltare il tavolo, tanto più se si scoprisse che Enel ha fatto, per esempio, accordi del genere anche con altre società di Tlc.

E ora cosa accadrà?

Difficile dirlo. La matassa si sta ingarbugliando al di là di ogni possibile previsione.

Il governo porta purtroppo a casa il no di Telecom Italia ad un’azione congiunta di tutti gli operatori.

Questo complica maledettamente tutto. In caso di assenso di tutti gli operatori sarebbe stato semplice declinare quei decreti attuativi dello Sblocca Italia, al momento congelati, per definire il chi, il come, il con quale ruolo e in quanto tempo delle quote di finanziamento agevolato, di fondo perduto e di agevolazione alla domanda.

Invece, dopo il no di Telecom Italia, le risorse pubbliche potranno essere usate solo in aree di digital divide: ben poca cosa, tant’è che molti soldi non potranno essere investiti.

C’è da chiedersi a chi si deve la costruzione di uno scenario così incartato e così apparentemente privo di vie d’uscita.

Per usare un gergo pokeristico, i contendenti dichiarano tutti full e scale reali, ma a guardar dietro le carte spuntano solo doppie coppie o tutt’al più tris.

La regola d’oro per tutti sembra essere quella del “durare un secondo, un solo secondo, più dell’avversario”.

In tale contesto l’uscita di Repubblica rientra nello scenario confuso che colora ormai da mesi l’intera vicenda.

Resta da chiedersi perché una testata così autorevole abbia deciso una uscita del genere.

A questo punto datevi voi una risposta.

Intanto, mentre noi tutti stiamo aspettando una soluzione che assicuri al paese la banda ultralarga, Enel e Telecom Italia a partire dalla prima mattinata hanno perso terreno in Borsa…