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Banda Ultralarga: Ora abbiamo la Strategia, ma a quando il Piano?

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Perché la Strategia approvata ieri si trasformi in atti concreti occorrono strumenti attuativi che dovranno seguire in base alla tabella di marcia prescelta.

L’approvazione da parte del governo della Strategia Italiana per la Banda Ultra Larga (108 pagine) spinge alle prime considerazioni a caldo sul tema. Il testo appare in più tratti incongruente, contraddicendo se stesso in qualche dettaglio, insomma appare scritto un po’ frettolosamente.

Una prima considerazione è che quanto approvato non è il Piano di sviluppo del settore. Un Piano ha una morfologia differente, ha obiettivi e tempi ben scanditi da regole chiare e ferree che definiscono il percorso da seguire.

Ci aspettavamo qualcosa di diverso, di più concreto e impegnativo, inutile nasconderlo.

Perché tale Strategia si trasformi in atti concreti occorrono strumenti attuativi (nel nostro caso numerosi e complessi) che dovranno seguire in base alla tabella di marcia prescelta.

Detto questo, occorre dare comunque il benvenuto a questo primo atto, aspettando che prenda corpo il seguito.

Finalmente si comincia a ragionare con il lungo respiro sullo sviluppo digitale di cui l’Italia ha bisogno.

Eppure le insidie non mancano.

 

Neutralità tecnologica

Il documento, scritto inevitabilmente a più mani, dichiara la scelta fondamentale di neutralità tecnologica come principio guida, ma si tradisce spesso con riferimenti relativi alle sole soluzioni di fibra in tutte le sue declinazioni. Se neutralità deve essere, neutralità sia, ovvero si dia luogo a uno sviluppo aperto a tutte le modalità (fibra, in tutte le sue declinazioni, 4G, altre forme wireless, satellite)

Ci aspettiamo strumenti attuativi coerentemente orientati alla neutralità tecnologica.

Bandi territoriali

Da quanto si evince, sono state individuate 4 tipologie di cluster: A (Aree redditizie destinate all’intervento degli operatori), B (Aree marginali, dove senza i finanziamenti pubblici le condizioni di mercato non sono sufficienti), infine C e D, che vengono accorpate e non si capisce pertanto la distinzione in due aree separate, (Aree rurali o sottosviluppate, ovvero a fallimento di mercato per scarsa densità abitativa o configurazioni orografiche difficili).

Il territorio nazionale è stato poi diviso in 94.000 sotto-aree omogenee.

Nel documento del governo si dichiara l’obiettivo dei 100 Mbps nei cluster A e B (probabilmente in parte) e dei 30 Mbps nei cluster C e D.

Sembra chiaro che nelle aree A (corrispondenti a 500 Comuni italiani dove risiede il 46% della popolazione) si arriverà a bandi di gara attraverso i quali assegnare i singoli territori all’operatore che si sarà aggiudicato la gara (vigerà in questo caso il principio concreto di neutralità tecnologica?).

L’operatore vincitore del bando diventerà pertanto un rivenditore wholesale, svolgendo il ruolo che attualmente svolge Telecom Italia.

In questo caso l’operatore locale wholesale dovrà assicurare procedure veloci ed efficienti di accesso alla rete, con sistemi informatici di incontro tra domanda e offerta (h24). Ma con   quali procedure? Con quali strumenti di rete e quale interoperabilità. Gestire un portale come quello di Telecom Italia per il wholesale non è uno scherzo da poco…

Saranno poi necessari strumenti di controllo e vigilanza come quelli oggi in essere nella vendita wholesale di Telecom Italia agli altri operatori concorrenti?

Infine, chi assicurerà le regole di concorrenza locale nella vendita wholesale? Certamente AGCOM, ma con quali strumenti e chi pagherà per questi nuovi compiti e oneri in capo all’Autorità?

Come si vede il fronte delle domande potrebbe allargarsi a dismisura.

Ma a proposito di tutti i possibili quesiti, sommessamente, pacatamente, quando potremo contare su una configurazione di Piano che trasformi l’attuale Strategia appena approvata dal governo, in una tabella di marcia concreta per assicurare al Paese lo sviluppo digitale di cui la nostra economia ha urgente bisogno?