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Auto elettriche, ok il bando per 4.700 punti ricarica in città. Tutto da rifare per le superstrade

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Il ministero dell’Ambiente comunica il flop del primo bando per le colonnine di ricarica lungo le superstrade, troppi impedimenti burocratici ancora e ora si sollevano dubbi sulla possibilità di evitare di perdere i fondi UE. Meglio la gara per le colonnine in città. La mancanza di un’infrastruttura diffusa e capillare mina la transizione alla mobilità elettrica.

Bando flop, troppi impedimenti tecnico-burocratici

In merito all’Avviso pubblico per le colonnine di ricarica sulle superstrade, non è stato possibile selezionare progetti, in quanto le poche proposte progettuali presentate non avevano i requisiti di ammissibilità alla misura”.

Così stamattina il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase) ha riportato l’esito non positivo del bando per l’installazione di 2.500 punti ricarica lungo le principali arterie extraurbane finanziato dall’Unione europea con 150 milioni di euro.

Un flop, come lo ha definito un articolo pubblicato da La Repubblica nella tarda serata di ieri. Risorse che quindi rimangono congelate, “sempre che l’Unione Europea dia il via libera al loro riutilizzo, cosa di cui il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica è però convinto”, si specifica nella pubblicazione.

Il Ministero, a quanto si apprende stamattina da un comunicato stampa, si è già attivato con gli operatori interessati per individuare le motivazioni che hanno portato alla scarsa adesione, “al fine di adottare le misure più opportune per stimolare una più ampia partecipazione”.

Secondo il quotidiano, sono stati per l’ennesima volta dei “paletti tecnici e burocratici” a creare problemi, soprattutto a quelle società che avevano presentato dei progetti per la realizzazione di colonnine di ricarica da installare lungo le principali superstrade.

Bene la gara per le colonnine di ricarica nei centri urbani

È andata sicuramente meglio, invece, la gara per le colonnine in città e secondo il Mase sono stati selezionati progetti che consentiranno di installarne 4.718, per un importo complessivo di circa 70 milioni di euro. L’obiettivo di questo primo bando era fissato a quattromila colonnine.

A questi primi due avvisi pilota, seguiranno ulteriori procedure di selezione con l’obiettivo di raggiungere il target finale di installare oltre 21.000 infrastrutture di ricarica entro il mese di giugno 2026, per uno stanziamento economico complessivo di 713 milioni di euro.

Sarà possibile recuperare i fondi per le arterie extraurbane?

La prima domanda che in molti si sono posti è: come procedere ora con l’infrastruttura di ricarica destinata alle arterie extraurbane?

Secondo Francesco Naso, segretario di Motus-E, si tratta di un risultato atteso, ora “vanno rivisti i criteri per i prossimi bandi per evitare che una parte delle risorse non venga assegnata”.

D’altronde, come sappiamo ormai bene, senza un’adeguata rete di colonnine di ricarica la mobilità elettrica difficilmente potrà prender piede in Italia.

La seconda è appunto relativa alle risorse finanziarie: i fondi non impegnati si potranno recuperare? Il Mase appare convinto di questo.

La mancanza di un’infrastruttura di ricarica diffusa e capillare frena il passaggio all’auto elettrica

Di fatto, guardando i dati contenuti nella Sintesi Statistica 2022 pubblicata annualmente dall’UNRAE, proprio la scarsità di punti ricarica, o comunque la loro diffusione non omogenea sul territorio nazionale, sta creando una barriera molto rilevante al passaggio alla mobilità elettrica da parte degli italiani.

A rallentare la transizione energetica e il processo di decarbonizzazione sono stati i ritardi sul fronte delle infrastrutture di ricarica, la cronica penalizzazione fiscale delle auto aziendali in uso promiscuo, le ‘storture’ introdotte nello schema 2022-24 per gli incentivi all’acquisto di vetture a basse emissioni”, ha spiegato il Direttore Generale dell’UNRAE, Andrea Cardinali.

Le vetture elettriche (pure + ibride plug-in) hanno subito una battuta d’arresto perdendo in un anno oltre 20.000 unità (da 136.800 a 116.500), scendendo a quota 8,8% e bloccando il nostro Paese all’ultimo posto fra i cinque maggiori mercati d’Europa. Un ritardo che pesa sull’ambiente a causa di una discesa molto lenta delle emissioni di CO2.