Reputation

AssetProtection. Reputazione aziendale: cause e nuove strategie (II parte)

di Alberto Buzzoli, Socio ANSSAIF – Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria |

Solo dopo aver ridisegnato i processi, analizziamo la compatibilità con il funzionamento degli strumenti informativi e se serve riconfiguriamoli.

La rubrica AssetProtection, ovvero Riflessioni su sicurezza e terrorismo, a cura di Anthony Cecil Wright, presidente Anssaif (Associazione Nazionale Specialisti Sicurezza in Aziende di Intermediazione Finanziaria). Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Con l’ultimo articolo abbiamo individuato le principali componenti di un modello di organizzazione che sono in grado di agire sulla reputazione aziendale in modo positivo, oppure se trascurate, con effetti fortemente negativi.

Per quanto riguarda l’ingegnerizzazione, cominciamo con il prendere in esame i processi, analizzandone l’efficacia non secondo gli obiettivi dell’organizzazione ma sforzandoci di riconsiderarli nell’ottica dei clienti. Riconsideriamo inoltre quanto questi siano aperti anche agli input e feedback provenienti dal contesto esterno: ad esempio, prevedono e si rimodellano in base ad eventuali reclami?

Solo dopo aver ridisegnato i processi, analizziamo la compatibilità con il funzionamento degli strumenti informativi attualmente disponibili, eventualmente riconfigurandoli appropriatamente, tenendo anche in considerazione gli aspetti di ergonomia delle interfacce oltre che quelli meramente operativi. E’ doveroso rammentare che nel concetto di ergonomia delle interfacce è insito anche quello di sicurezza, in termini di contributo alla drastica diminuzione del margine degli errori possibili e alla leggibilità e funzionalità dei sistemi di warning predisposti. Prendiamo inoltre in considerazione quanto processi e strumenti siano orientati a capitalizzare il know how generato ogni volta che vengono attivati.

Per ciò che riguarda le persone è fondamentale rimettere in discussione le attività formative verso i collaboratori, le modalità di gestione dei team di lavoro ed in generale quelle di comunicazione interna ed esterna. Mi riferisco anche al marketing, all’interazione diretta con il cliente, alle tecniche di ascolto e raccolta dei feedback. Dovrebbe poi essere costantemente monitorato il livello di soddisfazione delle parti. Parallelamente è opportuno riconsiderare come ci si presenta all’esterno e quali sono (se ce ne sono) le attività comunicative compiute nell’ambito dei social network e del web in generale, non tralasciando mai gli aspetti correlati anche alla brand identity e alla comunicazione visual: anche l’occhio vuole la sua parte.

Le indagini in ambito di compliance dovrebbero riguardare la conformità amministrativa in genere, le modalità di vendita, il rispetto dei requisiti obbligatori dei prodotti / servizi ed eventualmente ulteriori requisiti addizionali applicati volontariamente, le formule di garanzia e assistenza messe a disposizione. Inoltre è necessario presidiare accuratamente, revisionando tutte le attività poste in campo, gli aspetti di sicurezza, garantendo quindi ai collaboratori ed ai clienti sicurezza fisica, disponibilità dei prodotti e servizi e sicurezza nel trattamento delle informazioni che li riguardano, secondo le vigenti normative sulla privacy.

Per ciò che concerne l’infrastruttura e la strumentazione potremmo dedicare un po’ d’attenzione alle modalità di organizzazione del lavoro secondo i nuovi modelli  smart e coworking, sia per ciò che riguarda gli strumenti informatici utilizzati, sia per l’organizzazione degli spazi degli uffici, sia anche per la libera organizzazione del tempo dei collaboratori, aiutandoli a gestire in modo sereno esigenze personali, l’interazione con i gruppi di lavoro ed i necessari momenti di riflessione e concentrazione individuali. Gli arredi dovrebbero favorire al massimo la raccolta differenziata, inclusa quella di materiali particolari. I materiali di consumo utilizzati dovrebbero essere quanto più ecologici possibile e, parallelamente, dovrebbe essere disincentivato definitivamente l’impiego della carta e di materiali tossici.

Man mano che l’attività di indagine progredisce si noterà che molti fattori, anche allocati in aree concettuali differenti, instaurano naturalmente tra loro un rapporto di causa effetto, fino a tessere una rete di interazioni incredibilmente fitta. Faccio un solo esempio: favorire un’attività di smart working anche fuori ufficio può avere impatto positivo sull’abbattimento dei consumi (emissioni nocive e spesa) legati agli spostamenti per raggiungere il posto di lavoro ma anche sul consumo energetico negli uffici. Può quindi generare maggior serenità nel collaboratore e di conseguenza favorire maggior predisposizione al rispetto delle regole definite, con un impatto positivo sulla dimensione della compliance, ed indurlo ad una miglior comunicazione con il cliente, generando a sua volta una maggior soddisfazione per entrambi.

Conosco l’obiezione comune. “Bello, ma come garantisco nell’immediato fatturato e margine?”. Sono poche le aziende che hanno acquisito la capacità di marciare a doppia velocità: fare le cose fatte bene sin dall’inizio ed in modo rapido. E per quelle che ancora non sono pronte sarà più redditizio intraprendere un percorso orientato a configurare un modello simile a quello che abbiamo proposto piuttosto che perseverare nella gestione dell’emergenza costante, che tra l’altro è costosissima. Prima o poi il volto dell’organizzazione si mostrerà per ciò che realmente è. Ed il sogno di ogni imprenditore non è forse quello che ogni cliente si innamori a prima vista?