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Apple vs. FBI: perché la società invoca il primo emendamento?

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Per i legali di Apple, sarebbe come se il Governo volesse costringere un giornalista a scrivere una storia al suo posto: non si può costringere un’azienda a scrivere un sistema operativo con delle falle di sicurezza.

Continua a tenere banco, oltreoceano e non solo, il caso Apple vs. FBI, con la società di Cupertino che si rifiuta di creare un nuovo software che consenta agli inquirenti di sbloccare l’iPhone di uno degli attentatori di San Bernardino. Un rifiuto che ha ricevuto il plauso di molte società della Silicon Valley (da Google e Twitter e Facebook) ma che ha anche registrato molti oppositori.

Ultimo in ordine di tempo il fondatore di Microsoft Bill Gates, secondo cui la richiesta del giudice può essere paragonata a una richiesta rivolta, nel corso di un’indagine, a una società telefonica o a una banca per conoscere i contenuti di un tabulato telefonico o i movimenti di un conto corrente. Si tratta comunque, ha precisato Gates, di “un caso specifico, in cui il governo chiede informazioni. Non chiedono delle cose in generale, ma delle cose in particolare”. Ed Apple, dunque, dovrebbe rispettare la richiesta del giudice.

Intanto, però, Cupertino ha deciso di invocare il primo emendamento della Costituzione americana per giustificare la sua opposizione alla richiesta delle autorità.

Secondo uno degli avvocati di Apple, Theodore J. Boutros, nel 1999, una delle più importanti Corti d’appello americane (quella per il nono circuito del distretto della California) ha riconosciuto che la scrittura di un codice sorgente di un software è una forma di ‘espressione’ ed è quindi protetta dal primo emendamento.

Sarebbe come se il Governo volesse costringere un giornalista a scrivere una storia al suo posto: allo stesso modo, non si può costringere un’azienda a scrivere un sistema operativo con delle falle di sicurezza.

Questo è un punto fondamentale del primo emendamento che tutelando la libertà di espressione protegge anche il diritto a ‘non esprimersi’: “nessuno può costringerti a esprimerti o a non farlo”, secondo la Costituzione americana, ha spiegato il costituzionalista David Rivkin.

E’ anche vero, però, che oltre al caso del 1999, di precedenti che difendono l’idea che una linea di codice sia una forma espressiva sono ben pochi. C’è un altro precedente che risale al 1943, spiega il docente di diritto Andrew Keane Woods: secondo una Corte del West Virginia non soltanto le parole, ma anche le azioni fisiche – come il saluto alla bandiera – possono essere protette dal primo emendamento. Una decisione che permetterebbe a Apple di invocare un ampio concetto di libertà di espressione.

Nella sua difesa Apple, secondo cui dovrebbe essere il Congresso e non un’aula di tribunale a stabilire i confini tra sicurezza e privacy dei cittadini e necessità delle forze dell’ordine, obietterà inoltre la decisione del giudice di utilizzare una legge del 1789, la ‘All Writs Act’ per costringerla ad aiutare l’FBI. Si tratta, infatti, secondo la società, di uno strumento legale “radicale, che consente ai giudici di emettere ordini se non sono percorribili altre vie giudiziarie”.

“Non è opportuno che il governo cerchi di ottenere attraverso i tribunali quello che non è riuscito a ottenere attraverso un processo legislativo”, ha spiegato l’avvocato.

Le autorità, dal canto loro, sottolineano che l’uso di questa legge è stato validato dalla Corte Suprema nel 1977 per obbligare una società telefonica newyorkese a mettere a disposizione della polizia i dati necessari per monitorare dei sospetti.

Ma si tratta di vicende sostanzialmente differenti visto che la società telefonica era comunque sottoposta a obblighi di servizio pubblico e disponeva già delle tecnologie necessarie. E questo non è il caso di Apple.