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Apple vs. Fbi. Obama: ‘No a visioni assolutiste, serve compromesso anche sulla privacy’ (Video)

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C’è bisogno, insomma, di un compromesso, come in tutte le decisioni importanti: i dati non possono essere trattati come qualcosa di differente e soprattutto nessuno deve chiudersi nel suo angolo.

Mentre nel mirino dell’FBI potrebbe entrare anche Whatsapp coi suoi messaggi a prova di spia, Barack Obama è intervenuto sulla polemica legata alla cifratura degli smartphone. pur senza entrare apertamente nel merito dello scontro in corso tra Apple e il Dipartimento di Giustizia.

A Austin, davanti alla platea del festival South by Southwest (SXSW), Obama è stato invitato a esprimersi sul ruolo della tecnologia per incoraggiare l’impegno civile e politico.

Ha ovviamente pesato le parole Obama nei suoi 12 minuti di intervento, sottolineando di non poter commentare la questione specifica, ancora in fase istruttoria, ma le sue affermazioni lasciano poco spazio al dubbio su quale parte abbia inteso sostenere. La critica è andata principalmente a quella che Obama ha definito una visione ‘assolutista’ e forse esacerbata anche dalle rivelazioni di Edward Snowden che hanno contribuito ad alimentare i sospetti degli americani (e non solo degli americani, verrebbe da dire) nei confronti del Governo. Sospetti, però, dice, decisamente esagerati. La realtà dei fatti, ha spiegato Obama, è che “noi non vogliamo che il Governo sbirci nei telefonini di chiunque, volente o nolente, senza una supervisione o una ragione concreta o senza un chiaro sentore che si stia prendendo di mira un malfattore. E c’è un chiaro motivo per questo: i nostri smartphone sono ormai pieni di informazioni e dati strettamente personali”.

Allo stesso modo, nessuno vuole indebolire i sistemi di crittografia, visto che anche se tutti vogliono combattere il terrorismo, nessuno vuole mettere a rischio i sistemi che regolano il traffico aereo o i mercati finanziari. Va comunque trovata una soluzione equilibrata, che consenta agli inquirenti, se necessario, di poter indagare a 360 gradi su un pedofilo o un terrorista o semplicemente su un evasore fiscale.

Il punto è, chiarisce, che “…Prima degli smartphone se c’era un plausibile sospetto che una persona avesse commesso un serio crimine – il rapimento di un bambino o il coinvolgimento in atti di terrorismo – le forze dell’ordine, dietro mandato potevano andare a rovistare anche nel cassetto della biancheria intima in cerca di prove di colpevolezza…e siamo d’accordo su questo punto perché sappiamo che….fermo restando l’importanza dei diritti fondamentali occorre imporre dei limiti per garantire che tutti possiamo vivere in sicurezza e in una società civile”.

Ironizzando sul suo ruolo, Obama ha quindi sottolineato che “non è che, come si tende a credere in seguito al caso Snowden, io sto nella Sit Room a muovere le cose. Non è che con una mezza impronta digitale, dopo mezz’ora sto tracciando i movimenti di un ragazzo per le strade di Istanbul. A volte sto solo cercando una connessione…”.

La conclusione è, appunto, che non bisogna essere ‘assolutisti’ perché “Una crittografia forte, incurante delle conseguenze…feticizza i nostri telefonini, ponendoli al di sopra di tutti gli altri valori e questa non può essere la risposta giusta”, ha affermato Obama, secondo cui la soluzione sarebbe quella di creare “una crittografia più forte possibile e una chiave di accesso più sicura possibile, accessibile al minor numero possibile di persone e per una serie di questioni ritenute da tutti importanti”.

Su come arrivare a questa soluzione Obama non si sbilancia: ‘non sono un ingegnere’ ha detto, sottolineando però di essere dalla parte di chi difende le libertà civili.

C’è bisogno, insomma, di un compromesso, come in tutte le decisioni importanti: i dati non possono essere trattati come qualcosa di differente e soprattutto nessuno deve chiudersi nel suo angolo altrimenti le conseguenze potrebbero essere nefaste, ha concluso il presidente, dicendosi fiducioso che una soluzione verrà trovata senza arrivare a far intervenire il Congresso.