Concorrenza

Antitrust, Relazione Annuale: la presentazione di Giovanni Pitruzzella

di |

La presentazione integrale del presidente Giovanni Pitruzzella della Relazione annuale dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che si è tenuta oggi al Senato.

Signor Presidente del Senato, Autorità, Signore e Signori

1. Cominciamo leggendo i dati che illustrano l’attività svolta dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato dal 1° gennaio 2015 all’8 giugno 2016. Le sanzioni in applicazione dell’enforcement antitrust sono state pari a 433 milioni di euro. Le sanzioni in materia di tutela del consumatore ammontano a oltre 71 milioni di euro. Nel periodo gennaio 2014-giugno 2015, le sanzioni erano rispettivamente pari a 266 milioni di euro e a 30 milioni di euro. C’è stato quindi un incremento rispettivamente del 63 per cento e del 137 per cento.

Nel periodo considerato sono stati chiusi 19 procedimenti per intese, 4 procedimenti per abuso di posizione dominante, 9 procedimenti per concentrazioni (in 57 casi, l’Autorità ha deliberato di non avviare il procedimento, avendo ritenuto l’operazione non idonea a determinare la creazione o il rafforzamento di una posizione dominante nei mercati interessati). I procedimenti chiusi con l’accertamento dell’illecito antitrust e l’irrogazione della relativa sanzione sono stati pari a 18. Quelli chiusi con impegni sono stati 5. In un caso il procedimento si è concluso con l’accertamento dell’insussistenza dell’illecito. La durata media del procedimento è di un anno e mezzo, una durata considerevolmente inferiore a quella dei procedimenti davanti la Commissione europea.

Nel corso del periodo di riferimento, l’Autorità ha inoltre concluso 5 indagini conoscitive (di cui 3 nel 2016).

Per quanto riguarda la tutela del consumatore, i procedimenti conclusi con l’irrogazione di una sanzione sono stati 129, 23 quelli chiusi con impegni. I procedimenti per pubblicità ingannevole sono stati 7, tutti chiusi con l’irrogazione di una sanzione. Per la prima volta è stata applicata la disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari, con 2 procedimenti aperti, di cui 1 chiuso con sanzione.

Numerose sono state le iniziative volte a indurre le pubbliche amministrazioni a rimuovere comportamenti lesivi della concorrenza, tra cui gli interventi ai sensi dell’art. 21 bis. Un’attività questa che si colloca a metà strada tra l’enforcement e l’advocacy. Più precisamente sono stati rilasciati 25 pareri: nel 60 per cento dei casi 3 le amministrazioni si sono adeguate al nostro parere. In 10 casi, perdurando il comportamento lesivo della concorrenza, è stato proposto ricorso al Tar.

Gli altri pareri rilasciati, talora su richiesta delle pubbliche amministrazioni, sono stati 87. Di questi 16 sono stati chiesti dalla Consip e 18 dalla Presidenza del Consiglio nell’ambito del controllo sulle leggi regionali.

Per quanto riguarda l’advocacy, sono state adottate 21 segnalazioni, dirette a organi politici e amministrativi per la rimozione di regolazioni anticoncorrenziali. Con riguardo alle “competenze residue”, sono stati svolti 51 procedimenti in materia di conflitti d’interesse e 1843 per il rilascio o rinnovo del rating di legalità.

2. Esposti i dati e le tendenze, possiamo chiederci a che cosa serva un così corposo intervento dell’Autorità della concorrenza in questo periodo di cambiamenti profondi. Naturalmente non intendo, in questa sede, riprendere i fili di un lunghissimo dibattito sugli scopi della politica della concorrenza, piuttosto vorrei evidenziare quali sono gli obiettivi e le conseguenze in termini di benessere sociale dell’intervento concretamente effettuato dall’Autorità italiana nell’attuale momento storico.

Va fatta una premessa: la “grande trasformazione” in cui siamo immersi inevitabilmente interagisce con il ruolo e le funzioni delle autorità di concorrenza. L’indispensabile indipendenza dei membri dell’Autorità da influenze e condizionamenti da parte del potere politico non significa che l’Antitrust viva in una bolla separata dalle dinamiche economiche, sociali e politiche. Le diverse stagioni dell’Antitrust in Europa e negli Stati Uniti hanno sempre risentito dei cambiamenti nel rapporto tra mercato e intervento pubblico e delle idee e teorie economiche di volta in volta prevalenti.

Sappiamo tutti quali sono state le principali forze che hanno spinto il cambiamento. In particolare, la globalizzazione economica, in Europa il mercato interno e la creazione dell’euro, l’affermazione di Internet e delle tecnologie digitali. Tutto è avvenuto in un tempo estremamente breve.

La rivoluzione digitale è stata una delle forze che ha favorito la globalizzazione. Ormai l’economia digitale non è più uno dei settori dell’economia, ma costituisce l’ossatura dell’economia del XXI secolo, fatta di Internet, delle piattaforme che operano nel web, di commercio online, di fabbriche robotizzate, di Internet of Things.

Nel XVIII secolo la macchina a vapore fu la base tecnologica che innescò la rivoluzione industriale, e con essa la compiuta affermazione dell’economia di mercato, che poi determinarono una trasformazione sociale e politica senza precedenti; oggi la crescita esponenziale della capacità dei microprocessori (la “legge di Moore”), unita alla capacità di elaborare sempre più sofisticati algoritmi e modelli di business online, stanno cambiando in profondità la struttura dell’economia e, forse, della stessa società.

Tra i tanti aspetti dei cambiamenti strutturali che ne derivano, mi limito a ricordarne alcuni.

Il primo è che nella nuova economia l’accesso ai servizi digitali è una componente essenziale della competitività e che l’economia digitale per poter funzionare e esprimere il suo potenziale di crescita richiede una infrastruttura di rete con una grande disponibilità di banda.

Il secondo è che non esiste una separazione tra la dimensione materiale e la dimensione immateriale dell’esistenza. Come è stato osservato, Internet è diventata “l’interfaccia utente della dimensione materiale”. Infatti, per potere svolgere un’attività nella dimensione materiale sempre più frequentemente occorre passare da piattaforme online, che quindi funzionano da veri e propri gatekeepers, in grado di controllare l’accesso al mercato.

Il terzo è che i nuovi mercati digitali sono animati da una innovazione “distruttiva”. L’innovazione disruptive è quella che destabilizza e cambia drasticamente i mercati, segnando una fase di discontinuità nella loro evoluzione. Non si tratta di miglioramenti tecnologici incrementali, regolari e prevedibili, ma di scoperte rivoluzionarie – di prodotti, processi produttivi, ma anche modelli di business – che portano a cambiamenti inaspettati nel modo di produrre e di organizzare gli scambi e le catene del valore. Gli operatori incumbent sono spesso colti di sorpresa da tali mutamenti radicali e tendono a reagire con strategie volte a limitare e contenere 5 gli effetti distruttivi dell’innovazione tecnologica.

Questo sta avvenendo, per esempio, con riguardo alla sharing economy, dove assistiamo, tra i tanti, ai conflitti tra piattaforme come Uber e Airbnb, da una parte, e i tassisti e gli albergatori dall’altra.

Infine, la tendenza nei mercati digitali è verso la creazione di nuovi monopoli, perché l’innovatore di successo può sfruttare i vantaggi derivanti dalle economie di scala, dalle esternalità di rete, dalla possibilità di conquistare consumatori in una dimensione globale. I nuovi monopolisti hanno portato alla società il beneficio dell’innovazione, ma c’è il rischio che poi utilizzino il loro potere di mercato per impedire che altri innovino oppure per sfruttare il consumatore.

3. “La grande fuga” non è solo il titolo di un famoso film del 1963 che racconta l’evasione di un gruppo di soldati da un campo di prigionia della seconda guerra mondiale, ma è anche il titolo che Angus Deaton, uno dei massimi esperti di sviluppo economico, ha dato al suo libro che descrive quel grandioso processo storico, iniziato nel XVIII secolo, che ha portato masse immense di individui a fuggire dalla povertà, dalle malattie e dalle deprivazioni. La crescita economica è stata il motore della fuga dalla povertà e dalla privazione materiale. Ciò è avvenuto con la rivoluzione industriale tra il XVIII e il XIX secolo ed è avvenuto, più recentemente, con la globalizzazione, che ha portato benessere economico anche a chi prima ne era escluso.

La chiave principale del progresso è stata l’innovazione, che nasce dalle nuove conoscenze, dalle nuove invenzioni, dai nuovi modi di fare le cose. E poi la loro diffusione ed il loro incremento presso un’ampia platea di imprese. Quindi la possibilità di commerciare i beni e i servizi così prodotti in mercati sempre più ampi.

Tutti i momenti di progresso più rilevanti si sono lasciati indietro uno strascico di diseguaglianze. Anche perché le epoche di innovazione sono generatrici di ondate di “distruzione creatrice”. I nuovi metodi spazzano via quelli vecchi, incidendo negativamente sui mezzi di sostentamento dei gruppi che vivevano secondo il vecchio ordine. La caduta delle barriere nazionali e l’apertura dei mercati hanno effetti simili. Infatti, l’importazione di beni a buon mercato è in tutto simile a un nuovo modo di produrli e si trasforma in una maledizione per chi si guadagnava da vivere producendo quei beni nel 6 proprio Paese. Ancora maggiori sono gli effetti disruptive della rivoluzione digitale sui mercati tradizionali, per cui crescono i conflitti tra chi trae vantaggi dall’innovazione e chi resta indietro. Internet non è il regno dell’armonia e della libertà, come suggeriva un certo millenarismo tecnologico, ma il terreno dei nuovi conflitti del XXI secolo.

Questi conflitti distributivi aumentano nel tempo presente perché il mondo, in particolare quello ricco, stenta a crescere, e quasi ovunque, e certamente in Italia, il rallentamento della crescita è stato accompagnato dall’aumento delle diseguaglianze. Tutto ciò mina la coesione sociale, la legittimazione della democrazia e delle sue classi dirigenti, ma ha anche effetti economici assai pericolosi. Da una parte, la perdita di reddito, soprattutto da parte della classe media, depotenzia la domanda interna; dall’altra, la concentrazione di ricchezza può spingere chi è già riuscito a fuggire a bloccare alle proprie spalle le vie di fuga percorse. Questi gruppi sempre più spesso cercano rendite di posizione, sostituendo la concorrenza sui meriti con le pratiche concordate, strappando al decisore politico norme di privilegio, oppure ottenendo provvedimenti di favore da parte delle amministrazioni pubbliche.

Già negli anni ottanta del secolo scorso Mancur Olson aveva previsto che i Paesi ricchi sarebbero entrati in una fase di declino, insediati dalla ricerca delle rendite di posizione da parte di un numero crescente di gruppi di interesse ristretti, intenti esclusivamente a perseguire i propri affari a spese di maggioranze non organizzate. Nei tempi presenti, assistiamo a denunce vivaci contro il crony capitalism (dagli Stati Uniti al Regno Unito) e il “capitalismo di relazione” (Italia).

La ricerca delle rendite, da una parte, costituisce un freno all’innovazione e quindi contribuisce a rendere stagnante l’economia e, dall’altra parte, accresce le diseguaglianze. Infatti, in tal caso l’avanzamento di alcuni avviene a scapito degli altri. Il miglioramento della posizione economica dei primi si realizza non perché producono più ricchezza, ma perché il gruppo che si giova della rendita di posizione ottiene una maggiore quota di ricchezza togliendone una parte agli altri. Per questo chi ritiene che una delle cause della crisi del 2008 sia da rintracciare nell’eccesso di diseguaglianze auspica l’irrobustimento dell’azione antitrust (Stiglitz).

4. Certamente non sarà l’Autorità della concorrenza a risolvere molte delle questioni epocali che ho richiamato. Esse infatti chiamano in causa le responsabilità di molteplici attori e di diverse istituzioni, in primo luogo le istituzioni politiche.

Ma l’Antitrust può dare (e attualmente sta cercando di dare) il suo contributo, naturalmente nei limiti dei suoi poteri. Gran parte dei problemi cui ho, sia pure molto sinteticamente, fatto cenno coinvolgono l’Autorità della concorrenza. Infatti, abbiamo parlato della sostituzione della concorrenza con le rendite di posizione, del ruolo cruciale dell’innovazione e dei tentativi da parte di chi ha un elevato potere di mercato di bloccarla, dell’emergere di nuovi monopolisti e di nuovi gatekeepers, delle spinte protezionistiche e anticoncorrenziali e dei loro effetti sulle decisioni pubbliche, di regolazione anticoncorrenziale, delle diseguaglianze che aumentano anche per effetto di chi ha un potere di mercato tale da bloccare la concorrenza e sfruttare i consumatori.

L’Antitrust interagisce con il cambiamento, ne è influenzata ma al tempo stesso lo influenza, ne è condizionata e vi reagisce, in un insieme di azioni e retroazioni. Ma nel fare tutto ciò l’Autorità non è sola, perché essa opera all’interno di un circuito di stretta collaborazione con la Commissione UE e con le autorità della concorrenza degli altri Stati membri. Pertanto, per capire cosa fa oggi l’Antitrust è indispensabile guardare al dialogo costante che si sviluppa tra Palazzo Berlaymont a Bruxelles, gli uffici di Piazza Verdi a Roma, le autorità dislocate nelle altre capitali europee, e, per certi versi, anche agli stimoli che provengono dal circuito globale delle autorità antitrust (nel mondo ci sono 104 autorità della concorrenza affiliate all’International Competition Network).

Per inquadrare le sfide che l’Antitrust sta affrontando in Italia ho fatto riferimento ad un contesto europeo e talora persino globale. Certamente esistono delle specificità italiane, e problemi comuni vanno declinati con riguardo alle caratteristiche della nostra economia e del suo sistema produttivo. Caratteristiche evidenziate dal Presidente di Confindustria, nella sua recente relazione all’Assemblea annuale della stessa Confindustria. Quest’ultimo, tra l’altro, ha sottolineato il carattere duale del sistema imprenditoriale, con alcune imprese che innovano, esportano e competono nei mercati globali, ed altre incapaci di reggere il passo, ed anche il deficit di produttività che penalizza il Paese. Occorre favorire la modernizzazione di quella parte del sistema industriale che è rimasto indietro e per questo servono svariate politiche, soprattutto con riguardo alla riduzione della tassazione sull’impresa e sul lavoro (lo ha ricordato recentemente l’OCSE), alla crescita dimensionale delle imprese, a forme di finanziamento diverse da quelle del credito bancario, a un forte supporto ai processi di internazionalizzazione, nonché a quell’insieme di interventi messi in cantiere dal neo-Ministro per lo Sviluppo Economico. Tra le cose importanti, c’è anche la crescita della pressione competitiva che, tra l’altro, stimola efficienza e innovazione.

L’importanza ai fini della crescita degli interventi sul piano dell’offerta e della competitività, e in quest’ambito lo stimolo dell’innovazione, aumentano quando, in alcuni Paesi come l’Italia, ci confrontiamo col forte peso del debito pubblico. Esso, infatti, pone dei limiti significativi alla possibilità di condurre politiche di crescita prevalentemente basate sullo stimolo fiscale. E questo limite sussiste indipendentemente dalle regole europee e dai loro margini di flessibilità.

5. Gli interventi recenti dell’Antitrust affrontano alcune delle sfide lanciate dalla “grande trasformazione”.

Cominciamo con l’innovazione. Oggi l’innovazione è sempre più sinonimo di economia digitale. Quando si parla di economia digitale la più urgente questione che il Paese deve affrontare è quella di disporre di un’infrastruttura di rete che disponga di una capacità di banda adeguata all’uso delle moderne ICT e consenta di raggiungere gli obiettivi dell’Agenda digitale europea (e, in particolare, entro il 2020: la copertura con banda pari o superiore a 30 Mbit/s del 100 per cento dei cittadini e un tasso di penetrazione dei servizi con velocità superiore a 100 Mbit/s, pari al 50 per cento delle unità abitative). Questa è la condizione per entrare nell’era di Industry 4.0. Non è compito dell’Antitrust elaborare le politiche pubbliche che portino a questo risultato. Ma l’Antitrust può concorrere a definire una cornice che favorisca l’innovazione nella rete.

In questa prospettiva si collocano vari interventi. Il primo è stato la decisione di qualche tempo fa di sanzionare per un abuso escludente (104 milioni di euro) l’incumbent Telecom Italia il quale, forte del controllo dell’essential facility costituita dalla rete in rame, ostacolava la concorrenza degli operatori alternativi – che, in assenza di altre infrastrutture, dovevano accedere alla sua rete – nell’offrire servizi di connessione a internet a banda larga. L’incumbent aveva l’incentivo a sfruttare il controllo della rete esistente (cioè una rendita di posizione), per estrarre il massimo ricavo possibile, piuttosto che investire nell’infrastruttura per rendere servizi di migliore qualità. Quella decisione ha alterato il quadro degli incentivi esistenti a favore di più concorrenza e innovazione. Essa ha dimostrato che, in un settore strategico per lo sviluppo dell’economia digitale, in Italia è garantito sul serio il level playing field, e che le rendite di posizione sono contrastate mentre è promossa la concorrenza basata sui meriti.

La decisione dell’Autorità, confermata integralmente nel 2015 dal Consiglio di Stato – la cui giurisprudenza concorre autorevolmente e sapientemente a definire il “diritto vivente della concorrenza”, anche in quei casi in cui corregge l’operato dell’Autorità – ha definitivamente indotto Telecom Italia ad avviare, nell’ultimo anno, un processo di riorganizzazione interna di grande portata, diretto ad assicurare l’eguaglianza di trattamento a tutte le richieste di accesso alla rete, indipendentemente dal fatto che provengano dalla stessa Telecom Italia o da altri operatori. Il comportamento dell’incumbent si si sta aprendo a favore della concorrenza e dell’innovazione, a dimostrazione del fatto che gli effetti dell’intervento antitrust vanno ben oltre la sola irrogazione di sanzioni. L’Antitrust sta monitorando con estrema attenzione l’attuazione di questo processo di riorganizzazione, in esecuzione della sua decisione.

Nel medesimo settore, nel corso del 2015, l’Antitrust ha sanzionato (28 milioni di euro) un’intesa che riguardava i servizi di manutenzione della rete, che preveniva il confronto competitivo e l’evoluzione verso forme di erogazione disaggregata dei servizi tecnici accessori. Essa ostacolava i concorrenti di Telecom Italia (mantenere il controllo dei servizi di manutenzione equivale a mantenere il controllo pieno della rete, che può essere sfruttato anche a danno dei concorrenti). Anche alla luce di quanto emerso nel procedimento antitrust, l’AGCOM ha adottato una decisione finalizzata ad assicurare il cambiamento nelle modalità di fornitura dei servizi accessori, attraverso forme di disaggregazione ed esternalizzazione dei servizi connessi ad attività di attivazione e manutenzione.

Sempre con riguardo alla rete, l’Autorità ha condotto 10 congiuntamente con l’AGCOM, un’Indagine conoscitiva sulla banda ultra-larga. L’indagine ha sottolineato come sia necessaria la realizzazione di un’infrastruttura a banda ultra-larga, ricorrendo a modalità che privilegino la fibra ottica, nonché l’esigenza che qualsiasi soluzione di sviluppo della rete assicuri pienamente il confronto competitivo tra i fornitori di servizi di accesso a internet. L’indagine ha fornito degli spunti utilizzati dal Governo per l’elaborazione della Strategia italiana per la banda ultralarga. Nella ferma distinzione di ruoli, l’Autorità ha interagito con il processo di attuazione di questa strategia, rilasciando i pareri relativi agli schemi generali dei bandi di gara per il finanziamento pubblico delle nuove reti in fibra nelle aree a fallimento di mercato (i cluster C e D).

Ricordo come per l’investimento pubblico per la realizzazione della rete in fibra ottica siano già stati stanziati fondi per 3,4 miliardi di euro, con importanti ricadute sulla produttività del sistema economico italiano. Secondo un recente documento dell’Istat, l’effetto dell’investimento pubblico sulla produttività delle sole microimprese (tra tre e nove addetti) oscillerà tra il 7 per cento e il 23 per cento.

Nel contesto che si è tratteggiato sta tramontando definitivamente la possibilità di costruire una rendita di posizione sulla proprietà della rete in rame, con la conseguenza che si è aperta la strada ad una concorrenza basata sull’innovazione. Viviamo una fase caratterizzata da un notevole dinamismo. È nato un nuovo operatore non verticalmente integrato che ha lo scopo di realizzare una vasta rete in fibra (Enel Open Fiber), e che ha annunciato investimenti per 2,5 miliardi di euro; Telecom Italia ha avviato un ampio piano di investimento nelle reti in fibra ottica (pari a 3,6 miliardi di euro). L’Autorità della concorrenza continua a vigilare per assicurare che questo nuovo dinamismo sia basato su una concorrenza che produca innovazione e che nessun attore (neppure quelli nuovi) ricerchino vantaggi sfruttando qualche forma di sussidio incrociato.

Politica industriale, decisioni dell’Antitrust, interventi del regolatore di settore, interagiscono virtuosamente – nella distinzione di ruoli – dando luogo ad uno dei più importanti processi di modernizzazione economica della storia della Repubblica.

6. Di fronte al potere di mercato dei nuovi giganti del web e ai suoi possibili abusi è soprattutto la Commissione UE a dover intervenire (si 11 pensi ai due casi aperti che riguardano Google). Ma anche l’Autorità italiana sta facendo la sua parte.

Va ricordato il caso che ha riguardato Booking.com (ed Expedia), con particolare riferimento ad una clausola – la cosiddetta Most Favoured Nation – che veniva inserita nei contratti con gli albergatori. In buona sostanza essa obbligava le strutture ricettive a non offrire i propri servizi alberghieri a prezzi e condizioni migliori tramite altre agenzie di prenotazione online, e in generale, tramite qualsiasi altro canale di prenotazione (incluse le vendite dirette realizzate dagli alberghi tramite i propri siti web o telefonicamente). Si tratta di un vincolo potenzialmente idoneo ad ostacolare la concorrenza e l’innovazione proveniente da altre piattaforme online, oltre che da altri canali attivabili dagli stessi alberghi.

Il procedimento è stato chiuso con l’accettazione degli impegni proposti da Booking, contestualmente e nello stesso modo davanti alle Autorità di concorrenza di Italia, Francia e Svezia (esempio di cooperazione tra autorità nell’ambito dell’European Competition Network). Gli impegni hanno consentito agli albergatori di avere piena libertà nel definire le condizioni economiche praticate su piattaforme online concorrenti, sui propri canali di vendita offline, nonché nell’ambito dei propri programmi di fidelizzazione. L’ambito di applicazione delle clausole in questione è, dunque, ristretto esclusivamente ai prezzi e alle altre condizioni pubblicamente offerte dagli hotel attraverso i propri canali di vendita diretta online, al fine di evitare fenomeni di free riding.

È importante sottolineare come, a seguito dell’intervento antitrust, il mercato ha incrementato il dinamismo e l’innovazione. A fianco di Booking e di Expedia sono entrati nuovi e qualificati concorrenti (da ultimo American Express), si è assistito alla trasformazione di Tripadvisor da mero meta-search a vera e propria piattaforma di prenotazioni online, e si è sviluppata la tendenza di altre piattaforme di prenotazione a differenziare maggiormente i propri servizi per venire incontro ai bisogni di particolari tipologie di consumatori.

Di segno opposto sono quegli altri casi in cui l’innovazione che si sviluppa nel web viene ostacolata da comportamenti o da regole dirette a proteggere alcuni operatori di mercati più tradizionali. Una grande resistenza stanno incontrando le piattaforme della cosiddetta “economia condivisa” o sharing economy. Essa allarga le possibilità 12 di scelta del consumatore, offre servizi innovativi e differenti da quelli dei mercati tradizionali, permette di impiegare risorse che altrimenti sarebbero inutilizzate, abbatte i prezzi, consente l’accesso a determinati servizi da parte di fasce di consumatori che non fruiscono dei servizi tradizionali.

Per tali ragioni l’Autorità italiana è impegnata a rimuovere i tanti ostacoli che stanno incontrando queste forme di attività economiche fondate sulla condivisione piuttosto che sulla disponibilità esclusiva. Anche se non si possono sottovalutare i nuovi problemi che sorgono, in particolare con riguardo alla tutela del consumatore nelle piattaforme peer-to-peer ed alla tassazione. Ma si tratta di problemi che non possono essere risolti estendendo alle nuove attività le regole esistenti per i servizi più tradizionali (come quelle che riguardano il servizio taxi e gli alberghi), senza uccidere i nuovi modelli di business. Piuttosto, va pensata una regolazione leggera, ispirata al principio di proporzionalità, in modo da introdurre solamente le regole strettamente necessarie alla tutela di fondamentali interessi pubblici (per esempio l’incolumità del passeggero). Il disegno di legge sulla sharing economy presentato da parlamentari di diverse forze politiche si colloca nella giusta prospettiva e l’Autorità auspica che esso sia esaminato quanto prima dal Parlamento.

Oltre che nell’attività di advocacy, l’Autorità si è occupata di “economia della condivisione” in due casi. Il primo riguarda Uber e consiste in un parere reso al Ministero dell’Interno, su richiesta del Consiglio di Stato, in cui si dà un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa sui servizi di trasporto con conducente, in modo tale da evitare che una sua estensione formalistica blocchi i nuovi servizi di Uber (in particolare la previsione secondo cui l’autovettura dovrebbe rientrare in autorimessa prima di prendere a bordo un nuovo passeggero). Il secondo caso riguarda Airbnb e si riferisce ad una regolazione adottata dalla Regione Lazio che introduce requisiti irragionevolmente gravosi e sproporzionati per lo svolgimento delle attività promosse dalla piattaforma, la cui applicazione in sostanza paralizzerebbe questo genere di attività. L’Autorità, pertanto, ha promosso ricorso al Tar, ex art. 21 bis della legge istitutiva.

7. Una delle componenti più importanti dell’economia digitale è costituita dall’ e-commerce. Esso consente alle imprese di raggiungere 13 nuovi clienti, allarga le possibilità di scelta dei consumatori, rende più trasparente il mercato e quindi favorisce prezzi più bassi, stimola le imprese ad adottare modelli di promozione, di distribuzione e di contatto con il consumatore più innovativi. Esiste una correlazione positiva tra e-commerce, innovazione e crescita. L’Italia è ancora in ritardo rispetto a molti Paesi europei, ma nel corso dell’ultimo anno si è esteso il ricorso all’e-commerce da parte di imprese e consumatori (nel 2015, in Italia, un consumatore su quattro ha acquistato beni e servizi online e il 6,7 per cento delle imprese italiane ha venduto online).

Se l’e-commerce offre nuove opportunità, parimenti esso produce nuove insidie per i consumatori, perché chi acquista online si trova davanti a modalità di consumo cui non è abituato, perché è esposto a forti stimoli emozionali e distorsioni cognitive, perché è facile creare informazioni ingannevoli. L’intervento a tutela del consumatore nei nuovi mercati digitali, pertanto, costituisce una priorità dell’Autorità. La continuità di questo intervento è importante anche per altre due ragioni. In primo luogo, rendere più sicure le transazioni sui mercati digitali equivale a rafforzare la fiducia dei consumatori e quindi a favorire l’affermazione dell’e-commerce. In secondo luogo, la tutela efficace del consumatore indirettamente promuove la concorrenza. Agendo sul piano della domanda, anziché dell’offerta, disciplina il comportamento delle imprese, evitando che alcune si avvalgano di indebiti vantaggi competitivi basati non sui meriti ma sulla capacità di sfruttare le debolezze del consumatore e agevolando la mobilità della domanda. Nel mondo digitale, dove tutto avviene rapidamente, utilizzare gli strumenti di tutela del consumatore permette all’Autorità di intervenire in tempi notevolmente più rapidi di quanto avviene impiegando gli strumenti di tutela della concorrenza.

Nel corso del 2015 e dei primi mesi del 2016, l’Autorità si è mossa lungo tre principali direttrici: a) interrompere l’attività di vendita delle imprese online che non consegnano i beni acquistati e non restituiscono le somme pagate; b) oscurare per il consumatore italiano i siti che vendono prodotti contraffatti; c) nei riguardi delle grandi piattaforme globali, assicurare il rispetto degli obblighi informativi precontrattuali e un’adeguata protezione dei diritti post-vendita.

Con riguardo al primo ambito, sono stati condotti quattordici procedimenti, che in undici casi si sono conclusi con l’irrogazione di una sanzione. L’Autorità ritiene intollerabili pratiche come la mancata consegna della merce acquistata online, per indisponibilità della stessa, nonostante l’avvenuto pagamento del prezzo, e anche la diffusione di informazioni non veritiere sullo stato di evasione dell’ordine di acquisto e di consegna dei beni.

Con riguardo al secondo ambito, l’Autorità, con l’imprescindibile collaborazione della Guardia di Finanza, ha provveduto all’oscuramento di oltre 400 siti che proponevano prodotti contraffatti. Si tratta di siti di vendita di prodotti che sono molto simili, in molti casi dei veri e propri cloni, dei siti ufficiali di noti fornitori di prodotti di marca.

Con riguardo al terzo ambito, che concerne i grandi operatori del commercio online, l’Autorità, con interventi di moral suasion, ha chiesto e ottenuto modifiche dei loro siti internet al fine di assicurare completezza e correttezza delle informazioni nella fase che precede la conclusione del contratto online. Nel caso Amazon, chiuso con l’irrogazione di una sanzione, l’Autorità ha accertato che quando la piattaforma di vendita operava come marketplace, essa non forniva in modo chiaro e accessibile informazioni sull’effettiva identità del venditore, sul ruolo svolto da Amazon nella transazione, sul regime di recesso, sull’assistenza post-vendita da parte dei soggetti terzi, sulla garanzia legale. Molti consumatori, pur avendo acquistato sul sito di Amazon, sono venuti a conoscenza della loro effettiva controparte contrattuale solo qualora si sia manifestato un difetto di conformità del prodotto o altri disservizi nella fruizione del bene acquistato. Amazon sta modificando alcuni aspetti del suo sito per uniformarsi alle indicazioni dell’Autorità.

In questo modo si è affermato il principio secondo cui, se è vero che l’attività dell’intermediario è diversa da quella del soggetto prestatore del servizio intermediato, è necessario che l’intermediario assicuri uno standard informativo adeguato. In tale prospettiva si inserisce anche l’intervento dell’Autorità nel caso dei servizi premium, che ha portato a sanzionare i principali operatori di telefonia mobile. Questi ultimi, infatti, non avvertivano i clienti che con un semplice click, durante la navigazione in internet mediante smartphone, avrebbero attivato un servizio a sovrapprezzo. Dopo l’intervento dell’Autorità, che ha altresì contestato agli operatori 15 l’inottemperanza alla diffida, gli operatori hanno completato i sistemi di controllo e hanno previsto procedure che richiedono un “doppio click” da parte degli utenti.

Ulteriori interventi hanno riguardato i comparatori online delle offerte delle compagnie assicurative riguardanti la RC Auto. In questi casi, chiusi con la comminazione di sanzioni, sono state rilevate carenze di trasparenza delle informazioni sul tipo di attività svolta, sull’ampiezza e rappresentatività dei confronti, nonché sulle modalità di calcolo degli sconti pubblicizzati.

Sempre nel settore delle comunicazioni, l’Antitrust ha concluso importanti procedimenti aventi ad oggetto fattispecie di teleselling, ossia vendite attraverso il canale telefonico, che hanno visto protagoniste alcune delle principali compagnie telefoniche, ma anche operatori attivi nel settore televisivo e in quello dell’energia elettrica.

8. L’innovazione tocca anche la competenza dell’Autorità relativa al controllo delle concentrazioni. Qui compito fondamentale è evitare che la concentrazione dia vita ad un potere di mercato tanto forte da pregiudicare la concorrenza. Ma la concentrazione, con le sinergie che crea, può produrre benefici effetti sul terreno della capacità delle imprese di innovare. L’Autorità è impegnata nella ricerca dell’equilibrio tra queste due esigenze.

Dal 1° gennaio 2015 all’8 giugno 2016 sono stati chiusi nove procedimenti per operazioni di concentrazione in fase due (cioè dopo un particolare approfondimento istruttorio). Questi numeri segnano una significativa ripresa rispetto agli anni precedenti. Nel solo 2015 sono state approfondite in istruttoria sette operazioni di concentrazione, il numero più alto degli ultimi dodici anni, segno di un maggiore dinamismo e di profonde ristrutturazioni nei mercati interessati in conseguenza dei grandi cambiamenti tecnologici ed economici in atto.

È significativo osservare che di queste concentrazioni ben quattro hanno riguardato il settore dei media, cioè un settore che sente fortemente la pressione che viene dall’affermazione dell’economia del web, e che quindi ha avviato, in tutto il mondo, vasti processi di ridefinizione dei modelli di business.

L’Autorità ha trattato il progetto di acquisizione delle Torri di RaiWay da parte di EI Towers (ritirato dalle parti dopo la comunicazione delle risultanze istruttorie da parte dell’Autorità), l’acquisizione di Rizzoli da parte di Mondadori, l’operazione RTI/Finelco nel settore delle radio, la concentrazione tra Seat Pagine Gialle e Libero.

L’Autorità ha esaminato con particolare attenzione queste operazioni, nella consapevolezza del loro rilievo strategico e delle esigenze di riposizionamento dell’industria. Con l’eccezione dell’operazione EI Towers/Rai Way, le ha valutate condizionando la loro autorizzazione a rigorose misure di natura prevalentemente strutturale, volte a rimuovere le preoccupazioni concorrenziali concernenti, in particolare, l’acquisizione dei diritti d’autore, la narrativa, la saggistica e la distribuzione (nel caso Mondadori/Rizzoli) e la raccolta pubblicitaria radiofonica (nel caso RTI/Finelco).

L’Autorità vigilerà con particolare impegno sull’attuazione dei rimedi da parte delle imprese, così come valuterà, con il consueto rigore, le nuove operazioni di concentrazione che sono state annunciate sempre nel settore dei media.

La medesima esigenza di garantire che, in questo delicato settore, le dinamiche competitive non vengano falsate da comportamenti anticoncorrenziali – che in questa fase di transizione sono ancora più gravi perché portano a consolidare vecchie rendite di posizione e a bloccare l’innovazione – ha portato l’Autorità a sanzionare, per complessivi 66 milioni di euro, l’intesa tra due importanti broadcasters televisivi, la Lega Calcio e Infront con cui, secondo l’Autorità, è stato alterato il risultato della gara per i diritti televisivi sul campionato di serie A per il triennio 2015-2018.

9. Precedentemente abbiamo parlato di innovazione, anche se bisogna osservare che le autorità di concorrenza tradizionalmente focalizzano la loro attenzione sulla concorrenza statica e sui prezzi. La concorrenza spinge i prezzi verso il basso giovando al consumatore, ma anche al sistema produttivo perché riduce il costo di fondamentali input. L’Autorità resta impegnata a garantire la concorrenza statica e i suoi benefici effetti sui prezzi. Perciò non abbassa la guardia sui mercati tradizionali.

A ciò si aggiunge la particolare attenzione che l’Autorità dedica a quanto avviene nei mercati regolati, con particolare riguardo a quei casi in cui il prezzo pagato dal consumatore risente delle interazioni tra l’impresa e il regolatore pubblico. Qui comportamenti abusivi delle imprese, quando partecipano al procedimento amministrativo di fissazione di regole che influenzano il prezzo, possono portare ad un danno rilevante ai consumatori.

Per questa ragione seguiamo con costanza il settore farmaceutico dove, ai casi decisi negli ultimi anni, si sono affiancati recentemente: a) un procedimento per abuso di sfruttamento nei confronti di un’impresa farmaceutica che, secondo le preoccupazioni dell’Antitrust, che andranno verificate nel corso del procedimento aperto, ha usato il suo elevato potere di mercato per ottenere dal regolatore di settore un prezzo per un farmaco anticancro particolarmente alto, con incrementi anche del 1.500 per cento; b) l’indagine conoscitiva sui vaccini per uso umano, un mercato mondiale di oltre 20 miliardi di euro, dominato da un oligopolio di quattro imprese multinazionali nel quale vi sono forti carenze informative su costi e prezzi dei prodotti e occorrono scelte mediche univoche e trasparenti, anche per orientare correttamente la domanda. In questo campo, va poi segnalato il protocollo di collaborazione recentemente sottoscritto con l’AIFA.

Un altro ambito che contraddistingue l’attività dell’Antitrust e costituisce un buon esempio a livello europeo, è quello della lotta ai cartelli nelle gare pubbliche (bid rigging), dove ci si avvale dell’intensa e proficua collaborazione con l’Autorità nazionale anticorruzione.

Ricordo, in particolare, il procedimento che ha portato a sanzionare, con circa 114 milioni di euro, il cartello tra imprese avente ad oggetto la gara Consip (di circa un miliardo di euro) per l’affidamento dei servizi di pulizia nelle scuole.

Numerosi altri sono i settori in cui l’Antitrust è intervenuta sanzionando intese nell’ambito di gare. Sono state accertate e sanzionate intese nelle gare per i servizi di bonifica e smaltimento di materiali inquinanti e pericolosi presso gli arsenali di Taranto, La Spezia e Augusta, in due gare per l’affidamento di alcuni servizi della filiera dei rifiuti, e in una gara di forniture a favore di Trenitalia.

Occorre osservare che, quando l’Antitrust promuove un’effettiva concorrenza nelle gare pubbliche colpendo severamente i cartelli in tale ambito, ottiene come risultato indiretto quello di ridurre i costi che gravano sui bilanci pubblici per ottenere determinati servizi. In questo modo si risparmiano risorse che, invece di essere sfruttate per alimentare rendite di posizione, potranno essere impiegate a vantaggio della generalità dei cittadini.

In questi settori e nei mercati più tradizionali, che riguardano la fornitura di beni e servizi essenziali, il contrasto ai cartelli e agli abusi di posizione dominante si traduce in un aumento significativo del surplus del consumatore, con particolare vantaggio soprattutto per le fasce più deboli.

A questo riguardo, ricordo il caso appena concluso che ha riguardato un’intesa restrittiva della concorrenza tra diciassette imprese, oltre all’associazione di categoria, nel settore della distribuzione automatica e semiautomatica di alimenti e bevande (il cosiddetto vending), che ha portato all’irrogazione di sanzioni per complessivi 100 milioni di euro.

Merita altresì di essere ricordata la decisione di sanzionare un’intesa restrittiva della concorrenza tra 14 banche, in Trentino Alto Adige, che aveva come oggetto il coordinamento delle rispettive politiche commerciali, anche attraverso lo scambio di informazioni sensibili (tassi di interesse e altre condizioni economiche dei finanziamenti), nonché l’apertura di un procedimento per intesa che riguarda 11 istituti di credito. Qui la preoccupazione dell’Antitrust è che, in occasione dell’entrata in vigore del Regolamento (UE) n. 260/2012, le banche abbiano concordato un sistema di remunerazione di un nuovo servizio di pagamento (SEDA) in cui la determinazione del prezzo è slegata da ogni pressione concorrenziale e perciò idonea a determinare un sensibile aumento delle commissioni.

10. Recentemente, due studiosi assai noti dell’intervento antitrust, Baker e Salop hanno sostenuto che un robusto intervento dell’Antitrust serve a ridurre le diseguaglianze che, come ricordavo all’inizio, si sono ingigantite negli ultimi anni. Ne è derivato un vivace dibattito accademico, su cui non è questa la sede per prendere posizione. Quello che invece qui bisogna sottolineare è che i concreti interventi dell’Autorità italiana fin qui richiamati, contrastando le rendite di 19 20 posizione e colpendo i cartelli che portano all’aumento dei prezzi di beni essenziali (come i farmaci, i prodotti alimentari, il credito), oggettivamente spingono nella direzione di una riduzione delle diseguaglianze (anche se poi ovviamente per realizzare pienamente questo obiettivo servono efficaci politiche redistributive). Inoltre, stimolando l’innovazione e la crescita economica, esse favoriscono la produzione della ricchezza necessaria a realizzare un riequilibrio economico e sociale.

Interventi connessi a rapporti commerciali caratterizzati da situazioni di squilibrio sono evidenti nella materia della tutela del consumatore, soprattutto quando riguardano le fasce più deboli. In questa prospettiva vanno richiamati i casi più odiosi di pratiche commerciali scorrette, che riguardano la fornitura di beni essenziali o che colpiscono chi già si trova in difficoltà economiche.

Tra questi casi particolare rilievo assumono quelli svolti con riguardo alle imprese erogatrici del servizio idrico e dei servizi dell’energia elettrica e del gas in relazione alle delicate fasi di accertamento e verifica dei consumi, delle modalità di fatturazione e di gestione dei reclami. L’Autorità ha ritenuto che costituissero pratiche commerciali aggressive le condotte delle imprese dirette ad avviare o proseguire azioni di riscossioni di crediti non verificati e la minaccia di distacco, sospensione o non attivazione della fornitura, in quanto idonee a generare un indebito condizionamento e a ostacolare l’esercizio di diritti contrattuali.

Un altro campo in cui numerosi sono stati gli interventi dell’Antitrust è quello relativo alle attivazioni delle forniture di energia elettrica e gas in assenza di un consenso consapevole e, in alcuni casi, addirittura, in assenza di qualsivoglia consenso da parte dei consumatori. L’Autorità ha sanzionato le maggiori imprese di vendita al dettaglio operanti in Italia, quali Enel Energia, Eni, Acea Energia, Hera Comm, GdF Suez Energie, Green Network e Beetwin per pratiche commerciali scorrette e violazione dei diritti dei consumatori.

C’è un altro strumento a disposizione dell’Autorità che può intervenire nell’ambito di rapporti commerciali non equilibrati. Nel corso del 2015, l’Autorità ha avviato e concluso i due primi procedimenti in attuazione dell’art. 62 del d.l. n. 1 del 2012 e del suo decreto di attuazione, che, tra l’altro, intende assicurare la tutela delle piccole e medie imprese fornitrici di prodotti agroalimentari nei confronti del potere negoziale della grande distribuzione organizzata. In un caso, nato dalla denuncia di un piccolo fornitore di prodotti private label, è stato sanzionato un leader della GDO in Italia.

11. Come osservavo all’inizio, una componente molto importante dell’attività dell’Antitrust è quella di fare l’avvocato della concorrenza. Ho ricordato la grande quantità di pareri e di segnalazioni adottati. Vorrei anche sottolineare il notevole tasso di successo degli stessi. Non solo dei pareri – seguiti dal decisore politico o amministrativo in più della metà dei casi – ma anche delle segnalazioni che prospettano modifiche legislative con finalità proconcorrenziali.

Una segnalazione dell’Autorità ha fornito la base per la presentazione del disegno di legge annuale sulla concorrenza. Nel dibattito pubblico non sono mancate le voci critiche per un certo svuotamento che ha subito il testo parlamentare rispetto alle originarie indicazioni dell’Antitrust. Vorrei vedere il bicchiere mezzo pieno. Il testo infatti contiene ancora rilevanti norme proconcorrenziali, come quella che riguarda la piena liberalizzazione del mercato retail dell’energia. Altri importanti settori, come le assicurazioni, i servizi professionali, il settore delle farmacie sono interessati dal processo di liberalizzazione. Una rapida approvazione della legge consentirebbe di avviare il processo per la presentazione di un nuovo disegno di legge in modo da dare attuazione alla periodicità annuale prevista dal legislatore per gli interventi di promozione della concorrenza.

Infatti questo processo deve continuare, eliminando quei privilegi normativi che ancora esistono e che in alcuni settori – dalle farmacie, alle concessioni, ai trasporti, al commercio al dettaglio, alle professioni regolamentate – bloccano la concorrenza e creano intollerabili forme di disuguaglianza.

Nel frattempo notiamo con soddisfazione che la “riforma Madia” è in piena sintonia con molti dei suggerimenti dell’Antitrust, dando vita, con i decreti legislativi di attuazione, ad uno dei più importanti processi di riforma amministrativa della storia italiana, che potrà dare un significativo contributo alla competitività del Paese, una volta ultimato l’iter di approvazione, che sta seguendo una tempistica particolarmente celere senza tuttavia sacrificare la qualità del 21 risultato, grazie all’impegno profuso nella stesura dei testi e all’importante apporto reso dal Consiglio di Stato con pareri anche essi adottati con particolare rapidità e con ricchezza di osservazioni tese a perfezionare l’impianto pro concorrenziale dei decreti.

In particolare, la riforma della disciplina dei servizi pubblici locali e delle società pubbliche costituisce uno snodo cruciale per il rilancio dell’economia: la razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche e mercati efficienti dei servizi pubblici locali, infatti, non solo possono migliorare la qualità dei servizi erogati con immediati benefici per il cittadino, ma possono anche avere ricadute positive sulla competitività e lo sviluppo dei sistemi economici locali ed incidere sulla crescita del prodotto pro capite.

Con l’obiettivo di contribuire concretamente al processo di rinnovamento del settore dei servizi pubblici locali, l’Autorità ha svolto due indagini conoscitive di ampio respiro – una nel settore dei rifiuti solidi urbani e una nel settore del trasporto pubblico locale – ad esito delle quali ha proposto alcune specifiche linee di riforma dei settori in questione.

Fare l’avvocato della concorrenza significa parimenti fare l’avvocato della legalità. Perché la legalità è l’altra faccia di un mercato ben funzionante e il rispetto della legge è la precondizione di una concorrenza effettiva fonte di crescita economica. Perciò noto con forte soddisfazione il successo che ha avuto il rating di legalità alle imprese che vede, ancora una volta, la collaborazione tra l’Antitrust e l’Autorità nazionale anticorruzione.

12. Fin qui ho ricordato i principali interventi dell’Autorità della concorrenza e ho cercato di fornire delle chiavi di lettura degli stessi. Il complesso della nostra attività è molto più vasto, e per la sua analisi non posso che rinviare alla corposa relazione che, come ogni anno, abbiamo consegnato al Parlamento e al Governo. Tutto questo lavoro non sarebbe stato possibile senza la professionalità e la passione delle donne e degli uomini che lavorano in Antitrust. A loro va tutta la mia gratitudine, così come devo ringraziare i componenti del collegio dell’Autorità per l’importante lavoro che stanno facendo, nonché il segretario generale, il capo di gabinetto e il capo del mio staff.

Un grazie altrettanto sentito va ai magistrati del Tar del Lazio e del Consiglio di Stato, all’Avvocatura generale dello Stato, alla Procura 22 della Repubblica di Roma, alle altre Autorità indipendenti, alla Guardia di Finanza, alle associazioni dei consumatori, alla DG Competition, ai Presidenti delle Autorità della concorrenza degli altri Stati membri.

Lasciatemi, per finire, esprimere un ringraziamento, niente affatto formale, ai Presidenti delle due Camere del Parlamento Italiano, per il modo attento e competente con cui seguono la nostra attività, e soprattutto al Signor Presidente della Repubblica che ci ha ricevuto nei giorni scorsi e che, per noi come per ogni altra istituzione della Repubblica, costituisce il fondamentale punto di riferimento dell’unità nazionale.

Grazie a tutti voi, che avete avuto la pazienza di ascoltarmi.

Testo completo della Relazione Annuale dell’Autorità