La risposta

Amazon dice la sua, ma chi difende il contribuente e le imprese italiane? Da una lettera al Corriere della Sera

di Davide Rossi |

Una lettera fin troppo ponderata dalla responsabile Italia di Amazon al quotidiano milanese rinnova la ormai annosa polemica sulle interpretazioni di ruolo della multinazionale del commercio elettronico: il rapporto con i fornitori, le quote di mercato, gli obblighi di pagamento IVA, tutti argomenti che continuano ad essere affrontati secondo consuetudine, sapendo che dovranno essere prima o poi regolati.

Desidero svolgere alcune riflessioni a titolo spassionatamente personale e porre alcune domande che sorgono spontanee leggendo lettera inviata da Mariangela Marseglia, Country Manager di Amazon Italia, al Corriere della Sera a seguito della pubblicazione di un pezzo di Milena Gabanelli.

Vorrei preliminarmente anche precisare che non amo né tantomeno pratico il facile espediente retorico, per contrastare coloro con i quali ho una divergenza di vedute, di usare spezzoni di loro frasi.

Ma in questo caso non siamo di fronte a una intervista o a dichiarazioni espresse nel corso di una chiacchierata informale, ma a una ben ponderata lettera che – certamente dopo molte valutazioni interne – si è deciso di inviare al direttore del più importante quotidiano italiano.

Riporto pertanto in “corsivo” il testo della lettera firmata da Mariangela Marseglia e proseguendo in “tondo” con le mie osservazioni.

«Così Amazon aiuta le imprese italiane»

È il titolo che il Corriere della Sera ha dato alla lettera di Mariangela Marseglia indirizzata al suo Direttore. Segue la lettera, di cui riporto di volta in volta gli stralci.

Scrive Mariangela Marseglia Country Manager di Amazon Italia al direttore del Corriere della Sera:

Gentilissimo Direttore,

abbiamo letto attentamente l’articolo pubblicato su Dataroom firmato da Milena Gabanelli e Fabio Savelli intitolato «Monopolio Amazon: strategia, effetto Covid» e siamo contrariati da un articolo che riporta interpretazioni errate che riteniamo necessario chiarire ai vostri lettori.

Il commercio al dettaglio di Amazon compete sul mercato mondiale delle vendite al dettaglio. I nostri concorrenti includono tutti i negozi dove le persone effettuano gli acquisti ogni giorno siano essi negozi online o fisici”.

Prima di ogni discussione sulle attività e sul modello di business di Amazon, sarebbe sempre opportuno rammentare che questa impresa ha fondamentalmente due nature.

Amazon è da un lato un dettagliante (ovvero vende prodotti che ha acquistato dai produttori degli stessi) e al tempo stessouna piattaforma di intermediazione (ovvero mette in relazione dettaglianti terzi e consumatori).

Non è quindi corretto dire che Amazon compete nel solo campo di giuoco del commercio al dettaglio.

Se volessimo semplificare con un paragone di facile comprensione, posto che il Markeplace di Amazon vale il 60% del giro di affari da esso generato, sarebbe come se Booking fosse proprietaria del 40% di tutti gli hotel prenotabili sulla sua piattaforma.

Appare di tutta evidenza che in quel caso Booking avrebbe tutto l’interesse di convogliare i clienti verso le proprie camere libere, a meno che il margine riconosciutole dai concorrenti per l’intermediazione non fosse superiore a quanto avrebbe guadagnato se quel cliente avesse soggiornato presso il proprio hotel.

In pratica, quindi, chi come Amazon è sia retailer (ovvero venditore di prodotti) sia piattaforma (ovvero intermediario) compete secondo logiche tutte interne che nulla hanno a che vedere con il mondo del dettaglio in senso generale.

I primi concorrenti di Amazon dunque non sono i negozi fisici, ma gli stessi operatori da essa ospitati, a fronte di cospicue percentuali, presso la propria piattaforma marketplace (e viceversa !!!).

Scrive Mariangela Marseglia Country Manager di Amazon Italia:

Il business in cui operiamo vale quasi 25 trilioni di dollari e Amazon rappresenta circa l`1% delle vendite al dettaglio globali”. 

Alla luce di quanto spiegato sopra il riferimento è alle vendite effettuate da Amazon in qualità di dettagliante o da Amazon che opera come mero intermediario?

Sommare questi valori senza precisarlo è certamente fuorviante.

Inoltre parlare di una percentuale sul valore globale del commercio al dettaglio può far sorridere, se in quei 25 trilioni sono calcolati gli acquisti al dettaglio di tutte le latitudini (dagli eschimesi, agli aborigeni, dai cinesi del più remoto villaggio agli studenti di Harvard).

In quelle cifre è calcolato anche il baratto che avviene ancora in molte aree rurali del Sud America, dell’Africa, dell’Asia e anche più vicino a noi?

Dica piuttosto Amazon quali sono le sue quote di mercato nel totale degli acquisti di prodotti elettronici effettuati online dagli abitanti di New York, di Stoccolma o di Milano.

Curioso poi che da un lato Amazon ami apparire grande e potente su scala globale e dall’altro rivendichi di avere un ruolo marginale nei sistemi economici dei Paesi in cui opera.

Scrive Mariangela Marseglia Country Manager di Amazon Italia:

Secondo l’Osservatorio Ecommerce B2c del Politecnico di Milano, circa il 7% delle vendite al dettaglio italiane avviene attraverso il canale online. La stragrande maggioranza delle vendite al dettaglio italiane – il 93% si verifica ancora nei negozi fisici”. 

“Di conseguenza, le «quote di mercato» descritte nell’articolo, incluso il segmento consumer electronic, sono errate in quanto mescolate e confrontate con diversi business e canali di vendita del retail”. 

La infografica riportata dal Corriere della Sera è corretta e Aires ha confermato le stime sulla incidenza delle vendite di Amazon dettagliante e di Amazon intermediario sul canale online italiano dell’elettronica di consumo.

Se Amazon ha dati diversi li comunichi e rettifichi; questo, e non altro, avrebbe giustificato l’invio di una lettera al Direttore del quotidiano dove si presuppone che un articolo con dati imprecisi è stato pubblicato.

Diversamente esprimere in questa forma plateale e aziendalistica il disappunto per le libere considerazioni di una giornalista appare piuttosto preoccupante.

Se si osa farlo a seguito di un pezzo di una primissima firma come Milena Gabanelli, quale altro giornalista di minore solidità potrà mai avere il coraggio di esprimersi liberamente?

Scrive Mariangela Marseglia Country Manager di Amazon Italia:

L`«effetto Covid» per Amazon è innanzitutto quello di garantire la salute e la sicurezza di tutti i nostri 840.400 dipendenti e dei clienti: prevediamo investimenti per circa 4 miliardi di dollari da aprile a giugno su iniziative relative al Covid-19 per continuare ad offrire i prodotti ai clienti e proteggere i dipendenti. 

Mettere sullo stesso piano i costi per tutelare la salute degli addetti e l’indiscutibile incremento dei fatturati del commercio elettronico derivante dal lockdown appare fuori luogo e anche francamente poco elegante.

Risulta poi dalla lettura del Financial Times che in Francia Amazon abbia avuto qualche problema con le Autorità proprio in relazione alla emergenza Covid-19. 

Scrive Mariangela Marseglia Country Manager di Amazon Italia:

Inoltre, supportiamo costantemente le comunità di tutto il mondo attraverso donazioni e importanti iniziative. 

Non va certamente messa in dubbio la generosità del Titolare della Ditta Amazon, il quale – essendo l’uomo più ricco del mondo – dispone certamente di mezzi tali che gli consentono di poter fare elargizioni ai bisognosi.

Non si comprende tuttavia la ragione di questo riferimento alle azioni filantropiche di Jeff Bezos nel contesto della lettera.

Una notazione lessicale: cosa significa “supportiamo le comunità di tutto mondo”? A quali aggregazioni si fa riferimento?

In Italia alla parola “comunità” associamo enti religiosi come La comunità di Sant’Egidio o laici come San Patrignano.

O Amazon per “comunità” intende altro?

Sarebbe interessante capirlo anche per leggere in trasparenza quale sia la filosofia e la “policy” della decantata generosità.

Scrive Mariangela Marseglia Country Manager di Amazon Italia:

Abbiamo introdotto Amazon Prime quasi 10 anni fa come programma di consegna rapida in 2-3 giorni senza limiti di spedizione e senza costi aggiuntivi. 

Nel corso di questi anni abbiamo migliorato il servizio in maniera significativa aumentando il numero di prodotti disponibili, riducendo i tempi di consegna fino a 24 ore, ed introducendo una varietà di vantaggi digitali come Prime Video, Prime Reading, Prime Music, Twitch Prime o Prime Photo.

L’aumento del prezzo di Amazon Prime avvenuto oltre un anno fa, non è stata una decisione che abbiamo preso alla leggera ed il suo costo rimane comunque ancora basso se paragonato al valore dei suoi vantaggi significativamente cresciuti nel tempo. 

Nulla da dire sulla efficienza dei corrieri utilizzati per garantire consegne rapide.

Tuttavia non si può sottacere che Amazon Prime resta un servizio limitato a poche aree del Paese selezionate sulla base del reddito disponibile dai consumatori.

In pratica si tratta di una oligarchica comodità per pochi privilegiati rispetto alla popolazione nazionale, non certo di un servizio universale.

Scrive Mariangela Marseglia Country Manager di Amazon Italia:

“In riferimento ad AWS, come spiegato chiaramente ai redattori, l’azienda non accede ai contenuti dei clienti per nessun motivo senza il consenso dei clienti. 

I clienti AWS mantengono la piena proprietà e il controllo dei loro contenuti attraverso strumenti semplici e efficaci”. 

Su questo punto ha risposto Milena Gabanelli, con la consueta precisione e chiarezza.

Scrive Mariangela Marseglia Country Manager di Amazon Italia:

Dal giorno in cui abbiamo lanciato Amazon in Italia ad oggi, abbiamo investito in innovazione e nell’imprenditoria italiana più di 4 miliardi di euro senza ottenere alcun finanziamento pubblico agevolato”.

Anche il solo fatto di immaginare che parte di questi 4 miliardi potessero venire prestati – o regalati – ad Amazon dallo Stato italiano, e ritenere opportuno precisare per lettera che questo non è avvenuto, è il segno evidente di una percezione piuttosto autoreferenziale della realtà.

Scrive Mariangela Marseglia Country Manager di Amazon Italia:

Abbiamo anche aperto la vetrina Amazon Made in Italy per aiutare le piccole e medie imprese italiane a far crescere le loro attività e per promuovere la cultura e l’imprenditoria italiana all’estero.

Abbiamo creato una suite di strumenti e servizi per aiutare quelle aziende a gestire la propria attività online e per favorire le loro vendite sui 18 siti di Amazon, in 12 lingue, raggiungendo milioni di potenziali nuovi clienti. Oltre 12.000 Pmi italiane, che vendono su Amazon, hanno creato più di 18.00o posti di lavoro a tempo indeterminato solo per gestire le vendite online su Amazon, in aggiunta ai posti di lavoro creati tramite la loro attività tradizionale e hanno realizzato vendite all’estero utilizzando il sito Amazon per oltre 50o milioni di euro nel 2018″.

Scorrendo la vetrina di Amazon Made in Italy oggi sembra che il progetto sia stato sostanzialmente ridimensionato…

Nella lettera si parla di 500 milioni di vendite effettuate da aziende italiane verso l’estero nel 2018.

A quanto ammontano le transazioni del 2019?

Strano che ad una azienda ‘modern’ (come sta andando ora di moda dire con un termine anglosassone che alle nostre orecchie suona invece del tutto fané) come Amazon servano tempi così lunghi per avere i dati sulle proprie transazioni.

Se il dato fosse in calo, emergerebbe che tutto questo beneficio alle imprese italiane Amazon non lo garantisce affatto e che il supporto all’export necessita di ben altre strutture e iniziative di sistema.

Non può certo accontentarci la vendita di qualche manufatto artigianale o di qualche eccellenza alimentare, sempre ammesso che sia così semplice inviare cibo a clienti che si trovano in altri continenti e in Paesi, ad esempio gli Stati Uniti, che hanno strettissime regole sulla importazione di prodotti commestibili.

Solleva poi molti dubbi il dato sulla occupazione che – secondo quanto scritto da Mariangela Marseglia – dovrebbe essere stata generata da queste 12.000 piccole imprese grazie al loro rapporto con Amazon.

Poiché si tratta di aziende sulle quali la piattaforma non ha certo poteri gestionali – rivendicando la propria terzietà di ‘intermediario della società dell’informazione’ – come può Amazon garantire che i 18.000 addetti aggiuntivi dichiarati siano effettivamente stati assunti a tempo indeterminato?

Ci sono dati precisi e verificabili?

È stato fatto un sondaggio?

Sono stime?

Scrive Mariangela Marseglia Country Manager di Amazon Italia:

Amazon ospita decine di migliaia di aziende italiane che gestiscono onestamente la propria attività online e, nell’attuale scenario, riteniamo che queste PMI debbano essere viste come un modello e non rappresentate come cattivi esempi, in quanto lo sviluppo di competenze digitali e una strategia multicanale potrebbe sostenere la ripresa economica e l’export di tutte le imprese italiane”

Firmato

Mariangela Marseglia Country Manager di Amazon.it e Amazon.es

Se Amazon è così certa della correttezza delle imprese che ‘ospita’ (peraltro, è appena il caso di ricordare che questa ‘ospitalità’ si configura a tutti gli effetti come una partnership commerciale, piuttosto che come un atto di cortese liberalità posto che le sue commissioni vanno dal 5% al 20% rispetto al prezzo finale pagato da consumatori) perché non è disponibile a condividere con esse la responsabilità in ordine al versamento delle imposte, al pagamento degli eco-contributi e degli oneri Siae per copia privata, alla conformità e sicurezza dei prodotti?

È forse appena il caso di rammentare che le piattaforme percepiscono le proprie provvigioni trattenendole direttamente dal prezzo pagato dai consumatori con la carta di credito, girando il rimanente alle imprese ‘ospitate’ sulla piattaforma marketplace.

Se poi questi soggetti scompaiono lasciando dietro di sé ingenti debiti fiscali Amazon non subisce alcun danno, a differenza dello Stato italiano.

Se – così come avviene per lo Stato Italiano in attesa dei versamenti IVA – Amazon dovesse ricevere questi denari a posteriori e non essere lei ad incassare come oggi avviene, avrebbe ancora così tanta fiducia in questi partner commerciali che definisce imprese modello?

E inoltre, non si pensi che questi siano rilievi mossi da pensieri sovranisti, o peggio autarchici.

Da assertore convinto dei valori della concorrenza e di quella che viene chiamata “diversity”, non solo culturale e sociale, ma anche imprenditoriale, penso che sia positivo tutto ciò che stimola tutto il sistema a fare sempre meglio e ad essere inclusivo.

Ma questo non avviene proprio quando alcuni elementi della “biodiversità” creano nocumento agli altri.

Un marketplacer evasore, che usa Amazon come vetrina e firewall, non è una piccola impresa con un nuovo modello di business, da difendere contro la resistenza al cambiamento. È semplicemente un disonesto che danneggia gli operatori sani, anche quelli che avrebbero lecite aspirazioni di lavorare onestamente su Amazon e con Amazon.

Quindi in realtà, se non si interviene subito, si contribuisce a radicare meccanismi illegittimi nel tessuto commerciale italiano e a compromettere l’immagine delle piattaforme.

Per tutti questi motivi, dunque, assegnare ad Amazon e ovviamente a tutte le altre piattaforme di intermediazione online il ruolo di sostituto d’imposta assicurerebbe allo Stato entrate certe, agli operatori seri un quadro concorrenziale corretto, e a tutti i gestori di piattaforme Marketplace la garanzia non trovarsi – anche a propria insaputa – a condividere utili con soggetti che operano illecitamente.

Appare doveroso allora – e non più rinviabile con il pretesto, anzi con il giochino, di ampliare il tema a livello europeo o mondiale – introdurre una norma che imponga alle piattaforme di versare immediatamente l’IVA certamente dovuta da parte di questi operatori terzi (come nel caso dei beni sottoposti a Inversione Contabile, quali Smartphones, Tablet, Computer e Console); si tratta del 22% del prezzo pagato da consumatore. Nient’altro da aggiungere, sarebbe inutile, i conti sono abbastanza semplici da fare.