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‘Algoritmi, strumenti di libertà o di dominio?’. Intervista a Michele Mezza

“Algoritmo” è diventato ormai sinonimo di controllo sociale. Anche chi non saprebbe meglio definirlo, sa che le sequenze di formule matematiche nascoste dietro questo nome servono a governare l’elaborazione della sterminata quantità di informazioni generate continuamente dalla rete. Ma chi detiene davvero le chiavi degli algoritmi? Sono dispositivi neutri e inviolabili? O non sono invece espressione di una strategia di orientamento e governo sociale sempre più strettamente controllata dai loro “proprietari”?  Abbiamo cercato di dare delle risposte a queste domande con Michele Mezza, autore del libro “Algoritmi di libertà. La potenza del calcolo tra dominio e conflitto” (Donzelli editore) che uscirà i primi di aprile, docente all’Università Federico II di Napoli, nonchè titolare della rubrica BreakingDigital su Key4biz.

Key4biz.  Algoritmi di Libertà è un libro che dal titolo e anche per l’introduzione di Giulio Giorello sembra un saggio di peso, ma vedo dall’indice che invece propone anche temi e trattamenti di stretta attualità, come ad esempio lo scandalo Facebook/ Cambridge Analytica, perché?

Michele Mezza. Vedo che ormai strategie e tattiche si intrecciano sempre più strettamente nel mondo digitale. Ogni grande principio immediatamente diventa piattaforma, servizio, potere. Il Caso facebook/ Cambridge Analytica è paradigmatico: come la teoria dei big data, guidata da sistemi di calcolo sempre più intelligenti, interpretano e determinano il senso comune. In particolare come la capacità di profilare semanticamente, un numero impressionante di persone,coincidenti con la popolazione di interi paesi, e dunque con il loro corpo elettorale, possa portare a parlare direttamente con ognuno di loro, adottando proprio il linguaggio più affine e intimo di questi soggetti. Siamo ormai nel campo di una potenza di calcolo che si sovrappone e sostituisce a istituzioni e convenzioni, come appunto l’opinione pubblica, frammentando, isolando e ricomponendo nuove forme di comunità. Arrivando a orientare e indirizzare sentimenti come la rabbia, o l’ambizione, o ancora la competizione. Gli algoritmi sono oggi la cassetta degli attrezzi di questa nuova azione sociale.

Key4biz. Torniamo per un momento al titolo: Algoritmi di libertà. Proprio all’inizio lei spiega che si tratta di un richiamo diretto all’esperienza di Adriano Olivetti. Perché?

Michele Mezza.  Algoritmi di libertà è una metafora che richiama il concetto di tecnologie di libertà che Olivetti formulò nell’ormai lontanissimo novembre del 1959, quando presentando al presidente della repubblica dell’epoca, Giovanni Gronchi, l’ultimo calcolatore della serie Elea, prefigurava la prossima realizzazione che sarebbe stata la mitica Programma 101, il primo personal computer, che doveva appunto, come disse allora “liberare l’uomo dalla fatica e dalla subalternità”. Oggi gli algoritmi sono chiamati ancora a rispondere a questa domanda: strumenti di libertà o invece di dominio? E la risposta non può avvenire come vedo spesso, solo sulla base di una contemplazione passiva di ciò che accade. Nessuna tecnologia è mai stata buona di persè, e la rete non  poteva automaticamente dare la felicità: sempre solo un conflitto sociale fra interessi e culture ha dato forma e senso all’innovazione, dal fuoco, alla stampa, al vapore alla fabbrica: quello che sembrava un inferno è diventato poi, grazie al negoziato sociale, il progresso. Oggi manca in rete un modo di negoziare il calcolo.

Key4biz. Ma davvero un sistema così complesso e astruso è negoziabile?

Michele Mezza. La fabbrica un secolo fa era ancora più complessa e astrusa agli occhi dei lavoratori che si si addentravano timorosi e spauriti, reduci da secoli di servitù nelle campagne, oggi abbiamo invece un sistema sociale che reclama saperi e partecipazione, di cui la rete è conseguenza e non causa. Perché non dovrebbe essere negoziabile un sistema di calcolo come gli algoritmi? Nel libro cito uno dei più brillanti informatici del nostro tempo, Alexander Galloway che spiega come gli algoritmi siano un sistema di istruzioni “inconsciamente eseguibili”. Ebbene dobbiamo trasformare questo inconsciamente in consapevolmente. Questa è la missione della società attorno agli algoritmi.

Key4biz. Da giornalista lei si richiama frequentemente all’informazione come luogo e linguaggio del mondo digitale e delle sue opportunità, ma anche delle sue minacce?

Michele Mezza.  L’informazione è stata il ring su cui si è combattuto il primo round, e non posso certo dire che noi giornalisti lo abbiamo vinto. Da 20 anni sono in corso processi di automatizzazione dell’intero ciclo di produzione della notizia, senza che la mia categoria riesca a immaginare un ruolo negoziale e di correzione delle tendenze. Non a caso stiamo perdendo peso sindacale ed economico. E’ la conseguenza della nostra marginalità in questo nuovo mondo. I sistemi editoriali delle redazioni sono sempre più intelligenti e prescrittivi senza che la componente professionale, quale siamo noi, riesca a metterci il naso. Nemmeno gli editori sanno bene cosa hanno in casa: solo i proprietari degli algoritmi e delle piattaforme sono oggi in grado di decidere valori e linguaggi. Solo loro sanno come si raccolgono i dati e come vanno usati. Questa è la bolla da bucare: dobbiamo aprire un grande negoziato sociale e sindacale per riclassificare le forme e gli assetti cognitivi dei sistemi automatici. Il giornalista può oggi essere il garante e il tutore di un interesse pubblico sulla trasparenza e condivisibilità dei data base e delle informazioni, tracciando intanto una linea di demarcazione fra ciò che è automatico e giò che invece è ancora valorizzato da una attività umana. Vedo che l’Ordine nazionale dei giornalisti comincia a compiere passi importanti in questa direzione.

Key4biz. Ultima battuta, il libro indica anche alcuni soggetti negoziali, ciò chi è in grado di costringere i giganti della rete alla trattativa?

Michele Mezza.  Io penso che questo sia il vero buco nero: chi negozia? Intanto vedo che, ad esempio, le città, i grandi brand metropolitani, come Londra, Parigi, New York, Milano, oggi hanno la possibilità di imporre un confronto a chi guadagna proprio con i servizi delle città. New York ha appena costituito un osservatorio su gli algoritmi di cittadinanza. Milano ha avviato una prima trattativa con Airbnb. Qualcosa si muove. Poi le università che sono produttori e utilizzatori di software. Infine le categorie professionali, come i giornalisti ma anche i medici, o gli avvocati, possono introdurre elementi di etica del calcolo negli automatismi proprietari. Questi sono algoritmi di libertà.

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