Data center e AI: l’impatto ambientale poco conosciuto dell’economia digitale globale
L’intelligenza artificiale è diventata il principale acceleratore dell’economia digitale: dalla produttività aziendale ai servizi cloud, dalla sanità alla finanza. Tuttavia, dietro l’espansione rapidissima dei modelli di AI generativa e delle piattaforme digitali, cresce un’infrastruttura tanto strategica quanto poco trasparente sotto vari punti di vista: i data center. Ed è proprio qui che si concentra un impatto ambientale sempre più rilevante, in termini di consumi energetici, emissioni di CO₂ e utilizzo di acqua.
Un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica Patterns da Alex de Vries-Gao, data scientist di De Nederlandsche Bank e ricercatore presso la Liberà Università di Amsterdam, fornisce un’analisi molto interessante sul tema, mettendo in luce non solo l’entità del fenomeno, ma soprattutto le criticità legate alla mancanza di trasparenza da parte delle grandi società tecnologiche globali.
Ce lo ripetiamo sempre, lo abbiamo fatto anche sulle pagine di Key4Biz: l’AI è uno strumento tecnologico fondamentale, imprescindibile per la crescita e il miglioramento della produttività economica di ogni settore chiave, dall’industria al commercio, dalla sanità alla finanza, passando per i servizi, l’editoria e il mondo delle assicurazioni (ognuno in diverso modo e con regole proprie). Ciò non toglie che l’AI è anche un’arma potentissima che se utilizzata per finalità aggressive e criminali (e nella guerra ibrida) è in grado di causare danni enormi.
Allo stesso tempo, alimentare questo sistema tecnologico avanzato comporta elevati consumi energetici ed idrici, da non tacere e a cui porre rimedio.
AI ed energia: consumi paragonabili a quelli di uno Stato o una città come New York
Secondo lo studio, i sistemi di intelligenza artificiale potrebbero essere responsabili, già nel 2025, di emissioni comprese tra 32,6 e 79,7 milioni di tonnellate di CO₂, generate dall’energia elettrica necessaria al loro funzionamento. Il dato più alto colloca l’AI al di sopra delle emissioni annuali di interi Paesi, come Cile, Repubblica Ceca o Romania, e persino di una grande metropoli come New York City.
Il motivo è strutturale: l’AI è oggi il principale driver di crescita dei data center. Secondo le stime richiamate da de Vries-Gao, nel 2024 l’AI rappresentava già tra il 15% e il 20% della domanda elettrica globale dei data center. Entro la fine del 2025, la potenza richiesta dai soli sistemi di AI potrebbe raggiungere 23 gigawatt, avvicinandosi ai consumi medi di un Paese industrializzato come il Regno Unito.
Questa crescita è alimentata dall’uso intensivo di hardware specializzato (GPU e acceleratori), che opera senza interruzioni e richiede infrastrutture altamente affidabili, ridondanti e energivore.
Non tutti i data center inquinano allo stesso modo
Un elemento chiave emerso dallo studio è la forte variabilità dell’impatto ambientale dei data center. Le emissioni dipendono in larga parte dal mix energetico locale. I grandi operatori statunitensi ed europei – come Google, Microsoft, Meta e Apple – mostrano in media un’intensità di carbonio più bassa (circa 0,32–0,35 tonnellate di CO₂ per MWh), grazie a reti elettriche relativamente più “verdi”.
In Italia, ad esempio, come Key4Biz ha più volte riportato, abbiamo diversi esempi di data center green, ad alta efficienza energetica e che sfruttano fonti energetiche rinnovabili, quindi pulite, come Aruba, con il suo Global Cloud Data Center di Ponte San Pietro a Bergamo o quello a Roma, raggiungendo livelli di eccellenza per autosufficienza energetica e superando molti hyperscaler esteri in produzione proprietaria green.
Al contrario, i data center situati in altre aree del mondo, come quelli operati da grandi aziende cinesi, presentano intensità di carbonio significativamente più elevate, segno che la localizzazione geografica è un fattore decisivo. Tuttavia, questa informazione resta spesso invisibile all’esterno: nessuna grande azienda pubblica dati specifici sui carichi AI, né sulle emissioni associate ai singoli siti.
Il grande nodo dell’acqua: una crisi sottovalutata
Se il tema dell’energia è complesso, quello dell’acqua lo è ancora di più. I data center utilizzano enormi quantità di acqua per il raffreddamento dei server. Una parte viene riciclata, ma una quota consistente evapora, diventando indisponibile per l’ecosistema locale.
Secondo de Vries-Gao, l’impronta idrica complessiva dell’AI – includendo sia l’uso diretto nei data center sia quello indiretto legato alla produzione di elettricità – potrebbe raggiungere nel 2025 tra 312 e 764 miliardi di litri d’acqua.
Un volume paragonabile, e in alcuni scenari superiore, all’intero consumo mondiale annuo di acqua in bottiglia.
Lo studio mostra anche che le stime ufficiali tendono probabilmente a sottovalutare l’uso indiretto di acqua, cioè quella impiegata dalle centrali elettriche per generare l’energia destinata ai data center. Analisi dettagliate su singoli operatori, come Meta, Apple e Google, indicano valori di consumo idrico per kWh molto più elevati rispetto alle medie diffuse dall’Agenzia Internazionale dell’Energia.
Impatti locali e tensioni sociali
Questi numeri non sono solo astratti. In diverse aree degli Stati Uniti, l’espansione dei data center ha già prodotto tensioni con le comunità locali, soprattutto in territori soggetti a stress idrico. Aumenti dei costi dell’acqua, pressione sulle falde e timori per la sostenibilità a lungo termine hanno portato a proteste e richieste di moratorie sulla costruzione di nuove strutture.
Il punto critico, sottolinea lo studio, è che l’impatto non è uniforme: in zone con abbondanza di risorse idriche l’effetto può essere gestibile, mentre in aree aride o colpite da siccità l’insediamento di data center AI può diventare un fattore di rischio sistemico.
Trasparenza: la vera infrastruttura mancante
Il messaggio centrale di de Vries-Gao è chiaro: senza trasparenza non può esserci sostenibilità. Oggi i report ambientali delle Big Tech sono frammentari, incoerenti e raramente distinguono tra carichi AI e altre attività. Nessuna azienda fornisce dati completi su emissioni e consumi idrici specificamente attribuibili all’intelligenza artificiale.
Eppure, l’urgenza cresce. I data center sono infrastrutture strategiche per lo sviluppo dell’AI e dell’economia digitale, ma il loro impatto ambientale rischia di diventare un fattore limitante, sia sul piano sociale sia su quello regolatorio.
Una sfida strategica per l’Europa e l’economia globale, ma servono dati aperti e verificabili
Per l’Europa – e per Paesi come l’Italia, sempre più coinvolti nelle strategie di cloud e AI – il tema è doppiamente strategico. Da un lato, i data center sono essenziali per la sovranità digitale e la competitività industriale. Dall’altro, richiedono politiche chiare su energia, acqua e localizzazione, oltre a obblighi di disclosure più stringenti.
Come conclude lo studio pubblicato su Patterns, senza dati aperti e verificabili sarà impossibile identificare le soluzioni più efficaci – dall’efficienza energetica ai nuovi sistemi di raffreddamento, fino alla progettazione di modelli di AI meno energivori.
La partita dell’intelligenza artificiale non si gioca solo sugli algoritmi, ma anche – e sempre di più – sulle infrastrutture fisiche che li rendono possibili.

