Elezioni

Agcom e Garante Privacy, silenzio assordante sulle elezioni

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Elezioni Agcom e Privacy il 14 luglio 2020: continua l’assordante silenzio della politica. Oltre 250 candidati per il Garante dei Dati Personali, nessuna candidatura formale per l’Autorità delle Comunicazioni.

Se l’Italia fosse un Paese normale, l’incredibile silenzio che sta caratterizzando le ormai imminenti elezioni, martedì 14 luglio 2020, dei nuovi membri dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (5 consiglieri) e dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali (4 consiglieri)… cesserebbe.

Qualcuno, di grazia, soprattutto a livello istituzionale, o partitico, o politico, avrebbe il coraggio di porre delle domande, delle semplici domande: perché queste elezioni ovvero nomine per cooptazione non debbono essere caratterizzate da una qualche procedura minimamente trasparente?!

Abbiamo denunciato quest’assordante silenziamento delle coscienze, su queste colonne (vedi “Key4biz” del 3 luglio 2020, “Le misteriose elezioni per la nuova Agcom e per il Garante Privacy”), ma il grido di allarme sembra restare inascoltato: queste elezioni – importanti per l’economia politica del sistema mediale e culturale nazionale, e finanche per la democrazia – paiono destinate, per la prima volta nella storia d’Italia, a passare “sotto silenzio”.

Come se si trattasse di una questioncella minore, di una vicenda marginale per il futuro del Paese.

Eppure così non è.

Riassumiamo i termini della vicenda, cercando di contestualizzarli al meglio nello scenario complessivo.

Premessa: le Autorità di vigilanza e di controllo sono organi collegiali (talvolta monocratici, come nel caso della recente Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza) che hanno il compito di vigilare sul corretto andamento di vari settori di attività pubblica o di interesse pubblico.

È buona regola che il “controllore” sia indipendente rispetto ai soggetti che deve controllare, ovvero i “controllati”: la legge – nei sistemi democratici evoluti – prevede che esse siano dotate di una forte autonomia, sia amministrativa che economica, per svolgere al meglio i compiti a loro assegnati.

Cenni storici: la proliferazione di “autorità”

Come è noto, si tratta di organismi che sono stati storicamente mutuati in Italia per lo più da altre realtà ordinamentali, in particolare da quella degli Stati Uniti d’America, anche se alcuni attribuiscono alla Francia il primato storico (Oltralpe si contano peraltro quasi 50 autorità, record forse d’Europa).

Le autorità, anche in Italia, sono numerose e differenti tra loro, perché nascono per rispondere a specifiche problematiche economiche, sociali e politiche.

Ci limitiamo a ricordare, al di là di Agcom e Privacy, la prima istituita in Italia – nel lontano 1974 – Consob (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), l’Isvap (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni Private e di Interesse Collettivo), l’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm), l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente – Arera (così denominata dal 2018, già Autorità per l’Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico), l’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori Servizi e Forniture

Tra le autorità “neonate”, va sicuramente citata l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza (nata nel 2011), l’Agenzia per l’Italia Digitale (nata nel 2012) e, da ultimo, il Garante per i Diritti delle Persone Private della Libertà (nato nel 2013), e, infine, l’Autorità Nazionale AntiCorruzione (nata nel 2014, incorporando di fatto l’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori Servizi e Forniture)…

E piccole/grandi “autorità” crescono: nell’aprile 2019 il giovane deputato Giuseppe Brescia (Movimento 5 Stelle) ha presentato una proposta di legge per l’“Istituzione dell’Autorità garante per il Contrasto delle Discriminazioni” (Atto Camera n. 1794), il cui iter sembra essere sospeso dal dicembre 2019…

Le due “authority” che qui ci interessano sono quasi coetanee: la prima nata nel 1996 con la legge cosiddetta “Privacy” (legge n. 675 del 31 dicembre 1996), la seconda nel 1997 con la cosiddetta “Legge Maccanico” (legge n. 287 del 10 ottobre 1990), anche se quest’ultima si poneva come evoluzione del pre-esistente Garante per l’Editoria (nato nel 1981).

Architetture variabili, confusione e proliferazione: difformità dei criteri di nomina

In Italia, il legislatore, attraverso schemi variabili, non ha ritenuto di ricondurre le autorità all’interno di una disciplina omogenea degli stessi, e quindi si è assistito ad una curiosa e confusa proliferazione di organizzazioni totalmente distinte le une dalle altre, e caratterizzate da specifiche competenze alquanto variegate. Un tentativo di “razionalizzazione” è stato messo in atto con due provvedimenti legislativi, prima l’articolo 23 del D. L. n. 201/2011 e, successivamente, con l’articolo 22 del D.L. n. 90/2014, ma uno dei “nodi” più complicati non è stato affrontato: i criteri di nomina delle Autorità.

Il problema essenziale è la contraddizione genetica che caratterizza questi organismi, se il Parlamento non ne definisce con cura la gestazione: dovrebbero essere “super partes”, ma sono per lo più nominate con logiche “di parte”.

Quindi la neutralità tecnica spesso retoricamente invocata viene contraddetta da procedure di nomina che risultano quasi sempre subordinate alle regole della partitocrazia.

Un caso eclatante è quello della più recente tra le “authority” (2014), l’Autorità Nazionale Anticorruzione – Anac, i cui organi di vertice sono scelti discrezionalmente dal Governo, ma stesso criterio ha caratterizzato la prima autorità istituita in Italia, la Consob (1974).

In verità, tutte queste autorità dovrebbero caratterizzarsi per una assoluta indipendenza rispetto all’Esecutivo e finanche rispetto al Parlamento. Nonché – ovviamente – rispetto a qualsivoglia lobby.

Dovrebbe essere garantita assoluta indipendenza sia dal potere esecutivo sia da quello legislativo.

E dovrebbero essere libere da condizionamenti di ogni tipo (politico, organizzativo, economico).

È quindi questione essenziale quella dei requisiti e dei sistemi di nomina dei componenti delle autorità, la durata del loro mandato (che non deve essere coincidente con quella della legislatura), la rinnovabilità e revocabilità dello stesso, la disciplina delle incompatibilità.

Competenza, esperienza, indipendenza e trasparenza nelle procedure di nomina

I requisiti soggettivi richiesti ai membri dei collegi delle autorità dovrebbero mirare a garantirne la competenza, l’esperienza, l’indipendenza, ma non bastano i “pre-requisiti”: è indispensabile la trasparenza nelle procedure di nomina.

L’Italia – come abbiamo accennato – mostra un ventaglio procedurale variegato, in ordine alla disciplina del potere di nomina dei componenti delle autorità, che è attribuito nel nostro ordinamento in alcuni casi ai Presidenti delle Camere (è il caso, per esempio, dell’Autorità Antitrust); in altri alla Camera e al Senato (come nel caso di Agcom e del Garante Privacy) o al Governo (così come nel caso della Consob e dell’Anac).

Per essere più precisi: nel quadro normativo vigente, le modalità di nomina dei componenti delle  autorità  indipendenti, sulla base delle singole norme istitutive, presentano profili di estrema eterogeneità.

In alcuni casi, la nomina è rimessa ai Presidenti delle Camere: ad esempio, sono nominati con determinazione adottata d’intesa dai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato  della Repubblica i componenti dell’Autorità Garante Concorrenza. Sono designati dai Presidenti delle Assemblee parlamentari e nominati con decreto del Presidente della Repubblica i componenti della Commissione di Garanzia sull’Esercizio del Diritto di Sciopero.

In altri casi, è prevista l’elezione da parte dei due rami del Parlamento (Agcom), anche utilizzando il sistema del voto limitato (Garante Privacy)…

Vi sono poi altre modalità di nomina per le quali la scelta dei componenti è rimessa al Governo e che vedono l’intervento parlamentare esprimersi soltanto nel parere delle Commissioni competenti: è il caso dei membri della Consob, nominati con decreto del Presidente della Repubblica, adottato previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio sentite le Commissioni Parlamentari competenti…

È più forte il coinvolgimento del Parlamento allorquando (si vedano, in particolare, i casi di Arera ed Anac, del Presidente dell’Agcom e dell’Autorità dei Trasporti) la nomina è vincolata al parere favorevole delle Commissioni Parlamentari competenti, espresso a maggioranza qualificata, in genere, pari ai due terzi dei componenti.

In particolare, per quanto riguarda Agcom la proposta di nomina del Presidente spetta al Presidente del Consiglio d’intesa con il Ministro dello Sviluppo Economico…

Il Presidente del Garante della Privacy viene invece eletto all’interno dei 4 membri nominati e in caso di pareggio viene eletto il più anziano.

Insomma, un ben ventaglio di possibilità, senza che nessuno sembra essersi mai posto il problema della riconduzione ad una logica organica, a criteri unici e comuni.

La garanzia minima per tentare di assicurare l’indipendenza delle autorità dovrebbe comunque essere costituita dall’intervento nelle nomine di maggioranze necessariamente “bipartisan”, accompagnate da procedure che scoraggino pratiche lottizzatorie: in tal senso, si dovrebbe prevedere quindi selezioni trasparenti e l’audizione parlamentare dei candidati, previo bando pubblico.

E qui cade l’asino, per quanto riguarda due delicate autorità, quali sono Privacy e Comunicazioni: per la prima, nel 2018, grazie agli dèi, è stato introdotto un processo di avviso pubblico, attraverso un intervento normativo; per la seconda, è stato attivato – “motu proprio” – un processo di pubblica evidenza, in occasione delle ultime elezioni, nel 2012, ma su iniziativa degli allora Presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani (in quel periodo l’Esecutivo era retto da Mario Monti).

Elezioni Agcom: perché Casellati e Fico non hanno seguito il criterio dei loro predecessori?!

La domanda naturale, che sorge spontanea, è: perché gli attuali Presidenti del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e di Camera Roberto Fico non hanno ritenuto di emulare i loro predecessori?!

Un analista cinico potrebbe sentenziare che… “tanto”… la procedura con avviso pubblico è una perfetta ipocrisia, perché il gioco vero resta nelle segrete stanze delle “segreterie di partito”.

Anche se così fosse (e forse così è), riteniamo che un Paese democratico debba rispettare criteri che – almeno sulla carta – sono meritocratici:

(1.) invito a manifestare le candidature, meglio se accompagnate da dichiarazione di intenti;

(2.) pubblicità dei curricula;

(3.) valutazione comparativa sulla base di parametri oggettivi;

(4.) audizione parlamentare dei candidati

Soltanto alla fine di questa procedura:

(5.) votazioni ed elezioni.

In sintesi, si invoca semplicemente una procedura trasparente e ad evidenza pubblica, ed anche nel rispetto delle pari opportunità. Questione, quest’ultima, bellamente ignorata: basti pensare che in tutte le consiliature Agcom non c’è mai stata una donna, se per 1 eccezione (una): Paola Manacorda, nel primo Consiglio dell’Autorità ovvero 1997-2005 (si ricorda che “Key4biz” nel maggio 2012 sostenne – all’interno della “Operazione Trasparenza” – la campagna “Tingiamo di rosa l’Agcom: parte sui social media la campagna ‘Quote rosa in Agcom’”).

Se per quanto riguarda l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, nessuno, negli ultimi anni, incredibilmente, ha sollevato la questione, per quanto riguarda l’Autorità per la Privacy si assiste ad una strana dinamica.

Qualcuno, malignando, potrebbe sostenere che si è trattato di una tipica commedia all’italiana.

Il cosiddetto “Codice Privacy” – ovvero il decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 10 – ha previsto che i componenti del Garante per i Dati Personali siano eletti tra coloro che presentano la propria candidatura nell’ambito di una procedura di selezione il cui avviso deve essere pubblicato nei siti internet della Camera, del Senato e del Garante “almeno 60 giorni prima della nomina”.

Le candidature devono pervenire “almeno 30 giorni prima della nomina” e i curricula devono essere pubblicati negli stessi siti internet.

Le candidature possono essere avanzate da persone che assicurino indipendenza e che risultino di comprovata esperienza nel settore della protezione dei dati personali, con particolare riferimento alle discipline giuridiche o dell’informatica.

Nel rispetto del criterio di trasparenza introdotto dal decreto legislativo dell’agosto 2018, per l’elezione dei componenti dell’Autorità Privacy, la sollecitazione ad inviare le candidature è stata aperta il 19 aprile 2019 e chiusa dopo un mese; poi è stata riaperta, il 7 ottobre, per poco più di una decina di giorni, dal 14 ottobre al 26 ottobre 2019. Si segnala “en passant” che il 2° esecutivo guidato da Giuseppe Conte ha giurato il 5 settembre 2019.

Una marea di candidati per la Privacy: oltre 250 candidature, di cui circa 90 nella seconda “ondata”, soltanto 66 donne (27 %)

Il flusso delle candidature è stato notevole, anche se giornalisticamente qualcuno ha sparato cifre non validate.

Nella prima tornata risultavano in apparenza 357 candidati, ma in verità questa conta è errata, perché non erano stati azzerati i “doppioni” (si ricorda che le candidature potevano essere trasmesse sia alla Camera sia al Senato). Nelle seconde liste, ammontano a poco più di 250 i candidati al Senato e poco più di 200 quelli alla Camera. Qualcuno ha evidentemente presentato la propria candidatura solo al Senato.

I candidati che si sono presentati in occasione della riapertura dei termini sono 86, tra Camera e Senato.

La “riapertura dei giochi” è avvenuta – secondo una interpretazione malevola – anche come conseguenza dell’insediamento del Conte 2 (ad inizio settembre), e c’è chi ha sostenuto che sarebbe stato interessante effettuare un’analisi comparata tra i candidati della prima e della seconda ondata…

Qui ci limitiamo a segnalare soltanto quattro… curiosità: tra le poche donne (66 su oltre 250 candidati), Annalisa D’Orazio, dal 2012 Capo di Gabinetto dell’Agcom; un indubbio “outsider”, William Turcinovic, anni 20, il più giovane tra i candidati (“conosco a memoria il Gdpr”, dichiarava in un’intervista), nominato dal Presidente Sergio Mattarella “Alfiere della Repubblica” nel 2018; il controverso (“ex”?!) magistrato Luca Palamara, un “signore delle nomine”, che sicuramente non si era candidato – abbiamo ragione di ritenere – in modo velleitario; il più anziano è indiscutibilmente l’ex Presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri, anni 78…

Da segnalare che, nella prima ondata, le donne erano state 47, nella seconda son state 19, per un totale giustappunto di 66 candidate.

L’elenco è ovviamente di pubblico dominio – con tutti i cv (ovviamente, ça va sans dire, non standardizzati) – sul sito della Camera e del Senato (che precisa “elenco aggiornato al 3 marzo 2020”).

Dettaglio: sono trascorsi da allora 8 mesi (otto!), e non si comprende perché il termine delle candidature non è stato riaperto, come logica sostanziale e formale, un minimo di buon senso e rispetto del diritto avrebbero richiesto.

Di fatto, sono state “congelate” candidature che risalgono a fine ottobre 2019, allorquando le elezioni avvengono a metà luglio 2020!

Quelle candidature possono essere ritenute ancora valide, considerando i molti mesi di proroga del mandato anche di Autorità Privacy?! La legge prevede che “le candidature devono pervenire almeno 30 giorni prima della nomina”, ma qui siamo a… 240 giorni (!) “prima della nomina”. Un po’ surreale, si converrà.

“Ad altra data” ovvero “A data da destinarsi”: il continuo slittamento delle elezioni dei vertici Agcom e Privacy, una “telenovela” italiana

Un’analisi dello slittamento delle date delle elezioni di queste due “authority” conferma la patologia in atto, e stimola perplessità a catena: le date sono state rimandate più volte ovvero 6 o 7 volte – pandemia a parte – perché evidentemente non maturava l’occulto accordo lottizzatorio (e forse, a metà luglio 2020, non è ancora maturato!).

Il 6 agosto 2019, il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge che introduceva misure urgenti “per assicurare la continuità delle funzioni” del Collegio del Garante per la Protezione dei Dati Personali. Il Garante Privacy era scaduto il 19 giugno 2019

Dopo una prima votazione poi rimandata, inizialmente prevista per il 26 giugno, la Camera e il Senato non hanno più affrontato, per settimane, la questione del rinnovo del Garante, e si prevedeva che la questione sarebbe arrivata all’esame dei due rami del Parlamento dopo la “pausa estiva” insieme a quella dell’Agcom, il cui mandato settennale era scaduto il 26 luglio 2019

Nel mentre, il 5 settembre 2019 si insediava il nuovo Governo…

Il 4 ottobre 2019, l’Assemblea della Camera dei Deputati approvava in via definitiva il disegno di legge di conversione in legge, recante “misure urgenti” per assicurare la continuità delle funzioni del Garante Privacy (nonché – si legge nel titolo – “sanatoria degli effetti del decreto-legge 11 luglio 2019, n. 64”). Con questo provvedimento veniva confermata, tra l’altro, la modifica introdotta dalla Commissione Giustizia del Senato, secondo cui la procedura di rinnovo dei componenti del Collegio avrebbe dovuto essere completata entro il 31 dicembre del 2019, e non più entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto (e quindi il 7 ottobre)…

Ricordiamo che il voto per Agcom e Privacy era stato quindi calendarizzato per il 19 dicembre 2019.

Due giorni prima della scadenza, il 17 dicembre, il Vice Presidente Roberto Calderoli (Gruppo Lega) comunicava, in apertura dei lavori, che, avendo preso atto dell’intenzione manifestata dal Governo di procedere a un’ulteriore proroga del decreto-legge sulla durata in carica degli attuali componenti di Agcom e Privacy, la votazione per l’elezione dei membri di nomina parlamentare veniva rinviata “ad altra data”.

Il 21 dicembre 2019, il Governo approva il cosiddetto decreto legge “Milleproroghe” che – tra l’altro – contiene anche un’ulteriore proroga per le Autorità.

Il 9 gennaio 2020, la Presidente del Senato annuncia l’elezione per il 6 febbraio 2020.

Il 16 gennaio 2020 la Camera annuncia il voto per il 18 febbraio 2020. Il Senato si adegua di conseguenza.

Il 18 febbraio 2020, la Conferenza dei Presidenti di Gruppo della Camera, ha convenuto di rinviare la votazione, previa intesa con il Senato, alla seduta del 27 febbraio 2020.

Viene poi definita una nuova data, il 19 marzo 2020, poi anticipata al 18, ma l’11 marzo la Conferenza dei Capigruppo di Montecitorio calendarizza una… nuova data: il 25 marzo 2020.

Il decreto legge “Cura Italia” ha prorogato il termine entro il quale il Presidente e i componenti del Consiglio dell’Agcom sono legittimati ad esercitare le proprie funzioni, estendendolo dal 31 marzo 2020 previsto, al nuovo termine di “60 giorni successivi alla cessazione dello stato di emergenza” epidemiologica da Covdi-19. Dal momento che lo stato di emergenza è stato “dichiarato per sei mesi, con la delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020” e quindi sarà in vigore fino al 31 luglio 2020, i vertici Agcom resteranno in carica fino a fine settembre 2020. La Relazione illustrativa del Governo aveva evidenziato che la norma “intende evitare che le procedure previste per il rinnovo dei predetti organi debbano svolgersi in un periodo caratterizzato da una possibile limitazione dell’attività delle Camere, chiamate a partecipare al rinnovo”.

Gli articoli 117 e 118 del decreto legge “Cura Italia” (n. 18 del 17 marzo 2020) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 marzo 2020 recitano “Misure urgenti per assicurare la continuità delle funzioni” dell’Agcom e del Garante Privacy.

Nella seduta della Camera dei Deputati del 18 marzo 2020 è stato reso noto che le votazioni per l’elezione dei componenti dell’Agcom, previste – da ultimo – per il 25 marzo 2020, “sono rinviate a data da destinarsi”…

Il 18 marzo, il Consiglio Agcom prendeva atto del decreto di Conte che stabiliva una ennesima lunga proroga per i vertici. Una prorogo inattesa, dopo che era sembrato che il Parlamento volesse votare i nuovi commissari di Agcom e Privacy il 25 marzo. Da ricordare che, nelle more della “imminente” elezione, si era dimesso, ad inizio marzo, il commissario Antonio Martusciello e subito dopo aveva presentato le sue dimissioni anche Antonio Nicita

14 luglio 2020: ma sarà veramente questo il “giorno X”?! Evidenza pubblica, zero

Ritenuta evidentemente conclusa la fase più acuta dell’emergenza Covid (ovvero… forse finalmente concluse le trattative tra partiti), la Conferenza dei Capi Gruppo del Senato, ovvero, alla fin fine, i Presidenti di Camera e Senato il 24 giugno hanno quindi deciso di convocare le elezioni per il 14 luglio 2020 (per le ore 16, recita il calendario)…

Dati i precedenti, è però forse da escludere che anche questa data – nella miglior tradizione di una tipica “telenovela” italica – venga fatta slittare ulteriormente?!

Da segnalare che l’Agcom, nell’ultima riunione di Consiglio, “in vista” dell’elezione dei nuovi componenti prevista per il prossimo 14 luglio e della nomina del Presidente, ha confermato nei loro incarichi per un altro anno i direttori e vicedirettori in scadenza a luglio. Ha, inoltre, con separata delibera, nominato il Segretario Generale (il cui incarico ha inizio dall’entrata in vigore del provvedimento, ovvero il 26 giugno, e terminerà dopo sei mesi dall’insediamento del nuovo Consiglio) nella persona dell’attuale Segretario Generale “facente funzioni”, Nicola Sansalone. Queste decisioni fanno pensare che forse la data del 14 luglio non sarà oggetto di ulteriori slittamenti, a distanza di 1 anno uno dalla prima scadenza del mandato settennale dei consiglieri Agcom. Sarà quindi una data definitiva, in un Paese come il nostro, nel quale… non c’è nulla di più definitivo del provvisorio?!

Da ricordare però che il 14 luglio va in scena a Palazzo un “gioco” ancora più importante: il rinnovo degli uffici di presidenza delle commissioni permanenti… Ci sarà da tribolare. L’eletta schiera dei 9 consiglieri uscirà veramente dal cappello magico di Camera e Senato?! Votazioni senza un minuto di dibattito?!

Votazioni “a scatola chiusa”, con silenti parlamentari “peones” che riceveranno il “pizzino” dal Capogruppo di turno?!

Si invoca un minimo di trasparenza, per ridurre ignobili mercanteggiamenti

Conclusivamente…

L’Autorità per la Privacy svolge un ruolo delicato a tutela di diritti fondamentali della persona, ancor più in una fase storica nella quale i “social network” e l’economia digitale sconvolgono paradigmi storici…

L’Autorità per le Comunicazioni svolge un ruolo delicato a tutela dell’equilibrio del sistema dell’informazione, anch’esso sconvolto dalla “disruption” digitale, sia in termini politici sia in termini culturali, sia in termini economici.

Ci limitiamo a ricordare questioni fondamentali per la democrazia, come il pluralismo informativo, le “fake news”, la violenza in rete, la pornografia, il gioco d’azzardo, la tutela dei minori e delle minoranze… Tematiche di competenza, in un modo o nell’altro, di entrambe queste Autorità, con una qualche irragionevole sovrapposizione (fin dal gennaio 2019 il Commissario Agcom Antonio Nicita proponeva – con giusta provocazione – “un’unica authority di regolazione per il digitale, che nasca dalla fusione paritetica di Agcom e del Garante per la privacy e che permetta di esercitare un maggior potere ‘contrattuale’ e di moral suasion nei confronti delle piattaforme globali”). Va anche ricordato che il legislatore dovrebbe intanto finalmente intervenire per estendere anche al web il potere di intervento di Agcom, dato che internet resta in Italia una sorta di “Far West” (normativamente inteso).

Queste sfere di assoluta delicatezza non sono degne di una adeguata attenzione da parte delle istituzioni, del sistema politico, della società civile, affinché vengano assicurati criteri di nomina minimamente trasparenti e minimamente decenti?!

L’elezione di questi collegi non dovrebbe essere una feconda occasione di dibattito pubblico sulle prospettive del sistema mediale, digitale, e culturale italiano?

Si può affidare l’elezione di queste Autorità esclusivamente alle trattative, mercanteggiamenti e forse anche mercimoni delle segreterie di partito? Perché i “giochi” spartitori (perché tanto tali sono) non possono avvenire a carte scoperte?!

Ci domandiamo ancora: possibile che nessun deputato e nessun senatore denunci queste pratiche, basse e scandalose, che rappresentano veramente un vulnus per la democrazia del nostro Paese?!

Ed è possibile che anche l’attenzione dei giornali e dei media sulla vicenda sia veramente tendente a zero, come se Agcom e Privacy non fossero “regolatori” – in qualche modo – anche delle loro attività? Silenzio inquietante, anche su questo fronte, se non per i soliti “gossip” su presunti candidati (misteriosi, per Agcom, evidenza pubblica zero). Rassegnazione forse?!

E infine riemerge amaramente il quesito di Giovenale (“VI Satira”): “Quis custodiet ipsos custodes?”. Sarà mica la risposta… che sono proprio le segreterie dei partiti, in Italia, a “sorvegliare i sorveglianti stessi”, controllandone “ab origine” le nomine?.

Se l’Italia fosse un Paese normale…