Carlo Ratti racconta la sua smart city: palinsesto di creatività e modello di partecipazione ‘bottom up’

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Gran Bretagna


Carlo Ratti

Le città di tutto il mondo dovranno essere pronte, entro il 2050, ad accogliere oltre il 70% della popolazione umana sulla Terra. Il dato varia a seconda degli studi, ma tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che i centri urbani dovranno riuscire ad adattarsi al cambiamento in atto e soprattutto dovranno mostrarsi in grado di sostenere l’impatto dei flussi migratori.

 

È chiaro che l’unica risorsa a disposizione di Governi ed enti pubblici è la tecnologia e nello specifico le ICT e le green technology. Il territorio, per essere gestito in maniera efficace ed efficiente, deve essere monitorato costantemente, quindi ricoperto di una rete di sensori che ne trasformano ogni proprietà e specifica in dati. Flussi di energia elettrica, di gas, di acqua, stato del traffico, del clima e dell’aria, accessibilità degli edifici, ottimizzazione dei consumi energetici ed idrici degli stessi, sicurezza e sostenibilità ambientale, qualità della vita dei cittadini, sono solo alcuni esempi di cosa una città del futuro dovrà gestire quotidianamente, per tutti i suoi milioni di abitanti e per le aziende che vi prendono posto.

 

Le persone sono l’anima e il cuore di un’area urbana, è grazie ad esse che cresce e prospera, ma è chiaro che serve un piano, degli strumenti idonei alla sua attuazione e una prospettiva di sviluppo basata sull’innovazione, la sostenibilità e la partecipazione dal basso dei cittadini ai processi amministrativi. Di questo avviso è anche Carlo Ratti, direttore del Senseable City Lab del MIT, che, in un articolo della BBC, ha raccontato la sua idea di smart city partendo dall’esperienza di Singapore, città che l’architetto italiano conosce bene.

 

Il fatto che sia una Città-Stato già colpisce il visitatore, ma è all’arrivo nel grande aeroporto di Changi che è subito chiaro il livello di digitalizzazione e di tecnologia presente in ogni angolo della metropoli“. Una specie di moderna Venezia, costruita su più di 60 isole in terra malese e abitata da 5,4 milioni di persone (oltre il 40% provenienti da altri Paesi). “Una sinfonia di efficienza tecnologica e organizzativa“, che però non basta a definire come ‘intelligente’ un’area urbana. Secondo il direttore del Senseable City Lab, una smart city necessità prima di tutto di un ‘palinsesto di creatività‘ e poi di un modello di partecipazione dei cittadini all’amministrazione cittadina di tipo ‘bottom-up’. “Come direbbe la mia amica Saskia Sassen (sociologa ed economista statunitense, ndr), ogni città per essere sufficientemente evoluta ha bisogno dei suoi hacker civici“, utili ed indispensabili per “aumentare lo spazio d’azione collettivo“.

 

Un punto di vista che sostiene anche l’urbanista Pablo Sánchez Chillón, “i cittadini sono la spina dorsale delle smart city“, le città si costruiscono attorno a loro e su misura, seguendo un altro modello denominato ‘citycentric‘ e che poggia sempre sul concetto di bottom-up, cioè di partecipazione attiva dal basso: “Ogni area urbana ha una propria identità e questa è continuamente alimentata dalla comunità che la anima. Per comprendere come far crescere le città in maniera semplice ed efficace basta mettersi in ascolto dei cittadini. Ogni progetto calato dall’alto, senza visione e consenso, sul futuro del territorio e dei suoi abitanti è destinato a fallire“.

 

(F.F.)