Web e paradisi fiscali, la Ue accende i fari su Apple in Irlanda

di Raffaella Natale |

Sotto la lente della Ue gli accordi fiscali tra Apple e il governo irlandese. L’indagine riguarda anche Lussemburgo e Olanda. Coinvolti pure Fiat e la catena di caffetterie Starbucks.

Unione Europea


Apple

La Ue si muove sul fronte tasse e web company, aprendo un’indagine formale sui sistemi usati da Apple per eludere il fisco e sui suoi accordi con l’Irlanda.

La notizia anticipata ieri dalla tv pubblica irlandese RTE oggi è stata confermata dall’annuncio ufficiale da parte del Commissario europeo alla Concorrenza, Joaquin Almunia.

Più precisamente la Commissione Ue ha aperto tre inchieste approfondite per esaminare se le decisioni delle autorità fiscali di Irlanda, Olanda e Lussemburgo sulle imposte da far pagare a Fiat Finance and Trade (società anonima controllata dal gruppo automobilistico), Apple e Starbucks sono conformi alle regole europee sugli aiuti di Stato. Sotto la lente potrebbero finire anche Google, Amazon e Facebook.  L’apertura di una inchiesta approfondita dà la possibilità ai terzi interessati e agli Stati di esprimersi nel merito dei casi e non pregiudica l’esito della procedura.

 

Indagine Ue

Una mossa importante quella di Bruxelles che arriva dopo la consegna alla Commissione europea del Rapporto del Gruppo di esperti su tasse ed economia digitale.

L’Irlanda torna dunque nel mirino per le sue leggi che garantiscono alle multinazionali di internet di pagare tasse al minimo. Lo scorso anno erano stati gli Stati Uniti a puntare il dito contro il governo di Dublino, ritenuto ‘complice’ della strategia fiscale messa in piedi da Apple per sottrarsi al pagamento delle tasse, ricorrendo a un complesso sistema di società offshore. L’Irlanda d’altronde anche per l’OCSE è un paese ‘tax-compliant’. E contro i paradisi fiscali si era impegnato anche il G20 nel vertice di settembre a San Pietroburgo.

La decisione della Commissione Ue punta ad accertare se gli sgravi fiscali infrangono la normativa europea degli aiuti di stato, favorendo di fatto alcune aziende a scapito della concorrenza. Se la Commissione dovesse rinvenire prove di aiuti statali illegali potrebbe chiedere la restituzione delle entrate fiscali perse. L’Irlanda è finita nel mirino delle critiche per il suo regime fiscale che consente alle aziende multinazionali di pagare un’aliquota effettiva inferiore al 12,5%.

 

Nel mirino della Ue i tax rulings

La Commissione europea si è mossa in seguito ad articoli di stampa secondo i quali alcuni imprese avevano beneficiato di “importanti riduzioni di imposta” accordate loro attraverso “decisioni anticipate in materia fiscale” (tax rulings) prese dalle autorità nazionali. Si tratta di decisioni, indica la Commissione, che non costituiscono di per sè un problema: parliamo di ‘lettere di intenzione’ delle autorità fiscali che chiariscono una impresa sul modo in cui sarà calcolata l’imposta o sull’applicazione di disposizioni particolari. Secondo la Commissione, però, possono implicare degli aiuti di Stato “se sono usate per conferire dei vantaggi selettivi a una impresa o a un gruppo di imprese”.

Tali decisioni sono in particolare usate per confermare degli accordi di fissazione del prezzo di trasferimento: si tratta dei prezzi fatturati per transazioni commerciali tra entità differenti di uno stesso gruppo in particolare dei prezzi fissati per dei beni venduti o dei servizi forniti da una filiale a un’altra dello stesso gruppo. I prezzi di trasferimento, spiega la Commissione, influenzano la ripartizione dei guadagni imponibili tra le filiali di un gruppo stabilite in diversi paesi. Se le autorità fiscali al momento di accettare il calcolo del ‘piatto’ di imposta proposto da una impresa insistono sulla necessità di remunerare una filiale o una succursale alle condizioni di mercato, tenendo conto delle normali condizioni di concorrenza, ciò “permetterebbe di escludere la presenza di un aiuto di Stato“. Se il calcolo non si fonda su una remunerazione alle condizioni di mercato, “è possibile che l’impresa benefici di un trattamento più favorevole di quello che sarebbe normalmente riservato ad altri contribuenti”.

La Commissione esaminerà i tre accordi di fissazione dei prezzi di trasferimento che riguardano le decisioni anticipate adottare dall’Irlanda per il calcolo dei guadagni imponibili attribuiti alle succursali irlandesi di Apple Sales International e Apple Operations Europe; quelle prese dalle autorità fiscali olandesi per ciò che riguarda il calcolo della base impositiva per le attività di fabbricazione di Starbucks Manufacturing; e quelle prese dalle autorità fiscali lussemburghesi per ciò che riguarda la base impositiva in Lussemburgo per le attività di finanziamento di Fiat Finance and Trade. La Commissione ha riesaminato i calcoli usati per determinare la base impositiva nei tre casi e “teme in via preliminare che le decisioni anticipate possano aver sottostimato i guadagni imponibili conferendo un vantaggio alle imprese permettendo loro di pagare meno imposte“. Bruxelles precisa che le decisioni anticipate riguardano unicamente gli accordi sulla base impositiva e non il tasso di imposizione applicabile propriamente detto. Parallelamente alle tre procedure, la Commissione ha annunciato che proseguirà l’inchiesta più generale sulle decisioni anticipate in materia fiscale che riguarda “più Stati membri“.

 

Joaquin Almunia: ‘Le regole Ue impediscono ai Paesi di agire contro chi elude il fisco’

“Nel contesto attuale di restrizione di bilancio è particolarmente importante che le grandi multinazionali paghino la giusta parte di imposte“, ha affermato il Commissario alla Concorrenza Joaquin Almunia spiegando i motivi della decisione dell’esecutivo europeo.

“Le regole Ue – ha proseguito Almunia – impediscono agli Stati di prendere misure che permettono a certe imprese di pagare meno imposte rispetto a quelle che dovrebbero se le regole fiscali dello Stato membro fossero applicate in modo equo e non discriminatorio”.

“E’ troppo presto” per dire quale sarà la conclusione delle tre inchieste, “dobbiamo aspettare le fine”. “Per ora – ha aggiunto Almunia – abbiamo dei dubbi seri sulla compatibilità dei sistemi usati con le regole europee degli aiuti di Stato, un recupero è possibile se c’è la dichiarazione di incompatibilità ma occorre analizzare certe condizioni, è troppo presto adesso per parlare di questo”. Il Commissario ha osservato che in ogni caso gli interlocutori della Commissione per le procedure sugli aiuti di Stato sono gli Stati, non le imprese.

Il Commissario Ue per la Fiscalità, Algirdas Semeta, ha dichiarato che “una leale concorrenza fiscale è fondamentale per l’integrità del Mercato Unico” oltre che per la stabilità delle casse degli Stati membri e per assicurare “parità di condizioni alle nostre aziende” e difendere “il nostro modello economico e sociale“.

 

Apple dribbla le tasse anche in Italia

In Italia, nel 2013 Apple ha versato all’Agenzia delle Entrate solo 8 milioni di euro. Un’inezia rispetto ai ricavi per 38 miliardi realizzati soltanto in Europa dal produttore di iPhone e iPad, che nel nostro paese è attiva con Apple Italia e Apple Retail Italia.

Dallo scorso anno su Apple Italia indaga anche la Procura di Milano, che ha iscritto due manager della società nel registro degli indagati per dichiarazione fraudolenta dei redditi. Il sospetto è che tra il 2010 e il 2011 la società non abbia dichiarato oltre un miliardo di imponibile.

 

Double Irish With a Dutch Sandwich

Ovviamente da parte di Apple, ma anche di tante multinazionali soprattutto web company, non c’è nulla d’illegale in tutto ciò. Si tratta semplicemente si fruttare le lacune delle varie legislazioni per spostare i capitali nei Paesi dove la tassazione è più vantaggiosa. Spesso si adotta la cosiddetta strategia del “doppio irlandese con panino olandese” (Double Irish With a Dutch Sandwich), che consiste nel trasferire i denari verso le sussidiarie irlandesi e olandesi, per poi traghettare il tutto ai Caraibi.

Per colpire le multi nazioni di internet che eludono il fisco, in Italia è già in vigore la cosiddetta Web Tax, per la parte riguardante la tracciabilità dei pagamenti per i servizi online, ma è stata congelata, per la forte opposizione politica, per le disposizioni che prevedono l’obbligo di partita Iva italiana per gli acquisti di eAdvertising per le quali si attende una previa verifica di compatibilità con il diritto dell’Ue.

Uno dei maggiori oppositori della Web Tax è stato appunto il premier Matteo Renzi. Complessi meccanismi, anche politici, che però al momento impediscono di contrastare le aggressive pratiche di ottimizzazione fiscale alle quali ricorrono indisturbati i ‘furbetti’ della rete.

Ma se si vuole parlare di digitale non si può non considerare che bisogna rivedere con urgenza le norme che riguardano i sistemi di tassazione ed agire anche contro i paradisi fiscali europei.

 

Gli USA contro l’Irlanda

Nel 2013 l’Irlanda è stata anche coinvolta nel dossier che il governo americano ha aperto su Apple e tasse.

Secondo il Rapporto del Senato USA, Apple traghetta in Irlanda la maggior parte dei propri profitti internazionali e, grazie a un accordo col governo, gli viene applicata un’aliquota fiscale inferiore al 2% su tutti gli utili tassabili in questo Paese, ben al di sotto del 12,5% previsto invece per le società irlandesi.

Apple ha aperto il suo primo ufficio in Irlanda 30 anni fa e oggi impiega 4 mila persone nella suo quartier generale a Cork.

Tim Cook, l’amministratore delegato di Apple, ha risposto nei mesi scorsi in modo duro alle accuse del Senato americano. Apple ”paga tutte le tasse che deve, ogni singolo dollari” ha detto Cook.  

Anche Dublino ha respinto le accuse contenute nel Rapporto del Senato USA che additano il Paese come un paradiso fiscale che ha permesso ad Apple di sottrarsi al pagamento di miliardi di tasse in tutto il mondo.

All’epoca dei fatti, il vicepremier Eamon Gilmore, commentando l’audizione del CEO di Apple Tim Cook al Senato USA, dichiarava che “l’Irlanda ha un regime fiscale in regole” e che le colpe sono da attribuire a quei Paesi che presentano ancora delle ‘lacune’ nelle loro leggi che permettono alle multinazionali di ricorrere a “complesse strategie per eludere le tasse”.