Apple-Beats: se i service provider diventano content provider, anche i giganti italiani possono competere

di di Michele Mezza (Autore crossmediale) |

Sulle orme di design e moda, l’Italia deve innestare il circuito virtuoso dell'indotto tecnologico rispetto ai contenuti local: patrimonio artistico, gusto, eleganza, stile di vita e il servizio pubblico può essere un incubatore di questa grande bottega.

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Michele Mezza

L’acquisto di Beats da parte di Apple sembra confermare una tendenza ormai ineludibile: i net provider diventano content provider.

 

La realtà di Beats conferma questa tendenza. Da produttore di cuffie, ossia si un sistema utente che connetteva  moltitudini di individui, la società ha dovuto diventare produttore in prima persona di contenuti, avviando un servizio di streaming musicale che dava al suo prodotto, le cuffie, un titolo privilegiato per essere scelto: la possibilità di ascoltare quella musica. Il fatto che Beats operi come broker, mediante accordi non cambia di molto la realtà: l’editore che sceglie e valorizza il prodotto musicale è esattamente quello che vende le cuffie.

 

Prima di Beats la stessa scelta era stata fatta da Netflix, poi dalla stessa AT&T, e quindi da AOL. Tutti i grandi net provider per difendere e incrementare la presenza del proprio brand sul mercato globale hanno dovuto risalire la corrente  e avvicinarsi alla fonte dei contenuti. Non dissimile la scelta che la stessa Apple fece con la seconda versione di iTunes, il negozio multimediale diventato in breve un vero editore musicale. Così come Google con i suoi servizi sulle news, o i libri o, oggi, con la nascente piattaforma tv. Gli Over The Top vanno a caccia di contenuti.

 

Da una parte questa strategia trasmette un qualche sussulto di vitalità ai marchi tradizionali dei contenuti: dalla filiera di Hollywood ai grandi gruppi editoriali è oggi un gran brindare agli accordi in esclusiva che portano tanti soldi nelle loro casse. Ma già la fine della ricreazione è alle viste. Netflix  produce serial e film in prima persona. Beats è già un grande editore musicale. Apple sta incubando format mobile. Insomma i salmoni quando risalgono la corrente è per mangiare non certo solo per riprodursi.

 

L’importante, piu’ che brindare, è capire dove e come andare. Rupert Murdoch sembra reagire con la tecnica della Rana: facendosi sempre piu’ grande. L’unificazione delle sue piattaforme di pay tv europee mira a creare un grande soggetto negoziale sul mercato dei format premium: film e sport.

Una scelta che avrà come conseguenza un ulteriore ridimensionamento delle Tv nazionali, ossia dei sistemi televisivi che coincidono con un solo paese, una sola lingua un solo mercato. Dall’altra parte gli editori di stampa stanno biodegradandosi nella rete. I grandi quotidiani nazionali – dal Financial Times al Guardian, al New York Times al Washington Post – sulla spinta dei propri direttori mirano a diventare centri servizi on line, “disancorandosi dalle notizie” come dice nella sua lettera alla sua redazione del Financial Times Lionel Barber. Una strategia  arrischiata , che mira a valorizzare il legame fra testata e comunità degli utenti tradizionali.

 

In questo quadro rimangono scoperti due settori, che sembrano ancora alla portata di gruppi locali: l’informazione hyperlocal e la creatività artigianale.

Per hyperlocal penso a quell’arco di servizi che vanno dalla cronaca locale sempre piu’ geo referenziata, fino ai navigatori tematici (i tom-tom dei monumenti, dell’enogastronomia, dei sistemi industriali e commerciali). In questo campo  c’è grande spazio per trovare nuove formule che diano vigore a giornalismo territoriale e al protagonismo delle comunità locali. Oltre che opportunità per i produttori di app e algoritmi.

 

La creatività artigianale è quel brodo primordiale di contenuti allo stato nascente, musica, video, narrazioni che oggi rifluisce disordinatamente su YouTube e che rappresenta il principale indice di creatività di un territorio. Anche in questo caso c’è grande spazio per impresari che possa organizzare e supportare i talenti locali.

 

Questo mi pare sia lo spazio per un servizio pubblico multimediale. Local news, talent e sistemi intelligenti. Il terzo punto è forse quello piu’ pertinente per il sistema italiano: il nostro rimane un grande paese della personalizzazione elegante dei prodotti, e il software è oggi il prodotto che piu’ di altri  è personalizzato e personalizzabile. Sulle orme di design e moda, l’Italia deve innestare il circuito virtuoso dell’indotto tecnologico rispetto ai suoi contenuti legati al territorio: patrimonio artistico, gusto, eleganza, stile di vita. Il servizio pubblico può essere un incubatore di questa grande bottega a cielo aperto. Sapendo che  non siamo solo un paese di formicolanti nani. Abbiamo i nostri giganti: infatti se la strada, come dicevamo all’inizio, è quella che porta i service provider a diventare content provider, possiamo  chiedere ai nostri grandi service provider – Luxottica, Diesel, Prada, Eataly, Conad – di entrare con forza nel campo delle narrazioni e dei sistemi utenti. Se la partita dei vecchi editori ci vede soccombere perché non cambiare scena e proporre nuovi editori?