Se non migliora la qualità della vita non è Agenda digitale

di di Paolo Di Pietro (Esperto in architetture di integrazione SOA) |

L'errore che è stato fatto fin qui da tutti, politici e tecnici, è stato quello di avere la vista corta, di non cercare una soluzione sistemica alle questioni poste, ma di ragionare a brevissimo termine.

Italia


Paolo Di Pietro

Ho letto il commento di Alfonso Fuggetta sulle prospettive per il dopo Caio e vorrei fare alcune considerazioni.

 

Trovo che il punto focale del ragionamento di Fuggetta sia il 2.2 Digital First, tutto il resto viene dopo.

 

A mio parere, l’errore che è stato fatto fin qui da tutti, politici e tecnici, è stato quello di avere la vista corta, di non cercare una soluzione sistemica alle questioni poste, ma di ragionare a brevissimo termine: comprensibile (ma non giustificabile) dal momento che, il più delle volte (ma in ambito digitale quasi sempre) la politica non è riuscita a   traguardare altro se non gli interessi di partito/potere e le scadenze elettorali.

Da qui la mia esigenza di confrontarmi con le opinioni di esperti che non sono condizionati da questi elementi distorsivi.

 

C’è bisogno di un cambio di paradigma ma anche di un salto culturale: dobbiamo trovare la giusta via di mezzo tra il ragionare sulla trimestrale di cassa e la programmazione a misura di decenni che viene fatta in Cina. E’ necessario guardare anche da noi al sistema-Paese con un’ottica di almeno 20 anni.

 

In via generale sono sempre più convinto che non ha importanza se noi individui di oggi coglieremo i frutti del nostro lavoro: è importante, invece, che a raccoglierne i frutti siano i nostri figli, ai quali dobbiamo lasciare un mondo migliore. Il dramma è che siccome oramai non siamo più in grado di lasciarglielo migliore di come lo abbiamo ricevuto dai nostri padri, dobbiamo quantomeno impegnarci a lasciarglielo migliore di come lo abbiamo ridotto fino ad oggi.

 

Per quanto riguarda l’Agenda Digitale, non sono certo che sia importante che l’AGID diventi la “casa degli standard, della progettazione e della visione di sistema“. Anzi, credo che sia proprio questo l’approccio che vada affrontato e discusso prima di procedere.

 

SOGEI e CONSIP (e per alcuni versi la stessa AGID) non sono il futuro: sono, per alcuni versi, il passato.

Sono i promotori dell’establishment e dell’ortodossia e sono, di fatto, i custodi dello status quo.

 

Ma sono anche organismi solo tecnici: devono mettere in pratica le linee guida di politica dell’innovazione che devono venire dalla politica.

 

Invece, proprio per le insufficienze della politica, si è lasciato spesso che fossero loro a guidare i processi di innovazione del Paese.

 

Semplifico, ma il loro approccio funziona più o meno così: per quanto riguarda le cose che funzionano in un certo modo, noi usiamo la tecnologia, così le facciamo funzionare più velocemente.

 

In realtà il rischio palese (e in qualche caso la certezza) è che loro ci raccontano che le cose cambiano, ma in realtà ciò che cambia è molto poco e il risultato è che non si devono disturbare i manovratori di turno.

 

L’esempio tipico è la PEC: come piegare la tecnologia per simulare un processo del secolo scorso.

 

Potrei citare centinaia di esempi, ne faccio uno soltanto che mi riguarda personalmente: sono diabetico (malattia dalla quale non si guarisce salvo miracoli), l’ospedale (pubblico) lo ha certificato da anni e ha anche prescritto, sul sito gestito da SOGEI, che ho diritto ad un certo numero di presidi (lancette pungi dito, aghi per l’insulina, strisce reattive) ogni trimestre.

 

Bene, sarei proprio curioso di sapere chi è stato quel furbone che ha deciso che, per avere quel materiale in farmacia, devo andare ogni volta prima dal mio medico di base per farmi prescrivere di nuovo quanto già disposto dall’ospedale, dal momento che la farmacia accede direttamente al sito SOGEI.

 

Una riformulazione del processo fatta con la testa invece che con i piedi, avrebbe potuto tranquillamente eliminare il passaggio dal medico di base, sgravando di un onere burocratico il medico che ha studiato 12 anni per una laurea ed una specializzazione in medicina e che si trova a gestire pezzi di carta e, dall’altra parte, il paziente che si trova sempre ad agire per supplire alle carenze di un’amministrazione pubblica che continua ad essere assolutamente autoreferenziale.

 

Insomma, per farla breve, quando si parla di Agenda Digitale, coloro che devono migliorare i processi per i cittadini, li ingarbugliano per cercare di risultare sempre più indispensabili, oppure semplificano solo quelli che fanno  loro comodo, non tenendo in nessun conto le reali esigenze dei cittadini.

 

Mi piace rammentare che il primo servizio di e-government varato in Italia è stato il … pagamento delle multe: come velocizzare il trasferimento dei soldi dai cittadini all’amministrazione. Analizzare l’altro verso della relazione non è di loro interesse.

Ed è proprio questo che dobbiamo combattere: l’Agenda Digitale deve diventare una Road Map verso una migliore qualità della vita dei cittadini, non uno strumento in mano ad una casta di burocrati che aumenta il numero degli adempimenti richiesti al cittadino. Come se invece di abolire le file le facessimo digitali.

 

L’Agenda Digitale DEVE diventare lo strumento per farci evolvere, da sudditi a cittadini.

 

Quindi, Digital First.

 

Ma vediamo un momento: cosa vuole dire Digital First?

 

Digital First NON DEVE voler dire solo digitalizzare gli attuali processi cartacei e le attuali procedure borboniche o savoiarde.

 

Digital First DEVE voler dire digitalizzare il funzionamento della macchina della Pubblica Amministrazione in un’ottica che potremmo definire Service Oriented: occorre costruire una Pubblica Amministrazione orientata al servizio.

 

Al servizio di chi?

 

E’ necessaria una precisazione: al servizio esclusivo dei cittadini e delle imprese (oltre che, ma solo secondariamente, di altre Pubbliche Amministrazioni).

Per far questo è necessario che venga avviata un’attività radicale di ripensamento dei processi della PA a partire dai servizi erogati.

 

E non è un’attività che richieda un budget significativo: può essere effettuata semplicemente spendendo un centesimo di quanto previsto, ad esempio, per il bando, inutile, del Cloud.

 

La cosa, che è più facile da fare che da dire, potrebbe anche diventare il nuovo modo di riferimento per la Spending Review.

 

Come?

1)   Si parte prendendo ciascuna (tipologia) di PA: Ministero, Ente, Comune, e si chiede loro di costruire un elenco di tutti i servizi che erogano, classificandoli in ordine decrescente di importanza.

 

Si segue l’approccio di Pareto, identificando il primo 20% dei servizi che risolvono l’80% dei problemi e si analizzano con l’obiettivo di:

  1. Identificare il soggetto beneficiario (se non è cittadino o impresa si mette in fondo alla lista)
  2. Identificare se il particolare servizio è di effettiva competenza dell’Amministrazione che lo sta proponendo, in modo da identificare l’ownership corretta ed evitare duplicazioni;
  3. Si identifica in maniera formale il set minimo di informazioni (non i dati!!!) che devono essere fornite dal richiedente affinché il servizio possa essere attivato;
  4. Si identificano TUTTI i servizi (di supporto, ancillari) necessari per richiedere all’amministrazione stessa o ad altre amministrazioni, le informazioni mancanti;

Al termine di questo processo si sarà costruito un unico catalogo delle informazioni (i metadati) necessarie e, per ciascuna, si sarà individuata l’amministrazione che ne detiene la ownership, ovvero l’unica amministrazione che ha il diritto di dire qual è il set minimo di informazioni necessarie per definire un Oggetto (ad esempio, una persona fisica, un cittadino, un paziente ecc.) o per richiedere un servizio.

 

2)   Una volta iniziata la definizione dei metadati e costruito un primo elenco dei servizi, si può iniziare con l’implementazione.

Ritengo che affidare il procurement di questo tipo di forniture immateriali alle procedure di CONSIP sia un approccio sbagliato alla radice. Così come affidarne la realizzazione a strutture pubbliche come la SOGEI. Vediamo perché.

 

  1. Un approccio come quello descritto nasce dall’Ingegneria dei Processi, e può essere paragonato all’approccio utilizzato da una casa automobilistica che commissiona la realizzazioni di parti ai suo fornitori (il cosiddetto indotto). Ora, è abbastanza ovvio che a CONSIP convenga fare una bella gara al massimo ribasso, non considerando la qualità dei prodotti ricevuti, ma soprattutto fregandosene dei danni indotti dal suo approccio. Sono ormai noti casi di acquisto di attrezzature a costi assolutamente competitivi, che poi non possono essere utilizzati perché manca l’assistenza sul territorio: CONSIP ha svolto bene il suo lavoro (costo minimo), chi acquista ha rispettato la normativa (ha acquistato tramite CONSIP), quindi tutti sono bravi ma il risultato è pessimo. Siamo al paradosso che chi compra è autorizzato ad acquistare da un suo fornitore di fiducia, purché il prezzo sia minore di quello fatto da CONSIP, richiedendo di fatto alle PMI di essere competitive rispetto sul prezzo con le multinazionali. Questo si traduce inevitabilmente in nuove forme di sfruttamento dei lavoratori, di cui il popolo delle partite IVA è un classico esempio (che mi pare anche Matteo Renzi abbia dimenticato nella prima versione del suo Job Act).

 

Un modo alternativo per affrontare il problema, abilitato dalla ridotta dimensione (granularità) e dalla standardizzazione delle interfacce dei servizi, potrebbe essere il seguente:

 

  1. Una volta pronto l’elenco dei servizi, si misura la sua complessità tecnica in test case ed in test point e si costruiscono delle specifiche di test secondo un modello TDD/DDD (Test Driven Development/Model Driven Development), mandando finalmente in pensione l’approccio basato sui function point che è nato alla fine degli anni ’70  nell’Università del Maryland per dimensionare progetti mainframe di grandissime dimensioni e di durata pluriennale – tipo NASA, che non sono adatti a rappresentare né la modalità iterativo-incrementale né i paradigmi Agili i quali, prevedendo l’errore come parte del processo, consentono di fronteggiare meglio l’instabilità dei requisiti e l’incertezza dell’innovazione;
  2. Si definisce una volta per tutte il prezzo di riferimento di un test-case;
  3. Si definiscono e si rendono disponibili una volta per tutte (salvo evoluzioni della tecnologia) gli strumenti utilizzabili per verificare automaticamente i test case (ce ne sono a decine open source);
  4. Si rendono disponibili pubblicamente le specifiche dei singoli servizi in modalità open metadata insieme ai loro test case;
  5. Si consente alle aziende di prendersi automaticamente i servizi che ritengono di essere in grado di realizzare, avendo cura di centrare/bilanciare i seguenti obiettivi:

 

  1. Consentire alle aziende di prendere in carico i servizi sulla base delle loro dimensioni, del loro indice di affidabilità (rapporto tra servizi opzionati e servizi forniti nel rispetto dei test case e dei tempi dichiarati) e dei tempi di implementazione dichiarati;
  2. Accettare solo le implementazioni che hanno passato i test case;
  3. Accettare e pagare le prime due implementazioni ricevute in ordine di tempo (per garantire un backup);
  4. Bilanciare gli incarichi sulla base di indici di distribuzione, in modo da garantire una distribuzione del fatturato per addetto alle diverse aziende e di scoraggiare/evitare il subappalto;

 

Questo approccio consentirebbe di avere una base formale semantica dalla quale partire per ridisegnare tutti i processi interni delle amministrazioni, ed inoltre, a livello sistemico

 

  • Favorirebbe lo sviluppo di nuove imprese, capaci di puntare sulla conoscenza delle nuove tecnologie, offrendo prodotti di elevata qualità in tempi ridotti;
  • Garantirebbe la riduzione dei costi in funzione di una migliore capacità di utilizzo delle nuove tecnologie e non dello sfruttamento della forza lavoro;
  • Eviterebbe il subappalto consentendo un accesso diretto delle piccole aziende, evitando di dover essere loro ad effettuare tutto il lavoro, soggiacendo ai ricatti delle grandi aziende appaltatrice;
  • Consentirebbe di gestire meglio le difficoltà legate all’innovazione, in quanto frantuma grossi problemi in problemi di piccole dimensioni, ciascuno realizzabile in tempi ridotti e con budget estremamente limitati. 

 

Ho cercato di dimostrare perché le attuali procedure utilizzate da CONSIP non sono adatte.

Per quanto riguarda SOGEI, il discorso è diverso.

SOGEI può essere un ottimo soggetto erogatore di servizi, poiché dispone delle competenze e dell’esperienza per garantire la continuità operativa ed il disaster recovery.

E’ però una struttura che opera, da sempre, in un regime protetto.

Non ha, nel suo DNA, alcun elemento che le consenta non solo di operare, ma anche soltanto di pensare di poter essere ‘al servizio‘.

Quindi, tornando alle cose dette, è quanto di meno adatto per erogare servizi in modalità Service Oriented ed anche di essere il front-end di una Service Oriented Organization.

L’evasione, sia fiscale che contributiva, in Italia è una piaga.

Ma l’approccio che ha avuto SOGEI da quando è nata negli anni ’70 con l’obiettivo di costruire l’Anagrafe Tributaria, è quello proprio di uno stato impositivo.

E siccome la nostra PA è assolutamente inefficiente, si è mossa con l’obiettivo non di far fronte alle inefficienze, ma di scaricare sui cittadini l’onere della prova.

 Che cosa sono, ad esempio, gli studi di settore se non la chiara dimostrazione di impotenza nei confronti della grande evasione cui ha fatto seguito una serie di normative volte a costringere chi, magari non riuscendo a fatturare abbastanza, era costretto a dichiarare più dell’effettivo?

 

Mi si dirà che in realtà questo è un compito dell’Agenzia e non di SOGEI.

Ma questo sarebbe vero se l’Agenzia fosse davvero cliente di SOGEI, mentre invece, almeno fino ad alcuni anni fa, era SOGEI a dire all’Agenzia di cosa quest’ultima avesse bisogno. Ed è stata proprio SOGEI, imprigionata nel suo legacy, ad impedire tutte le opportunità di evoluzione. Il numero folle di differenti anagrafiche dei contribuenti incapaci di dialogare tra loro, o la incapacità di gestire seriamente il catasto, sono solo due esempi di scarpe di cemento che hanno impedito la crescita della nostra economia.

 

Tutto questo in una situazione di mercato captive, in cui alle Agenzie è stato fatto divieto sostanziale di avvalersi di altri fornitori.

Infine l’AGID: ovviamente, più che per l’Agenzia parlo per i diversi enti che la hanno preceduta, a partire dall’AIPA.

Bisogna uscire dalla sindrome NIH (Not Invented Here) ed accettare che un popolo di eroi, santi e navigatori non debba per forza inventare tutto in casa.

Poi bisogna anche accettare che non tutto debba essere normato, ma che ci si potrebbe limitare a normare ciò che è strettamente necessario. Bisognerebbe anche trovare il coraggio di smetterla di volere/dover essere a tutti i costi politicamente corretti.

 

Se esce una nuova tecnologia che mi permette di fare qualcosa in poco tempo e a costi ridotti, ma che non supporta l’accesso ai diversamente abili, cosa faccio? Scrivo che non la posso usare per nessuno, sapendo che poi nessuno rispetta la normativa, oppure comincio ad utilizzarla e poi nel tempo la adeguo? Se è valida la seconda ipotesi, non si poteva fare a meno del CAD? Non si poteva fare a meno della PEC? Non si poteva fare a meno dell’SPC? Non si poteva fare a meno del CNIPA? Non si potrebbe fare a meno dell’AGID?

 

Io sostengo da più di 10 anni che il compito del CNIPA doveva essere solo quello di definire standard di interoperabilità: hanno inventato l’SPC quando c’era già internet, ma l’SPC è una chiara dimostrazione di un complesso di inferiorità neppure tanto nascosto, che non ci consente di utilizzare ciò che esiste perché … da noi è diverso, da noi non va bene.

 

Il resto del mondo viaggia senza l’SPC, noi non possiamo.

Io aspetto ancora che qualcuno dia una risposta semplice ad una semplice domanda: un cittadino europeo che da Parigi si trasferisce a Roma, può fare un cambio di residenza online? Se la risposta è no, non abbiamo risolto un problema, se la risposta è si, visto che la Francia non usa l’SPC, perché Parigi-Roma si può fare e Milano-Roma deve essere una complicazione?

Insomma, per concludere, provo a riepilogare con qualche slogan quello di cui abbiamo bisogno:

  • Rivedere l’organizzazione della PA in ottica di servizi erogati a cittadini ed imprese;
  • Ridisegnare i processi interni delle PA limitandosi all’esclusiva erogazione di questi servizi e di quelli di supporto a questi;
  • Inventare un sistema basato su Open Data per la misurazione degli indici di performance delle amministrazioni, relativamente ai singoli processi erogati;
  • Associare un sistema premiante all’indice delle performance;

E poi, delegificare, delegificare, delegificare

Il mio sogno esagerato è una legge con un unico articolo: tutte le altre leggi sono abolite, ricominciamo!

So che non è realizzabile e aspetto altro.

Spero che anche il resto non rimanga solo un sogno.