Nel Jobs Act di Renzi anche Ict e Agenda digitale, ma le critiche fioccano

di Raffaella Natale |

Il documento predisposto dal neo segretario del Pd per rilanciare il lavoro piace al Commissario Ue Andor, ma per molti ‘troppo generico’.

Italia


Matteo Renzi

Il Jobs Act di Matteo Renzi incassa l’apprezzamento del Commissario Ue al Lavoro Lazlo Andor, che stamani a Roma nel corso di una conferenza stampa ha indicato che alcuni dei punti chiave del documento del neo segretario del Pd appaiono in linea con le raccomandazioni Ue sul mercato del lavoro. Andor ha comunque precisato che la proposta andrà valutata nei dettagli.

 

Tra i suggerimenti di Renzi per risollevare le sorti del mercato del lavoro in Italia anche l’Ict. In particolare sono sette i settori e per ognuno, spiega Renzi, ci sarà un piano industriale con indicazione delle singole azioni operative e concrete necessarie a creare posti di lavoro.

I settori sono Ict, Green Economy, Nuovo Welfare, Made in Italy (dalla moda al design, passando per l’artigianato e per i makers), Cultura, turismo, agricoltura e cibo, e infine Edilia e Manifattura.

Per il segretario del Pd, “l’obiettivo è creare posti di lavoro, rendendo semplice il sistema, incentivando voglia di investire dei nostri imprenditori, attraendo capitali stranieri“.

Tra le priorità del Jobs Act anche l’agenda digitale, fatturazione elettronica, pagamenti elettronici, investimenti sulla rete.

L’Italia può ripartire – scrive Renzi – se abbandoniamo la rendita e scommettiamo sul lavoro”.

Stamani su Twitter ha rilanciato: “Il Jobs Act è una bozza che sarà definita il 16 gennaio e poi diverrà documento tecnico. Gradite idee, critiche, commenti. Email matteo@matteorenzi.it“.

 

 

Ma le critiche già fioccano. Per il segretario generale dell’Ugl, Giovanni Centrella, il Jobs Act è “generico e incompleto, sembra essere stato scritto per uno stato totalitario comunista nel quale il partito unico interviene unilateralmente sulle diverse istanze di un intero Paese”.

Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, ha invece detto che “bisogna discuterne approfonditamente, ma tendenzialmente siamo favorevoli ad aiutare i giovani“, ma osserva “Spero Renzi decida di confrontarsi con le parti sociali, potrà avere solo appoggi”.

 

Di parere opposto Giorgio Cremaschi, membro del Comitato direttivo della Cgil che ritiene che “ci sono almeno tre ragioni per dire no al Job Act di Renzi e per contrastarlo“. La prima, spiega Cremaschi, “è perché tutta l’ideologia del progetto è quella liberista di sempre secondo cui per creare lavoro bisogna togliere vincoli alle imprese ed esaltare la globalizzazione. La crisi economica attuale e la disoccupazione di massa sono figlie di questa ideologia”. La seconda ragione, aggiunge, “è che si allude ambiguamente alla estensione della indennità di disoccupazione, senza chiarire se questa si aggiunge a quello che già c’è oggi, e allora bisogna finanziarla, o lo sostituisce e allora sono i lavoratori che la

pagano finendo in mezzo ad una strada”. La terza ragione, conclude Cremaschi, “è il contratto di inserimento con piena libertà di licenziamento per i nuovi assunti che estenderà ancora la precarietà del lavoro e che aprirà la via a licenziamenti di massa”.

 

Secondo il Ministro del Lavoro Enrico Giovannini, “Molte delle proposte presentate da Renzi in questa lista prevedono investimenti consistenti”. Per quanto riguarda la proposta di Renzi sulla natura dei contratti e le tutele ad essi collegati “non è nuova – ha osservato Giovannini – ma va dettagliata meglio“.

 

“Ci confronteremo – ha commentato il ministro dell’Agricoltura Nunzia De Girolamocon Renzi e vedremo fino a che punto vuole essere rivoluzionario negli interessi dei lavoratori. Per ora il giudizio rimane sospeso in attesa di capire cosa c’è di concreto”.

 

Duro il giudizio del vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri (Fi), “Quelle di Renzi appaiono per il momento, come dire, indicazioni generiche. Non ci sono coperture economiche, il costo soprattutto della tutela dei non garantiti, di coloro che perdono il lavoro”.

 

Dal M5s, il capogruppo uscente al Senato Paola Taverna commenta: “Quello che dice Renzi in parte può essere condivisibile dal punto di vista teorico, ma noi continuiamo ad aspettare dei fatti”.

“La disoccupazione doveva essere attaccata nella legge di Stabilità, dovevano esserci dei passi importanti per rilanciare la piccola e media impresa, dovevano esserci interventi importanti per il cuneo fiscale e queste cose – sottolinea – non sono accadute”.

 

Andrea Causin, deputato di Scelta civica, critica pesantemente Renzi: “La filosofia del Jobs Act è un’illusione, ovvero quella di poter creare lavoro per decreto, facendo la caricatura del Job Act che è stato fatto negli Stati Uniti. Ma lì è stata fatta una cosa diversa”.

Negli Stati Uniti, spiega Causin, “hanno fatto ripartire il manifatturiero. Hanno un costo energetico che è un terzo pari al nostro, una pressione fiscale del 25% inferiore alla nostra e hanno fatto una politica protezionistica rispetto alle proprie imprese manifatturiere. È un’altra cosa“.

 

Ironica la deputata di Forza Italia Renata Polverini, vicepresidente della Commissione Lavoro: “Addentrarsi nella lettura della bozza del Job Act di Renzi è un pò come entrare all’Ikea: ci trovi qualcosa di utile e tanta paccottiglia ma, soprattutto, quando arrivi a casa scopri che non è facile montare quello che hai acquistato”.

“Il modello scandinavo della flexsecurity, proposto dal neo segretario del Pd- spiega- non si adatta ad un mercato del lavoro e ad un tessuto produttivo molto più ampio e complesso di quello danese o svedese ed il bricolage contrattuale, spacciato per semplificazione, non può funzionare se prima di tutto non si rimette in moto l’economia. Quello che manca clamorosamente nel documento anticipato dalla segreteria di Renzi è, infatti, proprio una risposta sul reperimento delle risorse finanziarie per rimettere in moto la macchina Italia”.