Pubblicità online: può dare fastidio, ma senza il web non è più gratis

di Raffaella Natale |

Milioni di utenti ricorrono a software per bloccare gli spot, IAB oppone: senza pubblicità molti siti non potrebbero vivere.

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Advertising online

La pubblicità è l’anima del commercio, diceva un vecchio slogan, ma quella su internet a volte è invasiva e sfiora la soglia del fastidio: banner colorati che riempiono le pagine dei siti, pop-up che si aprono e chiudono continuamente, video che interrompono la lettura.

E’ anche vero che molti siti, magari anche i nostri preferiti, riescono a vivere con la pubblicità e tanti servizi, pensate a YouTube, rimangono gratuiti proprio grazie a quelle ‘fastidiose interruzioni commerciali’.

Secondo un recente sondaggio, l’84% dei primi 10 siti del mondo si affidano all’advertising per generare entrate. Facebook, il social network più popolare del pianeta, vive essenzialmente di pubblicità.

 

Sui media tradizionali, come la Tv o la radio, la pubblicità ha prodotto vere e proprie forme di entertainment, pensiamo al Superbowl seguito da milioni di persone che non hanno alcun interesse per il calcio. Su internet però gli advertiser sono meno indulgenti.

AdBlock Plus, programma che permette di bloccare gli annunci pubblicitari, è stato scaricato 250 milioni di volte e conta circa 60 milioni di utenti attivi.

 

“Credo che tutti siano d’accordo nel ritenere gli annunci online fastidiosi“, commenta Till Faida, cofondatore di Eyeo, l’azienda che possiede Adblock Plus.

Secondo Sean Blanchfield, Ceo di Pagefair, società che analizza i blocchi della pubblicità online, “l’advertising è diventata sempre più aggressiva“, questo è il motivo, a suo dire, perché sempre più utenti ricorrano a programmi come Adblock Plus.

 

Un Rapporto di IAB (Internet Advertising Bureau) sostiene che per tenere in vita i più popolari siti senza pubblicità, gli utenti dovrebbero pagare circa 53 euro al mese.

Quanti di voi sarebbero disposti a farlo?

 

Intanto molti cominciano a chiedersi se Adblock Plus stia ingiustamente usando la sua posizione di potere non solo per incoraggiare la produzione di spot migliori e meno invasivi, ma anche per ritagliarsi un considerevole flusso di entrate.

L’azienda assicura di non essere contro gli inserzionisti ma di star lavorando con la ‘massima trasparenza’ per fare da intermediario tra gli interessi di questi ultimi e quelli degli utenti.

 

L’online advertising è il settore che continua a far da traino a un mercato in profonda crisi dove si sono registrati forti cali come è avvenuto per la carta stampata. E ancora di più la pubblicità mobile crescerà sulla scia dell’ampia diffusione di smartphone e tablet.

 

Esiste la giusta via di mezzo? Gli advertiser dovrebbero migliorare i loro modelli e cercare di lavorare su format meno invasivi e fastidiosi, altrimenti rischiano l’effetto boomerang anche perché accanto a tutto questo c’è un problema ancora più delicato e complesso, quello della privacy.

Le tracce che lasciano mentre navighiamo su internet vengono registrate. Sono quei famosi big data venduti a peso d’oro agli inserzionisti che, grazie alle informazioni sui nostri gusti, riescono a propinarci pubblicità mirate, tagliate su misura delle nostre abitudini e della nostra personalità. Potenza della tecnologia, ma quanto ci piace?