Web company che bypassano il fisco: nel 2012 Google ha trasferito alle Bermuda 8,8 mld di euro

di Raffaella Natale |

In tre anni il gruppo di Mountain View ha raddoppiato il fatturato ma pagato meno tasse.

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Lo scorso anno Google ha incanalato verso le Bermuda 8,8 miliardi di euro per i pagamenti sulle sue royalty, oltre un quarto di più che nel 2011. Lo rivela il Financial Times, spiegando che, grazie a un aggressivo sistema di ottimizzazione fiscale, la web company americana risparmia miliardi di dollari di tasse.

La strategia è quella del “doppio irlandese con panino olandese” (Double Irish With a Dutch Sandwich), che consiste nel trasferire i denari verso le sussidiarie irlandesi e olandesi, per poi traghettare il tutto nei paradisi fiscali.

 

I dati pubblicati dal Financial Times provengono dalla controllata olandese di Google. In pratica, la società prima sposta alle controllate irlandesi e olandesi gli incassi dei Paesi non statunitensi e poi invia, dall’Irlanda e dall’Olanda, alla sua controllata alle Bermude, i pagamenti sulle royalty miliardarie sui servizi e sui brevetti.

In questo modo il gruppo, secondo il FT, riduce di un ulteriore 5% i suoi pagamenti fiscali, già drasticamente ridotti grazie al trasferimento a paesi con aliquote ultra-basse come Irlanda ed Olanda del suo fatturato europeo.

 

L’aumento dei trasferimenti alle Bermude per il pagamento delle royalty dimostra che il giro di affari di Google è praticamente raddoppiato nel giro di tre anni, mentre i suoi pagamenti fiscali sono diminuiti.

 

Google ha subito replicato che “rispetta le normative fiscali in Italia e in tutti i paesi in cui opera. La realtà dei fatti è che la maggior parte dei governi usa gli incentivi fiscali per attrarre investimenti stranieri e questo crea posti di lavoro e crescita economica e, naturalmente, le aziende rispondono a questi incentivi. E’ una delle ragioni per cui Google ha stabilito la propria sede europea in Irlanda, unitamente alla possibilità di assumere personale qualificato. Se ai politici non piacciono queste leggi, loro hanno il potere di cambiarle. La nostra corporate tax rate complessiva nel 2012 è stata del 20% circa.”

 

Ovviamente non c’è nulla d’illegale in tutto ciò. Si tratta, infatti, di sfruttare le lacune delle varie legislazioni per spostare i capitali nei Paesi dove la tassazione è più vantaggiosa.

Si chiama capitalismo e siamo orgogliosi della struttura che siamo riusciti a creare. E’ tutto legale“, aveva detto il presidente Eric Schmidt, rispondendo alle accuse (Leggi Articolo Key4biz).

Le leggi in vigore permettono, infatti, di bypassare, e anche facilmente, il fisco. L’argomento è talmente importante che la Ue ha istituito un think thank d’alto livello che si occuperà di tasse ed economia digitale. “Gli attuali sistemi di tassazione – ha commentato il Commissario Ue Algirdas Semeta – sono stati predisposti in un’epoca in cui i computer erano ancora un’idea futuristica” (Leggi Articolo Key4biz).

 

Di web company e tasse si parlerà anche al Consiglio europeo del 24-25 ottobre per il quale la Francia sta già affilando le armi e cercando Paesi pronti a sostenerla. Al mini vertice indetto a Parigi dal Ministro Fleur Pellerin l’Italia c’era e in quell’occasione il Viceministro allo Sviluppo Economico Carlo Calenda ha dichiarato: “Riteniamo che non sia equo che i grandi player digitali facciano profitti in Europa e paghino altrove, e pochissimo, le tasse. E’ un problema che va risolto” (Leggi Articolo Key4biz).

 

Intanto è stato approvato un emendamento del Pd alla delega fiscale, approvato in commissione Finanze della Camera, che stabilisce che le multinazionali del web dovranno pagare le imposte in Italia per le attività riferibili al nostro Paese in percentuale ai ricavi (Leggi Articolo Key4biz).

 

L’Agenzia delle entrate ha avviato un’operazione attenta e approfondita sulle associazioni che raggruppano le multinazionali americane per verificare se per gli anni 2010-2011 ci sono indizi di una ‘stabilizzazione’ di questi uffici nel nostro Paese. Uffici che spesso non vengono indicati come reali strutture di vendita ma di mero appoggio all’attività.

Nel 2012 gli OTT hanno versato all’erario italiano solo 9,157 milioni di euro (5,98 se si considerano i crediti d’imposta).

Google non ha pagato tasse (anzi ha 5.454 euro di credito d’imposta) con la Technology Infrastructure e ha versato 1,8 milioni con Google Italy srl. Cifra veramente piccola, visto che secondo le stime degli analisti il giro d’affari dell’azienda di Mountain View legato al mercato pubblicitario italiano è di 700 milioni di euro.

 

Il tutto si colloca in un’operazione internazionale. All’inizio di settembre, in occasione del G20 a San Pietroburgo, i leader mondiali hanno trovato l’accordo su un Piano d’azione per combattere l’evasione fiscale e prevenire che le multinazionali sfruttino scappatoie e paradisi fiscali per pagare delle tasse minime (Leggi Articolo Key4biz).

 

Nella dichiarazione finale si legge che la priorità è che tutti contribuenti paghino le tasse, senza ricorrere a pratiche di ‘pianificazione fiscale aggressiva’ per sottrarsi alle imposte.

Una sfida quanto mai attuale, davanti alla crescita dell’economia digitale. In questo senso i leader del G20 hanno dato ampio sostegno al Piano presentato dall’OCSE, invitando tutti i paesi interessati a sostenerlo (Leggi Articolo Key4biz).