Pubblicità, la Corte Ue sulle norme italiane che prevedono trattamenti diversi tra Tv pay e in chiaro. E se Sky avesse ragione?

di Raffaella Natale |

Il legislatore italiano, prevendendo limiti di affollamento diversi per la pubblicità televisiva, intendeva tutelare i telespettatori o garantire maggiori entrate alle Tv in chiaro?

Unione Europea


Corte di Giustizia dell'Unione Europea

E’ conforme o meno alle norme Ue la delibera Agcom contro Sky del 2011 con la quale, applicando la legge italiana, l’Autorità ha multato la pay-Tv per aver superato i limiti di affollamento pubblicitario?

Per la Corte di Giustizia Ue la decisione da prendere non sarà facile, in quanto le motivazioni del ricorso di Sky al TAR Lazio, che ha poi adito i giudici europei, risulterebbero per certi aspetti fondate e in linea con quanto stabiliscono le norme Ue.

 

Secondo l’avvocato generale Juliane Kokott, è compito del giudice nazionale capire quali siano gli obiettivi che il legislatore intendeva perseguire con l’adozione di norme interne che hanno stabilito differenti limiti di affollamento pubblicitario per le emittenti a pagamento e per quelle in chiaro.

 

La Ue ha, infatti, stabilito un limite di affollamento orario della pubblicità televisiva pari al 20% (direttiva 2010/13/UE) per tutelare gli interessi dei telespettatori e creare condizioni di concorrenza il più possibile omogenee per tutte le emittenti televisive stabilite in Europa. La Direttiva consente, tuttavia, norme nazionali più rigorose. L’Italia si è avvalsa di questa possibilità stabilendo (d.lgs. 177/2005) limiti di affollamento pubblicitario differenziati per le Tv a pagamento e per quelle in chiaro. Così, nel 2011 le pay-Tv italiane potevano trasmettere al massimo il 14% di pubblicità ogni ora, mentre le emittenti private in chiaro il 18%.

 

Da qui, la sanzione Agcom a Sky per aver violato questo limite nella giornata del 5 marzo 2011. Nel procedimento principale è intervenuta anche Mediaset.

 

La disparità di trattamento prevista dall’Italia è motivata dalla tutela del consumatore dalla pubblicità eccessiva?

In questo caso, ha spiegato l’avvocato generale, “i limiti di affollamento differenziati sono compatibili con il principio di parità di trattamento” (articolo 56 TFUE), nella misura in cui la disciplina nazionale persegua in modo proporzionato lo scopo di tutelare i telespettatori.

 

Ma se, invece, questa disparità di trattamento tra emittenti a pagamento e in chiaro è motivata dall’intenzione di garantire a queste ultime “in modo forse intenzionale“, commenta Kokott, “maggiori entrate pubblicitarie, e quindi un miglior finanziamento, il principio di parità di trattamento vieta di prevedere a tal fine limiti di affollamento pubblicitario differenziati“.

 

In questo senso, ha sottolineato l’avvocato generale, il decreto legislativo n. 177/2005 risulterebbe incompatibile con il principio generale della direttiva Ue in questione che garantisce parità di trattamento e con l’articolo 56 TFUE, nella misura in cui persegua lo scopo di garantire maggiori entrate pubblicitarie a emittenti televisive in chiaro, benché queste non soffrano di alcuno svantaggio concorrenziale evidente.

 

Per maggiori approfondimenti:

Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal TAR Lazio (Sky Italia Srl / AGCOM)

Conclusioni dell’avvocato Generale Juliane Kokott presentate il 16 maggio 2013