Big Data: nuova miniera d’oro per aziende e PA, ma l’Italia saprà sfruttarne le potenzialità?

di Alessandra Talarico |

A parte le iniziative delle singole amministrazioni, anche nel caso dei Big Data l’Italia non ha ancora fatto ‘sistema’, puntando a un ecosistema nazionale che riunisca scuole, università, grandi aziende, startup, centri di ricerca e investitori.

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Raccogliere, gestire ed analizzare i Big Data, ossia i dati in possesso delle pubbliche amministrazioni, delle aziende, delle organizzazioni cittadine, unitamente ai nuovi dati generati dalle reti di comunicazione elettronica (commenti su Facebook, tweet, bacheche di Pinterest, ricerche online, post sui blog) è una sfida di primaria importanza sia per la competitività delle aziende dell’economia digitale che in un’ottica di sviluppo di nuovi servizi innovativi ai cittadini.

 

Il valore potenziale dei Big Data risiede nella possibilità di estrarre informazioni significative da grandi quantità di dati, tipicamente non ancora analizzati. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, questi dati sono non catalogati e non strutturati, il che significa che le relative informazioni effettivamente utili sono ancora poche.

 

Mettendo in comune quest’enorme mole di informazioni è possibile ad esempio intervenire in maniera efficace sui consumi energetici, la gestione del traffico, la costruzione di edifici intelligenti, la riduzione dell’inquinamento, l’offerta di servizi mobili al cittadino (sanità, istruzione, egovernment, banking, payment), ma anche sviluppare sistemi per la prevenzione del crimine, come già avviene a New York.

 

Il mercato dei Big Data ha un potenziale economico enorme: secondo IDC, crescerà a livello mondiale con un tasso composto annuo (CAGR) del 31,7%, andando a valere 23,8 miliardi di dollari nel 2016. Si tratta di un ritmo di crescita pari a circa 7 volte quello del mercato ICT nel suo complesso.

Secondo Gartner, quindi, i dati prodotti nel mondo crescono del 40% all’anno –  si prevede che nel 2020 i dati digitali aumenteranno di 40 volte rispetto a oggi, arrivando a un miliardo di terabytes – mentre gli investimenti in IT aumentano solo del 5%.

 

Secondo un recente rapporto McKinsey, le imprese con oltre 1.000 dipendenti hanno in archivio più informazioni della Library of Congress degli Stati Uniti.

 

Affrontare da subito il tema Big Data è, dunque, fondamentale: sulla raccolta, l’analisi in tempo reale, l’archiviazione e lo storage delle informazioni si giocherà infatti il futuro delle aziende e l’efficienza delle pubbliche amministrazioni.

 

Sempre Gartner sostiene che dopo un periodo di sperimentazione, il 2013 sarà l’anno dell’adozione su larga scala delle tecnologie Big Data, visto che le aziende cominciano a comprenderne il reale valore e le potenzialità in termini di trasformazione del business. Le applicazioni pratiche dei Big Data nelle aziende spaziano dal marketing – si sapere non solo cosa i clienti comprano, ma anche cosa pensano, e agire di conseguenza – alla web reputation. Nella selezione del personale, è possibile valorizzare skill e credibilità del candidato.

 

Ma a che punto sono le aziende italiane? Secondo Fabiano Benedetti CEO di beanTech “Ancora poche aziende in Italia hanno colto la potenzialità dei Big Data, ma di certo è un tema capace di fare la differenza nel business”.

 

Nel pubblico, si può invece controllare il traffico stradale, ottimizzare l’erogazione di risorse come energia e acqua in base alle reali necessità, perfezionare diagnosi e trattamenti sanitari avvalendosi di statistiche a livello globale e non locale.

 

In questo senso si è mossa, ad esempio, la Regione Piemonte che, comprendendo l’importanza strategica della selezione, elaborazione ed analisi di questa enorme massa di dati, ha lanciato insieme al Consorzio TOP-IX, il primo programma nazionale volto a sostenere la crescita di una nuova generazione di sviluppatori e figure professionali multidisciplinari capaci di analizzare e usare i Big Data.

 

Ma, a parte le iniziative delle singole amministrazioni, anche nel caso dei Big Data l’Italia non ha ancora fatto ‘sistema’, puntando – come sta pensando di fare la Francia – a un ecosistema nazionale che riunisca scuole, università, grandi aziende, startup, centri di ricerca e investitori, mettendo magari in atto un fondo d’investimento pubblico-privato per sostenere la nascita di aziende nel settore.

Si parla infatti della creazione di nuovi posti di lavoro legati alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e quello dei Big Data è sicuramente tra i settore più promettenti in termini di occupazione.

Bertrand Diard, che oltralpe è a capo del progetto ‘Big data launchpad’ ha stimato che ‘facendo sistema’, da qui a 5 anni il settore potrebbe generare un valore di 2,8 miliardi e 15 mila posti di lavoro tra diretti e indotto.