PA digitale: come si può contrastare l’evasione fiscale se le banche dati delle amministrazioni non sono interoperabili?

di Alessandra Talarico |

Il paradosso emerso dall'indagine conoscitiva sull'uso dell'anagrafe tributaria nella lotta all'evasione fiscale secondo cui i dati a disposizione dell'amministrazione finanziaria, contenuti nelle diverse banche dati, sono disallineati e poco coerenti.

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Le numerose banche dati che alimentano periodicamente l’anagrafe tributaria e che, quindi, dovrebbero essere funzionali anche nella lotta all’evasione fiscale, non riescono a dialogare tra loro a causa di una serie di ragioni proprie, legate alle procedure interne, alla loro evoluzione nel tempo e alle norme di legge che disciplinano i criteri di aggiornamento dei dati.

Imperfezioni, disallineamenti, lacune e incompletezze tra i database delle amministrazioni (dipartimento delle finanze, agenzia del demanio, delle entrate, Equitalia, per citarne qualcuna) che inevitabilmente si riversano nella banca dati dell’anagrafe tributaria, nella quale affluiscono dati di bassa qualità, poco veritieri, scarsamente aggiornati e, quindi, non completamente affidabili per quantificazioni e valutazioni rilevanti sotto il profilo fiscale.

È quanto emerge dall’indagine conoscitiva sull’utilizzo dell’anagrafe tributaria nel contrasto all’evasione fiscale condotta dalla Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria volta ad individuare puntuali metodologie che, utilizzando il patrimonio conoscitivo dell’anagrafe tributaria e delle banche dati degli enti locali, consentano di contrastare efficacemente l’evasione fiscale.

 

Dall’indagine emergono diverse criticità che vanno dalla condizione di arretratezza degli archivi alla mancanza di un adeguato controllo da parte dei molteplici organismi a ciò preposti e che, in sostanza, vanificano l’interscambio delle informazioni e rendono impossibile non solo il contrasto all’evasione fiscale ma anche il risparmio di costi e il miglioramento dei servizi ai cittadini derivante dalla possibilità di inviare un’unica comunicazione a tutti gli enti connessi al sistema.

 

Dall’analisi della Commissione emerge ad esempio che “…i molti dati a disposizione dell’amministrazione finanziaria, contenuti nelle diverse banche dati, sono spesso disallineati e poco coerenti”: non esistono, ad esempio, regole standardizzate per l’inserimento di nomi, cognomi, ragione sociale e indirizzo. Come si fa, quindi, a individuare una persone fisica o giuridica o a registrare e aggiornare i riferimenti anagrafici dei cittadini?

Un bel garbuglio, o meglio un paradosso nell’era del digitale, che tutto dovrebbe semplificare. Ma in Italia non sempre si riesce a procedere in maniera lineare, e così accade anche che la banda dati dell’Inps non riesca a dialogare con quella del Servizio sanitario nazionale e questa con l’Agenzia delle Entrate, con la conseguenza di un ‘effetto domino’  che, alla faccia della digitalizzazione della PA, costringe i cittadini a nuove code non solo per presentare i documenti, ma anche per risolvere i disguidi generato dalla mancanza di dialogo tra gli archivi digitali delle amministrazioni.

Il tutto mentre si attende l’entrata in funzione dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) istituita dal decreto crescita 2.0 e che subentrerà all’Indice nazionale delle anagrafi (INA) e all’Anagrafe della popolazione italiana residente all’estero (AIRE) e in cui confluiranno, dal 2015, tutti i dati delle anagrafi comunali.

 

Visto che, nota la Commissione parlamentare di vigilanza, “…è interesse di tutti ridimensionare il fenomeno dell’evasione fiscale e ciò soprattutto in un periodo di crisi”, in attesa di questo nuovo maxi database appare “prioritaria l’opera di razionalizzazione delle banche dati oggi utilizzabili nell’ottica della loro interoperabilità, creando un sistema informativo della fiscalità coerente, omogeneo e condiviso”.