WCIT12, modificati gli ITR a Dubai. Gli Usa non li sottoscrivono

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Singolare che la delegazione Usa si pieghi agli interessi di Google, ignorando la posizione dei Paesi in via di sviluppo.

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WCIT-12

Si è appena concluso il WCIT12 di Dubai, con la revisione del Trattato che regola le telecomunicazioni internazionali (ITRs), nonostante la strenua opposizione degli Usa e di altri Paesi, che hanno deciso di non firmare e i cui delegati hanno lasciato la Conferenza, con un atteggiamento che non mancherà di lasciare più di uno strascico.

Il nuovo testo include misure che – secondo quanto riferito da Bloomberg – conferirebbero ai Paesi il diritto di “accedere ai servizi di telecomunicazioni internazionali e la facoltà di bloccare lo spam”. Determinazioni che sono bastate agli Usa e ad altri Paesi per assumere l’atteggiamento polemico del rifiuto al dialogo, culminato con l’abbandono delle discussioni da parte delle delegazioni.

La Conferenza, che ha riunito 193 Paesi, ha registrato la profonda spaccatura ‘ideologica’ tra le economie avanzate e quelle in via di sviluppo, dove internet sta iniziando ad affermarsi anche come motore di sviluppo della nuova economia digitale. Gli Usa e gli altri Paesi che si sono rifiutati di sottoscrivere gli accordi internazionali hanno denunciato rischi per il principio della libertà di espressione ma il vero oggetto del contendere sono stati gli interessi economici delle web company, tutte americane che dirottano in modo esclusivo verso gli Usa i benefici delle loro attività.

 

Il testo di compromesso, proposto da Mohamed al-Ghanim, presidente della Conferenza Mondiale sulle Telecomunicazioni (WCIT12), prevede il ‘trasferimento’ della maggior parte degli elementi internet in una risoluzione separata ‘stile Onu’ e quindi non vincolante per i Paesi.

Tra le nuove misure approvate, anche alcune modifiche all’attuale modello di tassazione e compensazione delle compagnie di telecomunicazioni in un sistema che non è più caratterizzato da monopoli statali – come nel 1988, quando vennero approvate le regole del Trattato – ma da aziende private.

 

Nessuna misura, quindi, è stata approvata per dare all’ITU maggiore controllo sul web o agli Stati membri la facoltà di censurare i contenuti, come del resto non era nelle intenzioni di alcuna delle proposte avanzate.

 

Tuttavia, neanche questo è bastato agli Usa: secondo il capo delegazione americano Terry Kramer il nuovo Trattato è “incompatibile” con l’attuale modello multi-stakeholder e pertanto gli Usa non possono firmarlo, pur avendo portato avanti i negoziati ‘in buona fede’.

È a tutti evidente, del resto, che la posizione Usa rispecchia quella della lobby delle web company che si sono opposte strenuamente a ogni modifica del Trattato che ponesse il web sotto l’ombrello dei regolamenti ITU – avendo finora prosperato proprio grazie alla totale assenza di regole – adducendo come motivazione il fatto che un eventuale modifica in questo senso permetterebbe ad alcuni paesi antidemocratici di controllare e censurare il web.

 

Non a caso, uno dei primi commenti è arrivato proprio da Google che fin da subito si era schierato contro la Conferenza i cui lavori – sosteneva – sono stati preparati a porte chiuse. Affermazione palesemente falsa poiché la società avrebbe potuto unirsi all’ITU in rappresentanza del settore privato con la facoltà di partecipare ai meeting preparatori della Conferenza.

“Stiamo dalla parte dei Paesi che non hanno firmato e anche con quei milioni di voci che si sono levate insieme a noi a supporto di un web libero e aperto”, afferma la società in una nota. Google ha in effetti promosso a fine ottobre la campagna #freeandopen chiedendo a tutti gli utenti mondiali della rete di sottoscrivere la petizione contro il WCIT12. I dirigenti di Google si erano posti l’obiettivo di totalizzare un miliardo di firme ma si sono fermati a poche decine di milioni. Una percentuale irrisoria rispetto alle aspettative. Addirittura l’invito alla sottoscrizione agli utenti internet è comparso per un paio di settimane circa sulla stessa homepage di Google sia nella versione .com che nelle edizioni nazionali, una scelta questa criticata da molti osservatori perchè invasiva e fuori dalle più elementari regole di etichetta della rete. Insomma non suona bene che una società multinazionale decida di comportarsi come uno Stato sovrano facendo la guerra mediatica a Stati sovrano reali che hanno tutto il diritto di discutere trattati internazionali nelle sedi preposte.

 

Nonostante il voltafaccia degli Usa, secondo il Segretario generale ITU Hamadoun Touré – che pure aveva previsto che dalla conferenza sarebbe emersa una regolamentazione ‘light-touch‘ di internet – il summit ha avuto il merito di “portare un’attenzione senza precedenti alle diverse e importanti prospettive che governano le comunicazioni globali”.

 

Tourè, che si è detto molto sorpreso sia della decisione di questi paesi di non firmare sia delle motivazioni addotte per giustrificare tale scelta, ha definito fin da subito come infondate le accuse rivolte all’ITU di voler ‘mettere le mani‘ sul web e si è detto in profondo disaccordo con i Paesi secondo i quali il nuovo Trattato avrebbe consentito ai paesi antidemocratici di censurare o controllare i contenuti (cosa che peraltro molti Paesi già fanno anche con le attuali regole, come Google stessa ben sa essendo stata messa alla porta dal Governo cinese).

“La parola ‘internet’ è stata ripetuta più volte in questa Conferenza semplicemente a conferma della nuova realtà, che vede i due mondi delle telecomunicazioni e del web inestricabilmente legati”, ha affermato Tourè, sottolineando che “Le società telefoniche e le web ccompany devono collaborare”.

 

Gli Usa, dal canto loro, devono metabolizzare il loro abbandono: il Commissario della Federal Communications Commission, Robert McDowell, ha affermato che bisogna fin da ora prepararsi alla negoziazione delle ITR che avrà luogo nel 2014 in Corea del Sud e che sarà “ancora più insidiosa”.

 

Un invito al dialogo è giunto invece dal presidente del Board di ETNO, Luigi Gambardella, che ha espresso il rammarico dell’associazione degli operatori per il fatto che non si sia trovato un accordo su tutti i punti in discussione “nonostante la volontà di tutti gli Stati di giungere a un compromesso”.

“Riconosciamo la complessità delle varie questioni sul tavolo, compreso il problema del campo di applicazione delle ITRs e le questioni collegate. ETNO continua a credere nella necessità di un dibattito costruttivo e della cooperazione internazionale al fine di favorire la crescita futura e l’ulteriore sviluppo sostenibile dei mercati delle telecomunicazioni internazionali, nel rispetto dei principi guida che hanno portato al successo dello sviluppo di Internet: la leadership del settore privato, dialogo indipendente e multi-stakeholder per la governance di Internet e accordi commerciali”, ha aggiunto Gambardella.

 

Le attuali regole risalgono al 1988, pochi anni dopo la comparsa dei primi cellulari e molto prima dell’avvento di Google. Il Trattato originale fissava le regole relative ai servizi tlc internazionali, le chiamate di emergenza  gli oneri transfrontalieri, era quindi inevitabile non occuparsi di internet e del suo futuro.

 

Ma cosa succederà ora?

Assieme agli Usa altri Paesi non hanno firmato ma i nuovi accordi sono stati sottoscritti da 89 Paesi.

 

Secondo quanto affermato da un delegato sudamericano a Reuters questo potrebbe aprire la strada “a problemi giuridici tra i paesi che hanno firmato e quelli che non l’hanno fatto” e inevitabilmente internet potrà funzionare in maniera diversa da paese a paese o da regione a regione.

Va infine considerato  che paesi che oggi on hanno sottoscritto i nuovi accordi potranno sempre farlo in seguito. (a.t.)