Interferenze tra LTE e TV? Una tegola che viene da lontano. Responsabilità, ruoli e proposte: necessario un cambio di passo

di di Raffaele Barberio |

Il fenomeno delle interferenze non può essere affrontato in modo parziale e verticalizzato. Occorre una logica di sistema, una cultura della programmazione ed un rispetto degli investimenti delle imprese e delle aspettative dei consumatori-telespettatori.

Italia


Raffaele Barberio

Il nuovo bubbone del giorno si chiama frequenze.

O più precisamente interferenze tra i servizi di telefonia mobile di nuova generazione (LTE) e i canali televisivi del digitale terrestre. Un ambito rilevante dove si confrontano tanti attori:  Ministero dello Sviluppo Economico, AgCom, Fondazione Ugo Bordoni, operatori ti Tlc, TV nazionali e locali, telespettatori, utenti dei nuovi servizi di telefonia mobile.

Insomma una bella grana.

Il problema sembrerebbe circoscritto (per quanto pesante) e bisognoso di una soluzione (per quanto complessa), ma a ben vedere quanto si sta verificando tra le proteste di tutti è frutto di anni di scelte sbagliate ed è aggravato dalla contingente sovrapposizione di decisioni che si accavalleranno da qui alle prossime settimane e che rischiano  di generare ulteriori difficoltà, magari rinviando oggi il problema, ma con la consapevolezza che esso si riproporrà, chissà, in misura maggiore tra qualche anno.  

Ecco perché forse, questa volta, occorrerà fermarsi un momento e trovare le soluzioni di largo respiro di cui lo sviluppo di settori così importanti ha bisogno.

Ma procediamo con ordine.

 

 

La storia

 

Lo scorso autunno si è tenuta in Italia l’asta delle frequenze destinate ai nuovi servizi LTE: un’asta impegnativa per i tre operatori principali (Telecom Italia, Vodafone, Wind)  che hanno sborsato circa 4 miliardi di euro per le frequenze comprese tra i canali 61 e 69 della Banda 800 Mhz.

All’epoca, l’offerta delle frequenze prevedeva degli “sconti” per la parte bassa della scala che avrebbe prevedibilmente avuto problemi con le frequenze televisive della fascia alta del blocco immediatamente precedente.

In sostanza vi era già all’epoca piena consapevolezza che il problema si sarebbe presentato e non sono mancati coloro, inascoltati, che si sono sforzati di mettere tutti in guardia. Le frequenze in oggetto erano, a ritroso:

  • la 60 (occupata da La7 di Telecom Italia Media),
  • la 59 (occupata dalle TV locali ovunque tranne che nella fascia tirrenica di Liguria, Toscana, Lazio, Umbria, Campania e Sardegna, che è rimasta al momento vuota), 
  • la 58, liberata da Mediaset in vista dell’allora atteso beauty contest, che non vede l’ora di rioccuparla per le ragioni che vedremo avanti,
  • la 57, assegnata a Rete Capri come rete nazionale, ma che appare inutilizzata in numerose regioni o parte di esse (e qualcuno invoca già la regola britannica del “use-it-or-lose-it” (o la usi o la restituisci perché venga riassegnata).

Al momento dell’asta Wind si accaparra le frequenze più vicine al blocco televisivo citato, con un prezzo di qualche decina di milioni di euro minore, proprio per questo handicap. Quindi era già noto a tutti (Ministero, operatori Tlc, TV) che il problema sarebbe affiorato in fase di attivazione della rete LTE. Ma in quella sede non emerse nessun riferimento a chi avrebbe dovuto farsi carico delle responsabilità di interferenza e con quali soluzioni.

La regola fu “poi si vedrà”.

 

Va qui specificato che le interferenze di cui parliamo sono di due tipi.

Il primo tipo di interferenza, di gran lunga la più devastante, è imprevedibile e può annidarsi su qualunque territorio in base al modo in cui sono stati distribuiti i ripetitori e le station LTE (i ripetitori LTE sono distribuiti come è noto sui tetti dei palazzi, a differenza dei ripetitori televisivi in genere allocati in cima alle montagne, e la loro presenza sul territorio urbano determina un fortissimo impatto in aree al alta concentrazione di antenne televisive, con danni nell’ordine del 20-40% delle abitazioni). È un’interferenza cosiddetta di blocking, comunemente nota come “accecamento“. Va imputata alla presenza di quelle antenne telefoniche poste sui tetti dei palazzi che ripetono il segnale, che possono trovarsi non distanti dalle antenne televisive riceventi e che anche se operano su frequenze differenti mandano in saturazione il decoder del digitale terrestre, annullando di fatto il consumo del programma: è come se qualcuno vi sparasse una sirena di ambulanza mentre ascoltate Bach. Questa interferenza riguarda l’intera scala di frequenze televisive dal canale 21 al canale 60, che risultano quindi tutte esposte massicciamente al fenomeno.

Il secondo genere di interferenza è invece tipico del disturbo fisiologico tra frequenze attigue: in questo caso in modo decrescente le frequenze LTE 61, 62 e 63 disturbano con intensità decrescente le frequenze attualmente televisive 57, 58, 59 e 60, che accusano il fenomeno in modo crescente dalla più bassa alla più alta.

 

 

Scoppia il bubbone

 

Il bubbone scoppia in questi giorni perché gli operatori mobili stanno procedendo rapidamente al fine di poter lanciare i nuovi servizi di LTE agli inizi del 2013. La sperimentazione sulle frequenze da usare dà immediatamente dati allarmanti che fanno scoccare la scintilla e con essa la caccia alle responsabilità di chi debba intervenire per rimuovere il problema.

Telecom Italia e Vodafone chiedono che Wind, che ha pagato meno al momento dell’asta, si accolli l’onere delle interferenze le cui responsabilità ricadrebbero solo Wind. Quest’ultima da parte sua è disponibile a farsi carico degli oneri riconducibili in capo alla propria attività, ma che devono però essere quantificati in modo preciso e non essere calcolati sommariamente, perché includerebbero anche interferenze generate dagli altri operatori.

Tutti gli operatori, tuttavia, escludono che il problema debba ricadere sulle spalle dei telespettatori consumatori, ovviamente.

Qui entra in gioco la Fondazione Ugo Bordoni, organismo terzo e autorevole cui il ministero dello Sviluppo Economico si affida per dipanare tutte le vicende tecniche per le quali occorrono competenze di settore.

Attualmente il problema è allo studio della Fondazione e ciò che emerge è che le interferenze riguardano, pur in misura diversa, tutti gli operatori. Da qui la proposta di costituire un fondo con le contribuzioni degli operatori e procedere alla quantificazione precisa delle responsabilità cui assegnare un corrispettivo per ciascun operatore. Ciascun operatore pagherà, così era previsto, proporzionalmente agli interventi cui si sarà dato luogo attraverso una compensazione del fondo con gli importi dovuti. In sostanza una corresponsabilizzazione degli operatori, sotto la guida super partes della Fondazione Bordoni.

Se questi fossero i criteri di ripristino, a fronte di quali interventi?

La soluzione consisterebbe nel dotare le singole antenne domestiche di filtrini (del costo orientativo di una decina di euro) in grado di fronteggiare il disservizio (anche se pare che, in certe condizioni, non riescano ad annullarlo completamente). Il problema è che il filtrino dovrà essere installato da un installatore, il che fa lievitare il costo individuale di molto, dando luogo a cifre complessivamente consistenti, comunque più consistenti di quanto prima non si immaginasse.

Per questo, nei giorni scorsi il Ministero inserisce nel Decreto Sviluppo il Fondo di cui sopra, ma nel volgere di poche ore la misura scompare dalla bozza per timori di incostituzionalità e si decide di trovare una soluzione negoziale che consenta un livello di consenso tra gli operatori e che metta al riparo da eventuali azioni legali.

Con questo obiettivo, il tavolo tecnico istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico, nel quale è presente la stessa Fondazione Bordoni, sta lavorando per contribuire alla soluzione del caso.

La vera novità rispetto alle prime considerazioni è che la sperimentazione rivela che:

le interferenze riguardano tutte le frequenze dal canale 21 al canale 60, che patiscono il fenomeno dell’accecamento;

il fenomeno dell’accecamento di tutte le frequenze conferma che le responsabilità riguardano,  sia pure con modalità differenti, tutti gli operatori.

 

 

Any Solution?

 

A questo punto ci si chiede cosa avverrà.

Ministero dello Sviluppo Economico, operatori di Tlc, TV locali e nazionali (e non sono ancora entrati in ballo le associazioni di consumatori), stanno cercando una soluzione al problema, ma il rischio è che la soluzione risulti miope addirittura alla distanza di appena 2-3 anni.

Da un lato infatti occorrerà infatti risolvere il problema LTE perché gli operatori non possono aspettare (Telecom Italia e Vodafone sono pronti già da subito all’attivazione a tappeto di tutta la rete o quasi, Wind prevede tempi più rallentati). Il lancio dei servizi è previsto nella primavera del 2013 ed è parte integrante degli obiettivi di Agenda Digitale.

Ma il rischio è che le decisioni ministeriali per risolvere il problema non guardino molto in là, dando spazio alla logica del tirare a campare, ovvero del trovare una soluzione temporanea, un antibiotico del momento, lasciando il cerino al governo successivo, con un processo di “deresponsabilizzazione senza fine” tipico del nostro costume politico.

 

Proviamo pertanto a rimettere sul tavolo alcuni elementi:

 

  1. Il problema delle interferenze tra LTE e TV era già noto nel 2010, molto prima dell’asta delle frequenze, era ancor più noto nel 2011 al momento dell’asta, non si capisce perché sia scattato l’allerta solo ora. C’è stata una evidente carenza di decisioni e di presidio istituzionale da parte del ministero sul fenomeno. Non serve a molto dire che il fenomeno è comune a tutta Europa. È senz’altro vero, ma in tutta Europa persistono due condizioni differenti: a) la prima è che in quasi tutti i paesi europei si è proceduto al momento dell’asta ad un accantonamento di risorse economiche per fronteggiare il fenomeno delle interferenze (evidentemente noto a tutti), b) la seconda è che, nel difficile rapporto tra LTE e TV, in tutti i paesi europei la gestione delle frequenze televisive ha un passato ordinato e non ha accumulato disordine di provvedimento in provvedimento.
  2. Il ministero dello Sviluppo Economico in sede di assegnazione di frequenze televisive ha proceduto negli anni passati (diciamo negli ultimi  35 anni?) con grave superficialità, senza alcuna programmazione e con scarsa sensibilità per i problemi che si sarebbero certamente creati in seguito. Vorrei citare qui, per ultimo, il caso in Sicilia di una frequenza televisiva, la stessa frequenza, assegnata per lo stesso luogo a due soggetti differenti che poi si sono fatti causa al TAR. Il settore è segnato da un preesistente quadro da Far West delle frequenze televisive italiane e dalla innata scarsa propensione delle decisioni italiane rispetto alle disposizioni continentali e globali (WARC). Tuttavia in una condizione da giungla ci si aspetta che la spinta d’ordine arrivi, prima o poi, dall’alto dell’istituzione competente. E questo è quello che ci aspettiamo. Responsabilità ricadono anche sul precedente consiglio dell’AgCom che avrebbe potuto esercitare un maggiore ruolo di deterrenza.
  3. Il problema non riguarda più solo le frequenze oggetto della disputa di questi giorni, ovvero la Banda 800 Mhz, perché entro qualche anno soltanto le frequenze del blocco 700 Mhz, ovvero le dodici frequenze dal canale 49 al canale 60 (immediatamente precedenti a quelle che oggi interferiscono), andranno presumibilmente assegnate ai servizi di Tlc e quindi avremo a che fare con lo stesso fenomeno.
  4. Le frequenze 49-60 sembrano però al momento destinate ad essere assegnate a nuovi servizi televisivi, attraverso la gara che sarà indetta a fine ottobre primi di novembre. Con quale prospettiva? Con due probabili risultati: che tali frequenze verranno assegnate a breve alle TV e da lì a poco verranno ad esse sottratte in base a quanto sarà deciso in sede di Warc 2015 (l’assise periodica dell’ITU che definisce la gestione dello spettro), che completerà i lavori agli inizi dell’anno successivo e che prevederà la liberazione entro il 2018 della banda 700 Mhz ovvero proprio di quelle frequenze. Ma allora che senso ha fare una gara (che avrebbe inevitabilmente i connotati di una gara low-cost, dal momento che si compra qualcosa per pochi anni), sapendo che quella banda sarà comunque destinata ai servizi di Tlc mobile dell’LTE? Sempre che qualcuno non pensi di fare oggi una gara “normale” per poi indennizzare le TV che hanno acquistato, in cambio di quanto gli viene “sottratto”. Non sarebbe tollerabile.
  5. Ai tempi del digitale terrestre l’allora ministro Paolo Gentiloni impose al mercato italiano lo smaltimento dei vecchi prodotti analogici, con un margine che non creasse difficoltà allo smaltimento delle scorte, imponendo lo switch-off dei vecchi televisori. La cosa funzionò. Perché non è stato fatto qualcosa di analogo con le antenne del digitale terrestre, (quantomeno coinvolgendo le famiglie che hanno sostituito la vecchia antenna), sapendo che il problema sarebbe sorto, ed evitando di immaginare oggi i costi rilevanti di un installatore (di gran lunga più rilevanti rispetto al costo del semplice filtrino).

 

Dal quadro sin qui fatto, emerge che il fenomeno delle interferenze LTE-TV non può essere affrontato in modo parziale e verticalizzato. Occorre una logica di sistema, una cultura della programmazione ed un rispetto degli investimenti delle imprese e delle legittime aspettative dei consumatori-telespettatori-utenti.

Si avverte forte il peso di una gestione colpevole sul tema frequenze.

C’è un ministero che deve fare il suo lavoro trovando la giusta soluzione e un AgCom che deve assicurare le giuste regole, ma con la consapevolezza che la prima (la soluzione individuata) deve rientrare in un contesto di politiche industriali del settore (che ancora non abbiamo), mentre le seconde (le regole) devono poter contare su un sistema armonico e coerente di regolamentazione, perfettamente allineato con le disposizioni della Commissione europea.

L’auspicio è che l’occasione delle interferenze di questi giorni trovi una soluzione coerente e rispettosa delle prerogative di tutte le parti in commedia, ma che sia anche l’occasione per una re-ingegnerizzazione dell’intera complessa materia.

Abbiamo un governo tecnico, che può essere meno condizionato dalle pressioni, pur immaginabili, dei gruppi d’interesse, a patto che non si faccia irretire da esigenze elettoralistiche.

Abbiamo un nuovo consiglio dell’AgCom che può cogliere questo importante banco di prova per definire il proprio peso, il proprio ruolo, la propria autorevolezza.

Abbiamo una Fondazione Bordoni che può assicurare continuità.

Necessario che ciascuno interpreti il proprio ruolo.

Staremo a vedere.