Gran Bretagna come Cina e Iran? Cresce l’opposizione al piano del governo per il controllo delle comunicazioni

di Alessandra Talarico |

Anche negli Usa un report del NYT mette in luce i molti abusi della polizia in fatto di intercettazioni.

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Si allarga il coro di proteste nel Regno Unito sul piano del Governo volto a dare ai servizi di intelligence la facoltà di monitorare chiamate, email, sms e navigazione di ogni utente.

Il ministero degli Interni britannico difende la proposta come una misura essenziale contro il crimine e il terrorismo, ma c’è già chi paragona il progetto al ‘Great Firewall‘ cinese.

 

In base alla proposta, resa pubblica dal Sunday Times, entro quest’anno sarà promulgata una legge che autorizzerà le autorità a imporre agli operatori e ai fornitori di servizi internet di installare dei dispositivi atti a consentire all’agenzia governativa GCHQ (Government Communications Headquarters) di esaminare le comunicazioni individuali senza bisogno di mandato.

 

Una simile iniziativa era stata tentata anche dal governo Laburista nel 2006, ma era stata abbandonata proprio per la feroce opposizione sia all’interno dello stesso governo che da parte dell’opinione pubblica.

 

Attualmente, le intercettazioni necessitano di uno specifico mandato per monitorare le comunicazioni. Il nuovo sistema permetterebbe invece alle autorità di tracciare “tempo, durata, numero chiamato o indirizzo email”.

I dati monitorati non includerebbero i contenuti delle chiamate o delle email: “non è intenzione del governo modificare l’attuale base giuridica per l’intercettazione delle comunicazioni”.

 

Cresce tuttavia l’opposizione al progetto e non solo nell’opinione pubblica: secondo il deputato conservatore David Davis, la misura permetterebbe alle autorità di introdursi in aree tradizionalmente private.

“Non ci si concentrerebbe sui terroristi o sui criminali, ma assolutamente su chiunque: storicamente i governi si sono tenuti fuori dalle nostre vite private”, ha detto Davis, sottolineando che “la nostra libertà e la nostra privacy sono state protette dai tribunali. Come dire: ‘se vuoi intercettare qualcuno, se vuoi cercare qualcosa, bene. Se si tratta di un terrorista o di un criminale chiedi e ottieni l’autorizzazione di un magistrato’. In una società civile questo limite non  dovrebbe essere superato, ma questo è quanto hanno proposto”.

Sempre secondo Davis, “si tratta di un’inutile estensione della capacità dello Stato di spiare le persone su larga scala”.

 

Le autorità continuano a sostenere che le nuove misure sono necessarie per tenere il passo con le moderne tecnologie di comunicazione ma gli oppositori incalzano e sottolineano che tutte le informazioni sulle comunicazioni private – dove sono state fatte, con chi, con quale frequenza e quanto sono durate – una volta raccolte – potrebbero non essere al sicuro.

“Queste informazioni – ha affermato il liberaldemocratico Malcolm Bruce – potrebbero trapelare in qualche modo, essere perse o rubate. C’è molta, molta preoccupazione che possa accadere un abuso di questo tipo”.

Bruce ha quindi ricordato che si sono già verificate in passato situazioni in cui la polizia ha venduto informazioni ai media e, ha aggiunto, “penso che ci troviamo in una situazione molto, molto pericolosa se troppe informazioni venissero fatte circolare senza motivo”.

 

Secondo Nick Pickles, direttore dell’associazione Big Brother Watch Campaign, le nuove misure allo studio del governo “costituiscono un passo senza precedenti che vedrebbero la Gran Bretagna adottare lo stesso tipo di sorveglianza di Cina e Iran”.

Shami Chakrabarti, direttore del gruppo per le libertà civili ha parlato di “progetto catastrofico per la democrazia”.

 

La GCHQ è una delle tre agenzie di intelligence britanniche – insieme all’MI5 (sicurezza nazionale e controspionaggio) e all’MI6 (l’agenzia di spionaggio per l’estero) – e opera in stretto contatto con la National Security Agency americana.

E non è un caso che anche negli Usa si stia discutendo molto dell’eccessivo e aggressivo monitoraggio dei telefonini, spesso senza un mandato giudiziario, grazie a un report da oltre 5 mila pagine che il New York Times ha ottenuto dall’American Civil Liberties Union e che raccoglie i dati di 250 polizie americane.

 

Molti dipartimenti di polizia – sottolinea il report – ritengono inutile chiedere mandati e altri ricorrono a sotterfugi per farne a meno, anche nel corso di indagini non ‘di emergenza’.

Quella che il New York Times definisce ormai una prassi, sta diventando anche un business redditizio per le compagnie telefoniche che hanno un vero e proprio listino prezzi per i dipartimenti di polizia che vogliono determinare la posizione di un sospetto, monitorare chiamate e messaggi e avvalersi di altri servizi. Un monitoraggio ‘full-scale’ arriva a costare oltre 2.200 dollari.

 

Molte piccole centrali considerano la sorveglianza dei cellulari così vantaggiosa da acquistare a spese proprie le attrezzature di monitoraggio per evitare il tempo e le spese necessarie a fare effettuare le operazioni agli operatori telefonici.

La polizia della cittadina di Gilbert, riporta il NYT, ha speso 244 mila dollari per queste apparecchiature.

 

Certo, con sei miliardi di abbonamenti mobili in circolazione nel mondo, i telefonini sono strumenti essenziali in molte indagini (pedofilia, traffico d’armi o di droga, omicidio) tanto che un manuale di addestramento della stessa polizia americana li definisce “Il biografo virtuale delle nostre attività quotidiane”.

Gregg Rossman, pubblico ministero della contea di Broward, in Florida, ha affermato che il sistema di tracciamento elettronico è ormai utilizzato ‘di routine’ dalla polizia per indagare su reati come spaccio di droga e omicidio, al pari della “ricerca di impronte digitali o della prova del DNA”.

Da un sondaggio del Wall Street Journal presso le autorità locali, statali e federali è emerso quindi che il controllo continuo dei cellulari è tra i più comuni tipi di sorveglianza elettronica, superiore alle intercettazioni e al monitoraggio GPS delle auto.

 

Al Gidari, dello studio legale Perkins Coie, che include tra i suoi clienti alcuni operatori mobili, ha affermato al Congresso che i fornitori di servizi mobili ricevono un numero ‘astronomico’ di richieste di registrazione delle telefonate e dei dati sulla posizione degli utenti mobili da parte delle forze dell’ordine – nell’ordine di una ogni quarto d’ora.

 

Ma l’uso crescente di questa sorveglianza solleva una seria domanda: la polizia ha o meno bisogno di un mandato di perquisizione per ottenere dai gestori telefonici i dati sui movimenti di una persona attraverso il monitoraggio del cellulare?

 

Secondo le associazioni per le libertà civili la risposta è certamente sì. E sono molti i dipartimenti che non lo richiedono affatto.

 

A gennaio, tra l’altro, la Corte Suprema americana ha sentenziato che utilizzare, senza mandato di un giudice, un sistema di monitoraggio GPS per seguire i movimenti di un sospetto viola il quarto emendamento.

La sentenza riguarda il caso di Antoine Jones, i cui movimenti sono stati sorvegliati elettronicamente dalla polizia, che aveva piazzato un sistema GPS nella sua Jeep e, anche se spesso si abusa di questa espressione, si può definire ‘storica’ per diverse ragioni. Innanzitutto perché pone di fronte a un problema alquanto spinoso: come si può, infatti, trattare un caso tanto immerso nella modernità e nelle sue ‘diavolerie’ (come appunto il GPS) con leggi di 3 secoli fa? E poi, qual è la ‘ragionevole aspettativa’ di privacy nella moderna era digitale, in cui sono spesso gli stessi cittadini a curarsi poco della loro riservatezza?

Jones era stato condannato all’ergastolo per spaccio di cocaina ma la sentenza è stata ribaltata dalla Corte d’appello secondo cui tale tipo di monitoraggio intrusivo dovrebbe richiedere un mandato per non violare il quarto emendamento, che tutela i cittadini da ricerche, perquisizioni, arresti e confische irragionevoli. Perchè, quindi, questo dovrebbe valere per il GPS e non per i telefonini?