Contenuti digitali: cresce l’industria culturale e sono 20 mln i consumatori. Italia grande bacino di competenze, ma serve tutela del copyright e più mercato

di Flavio Fabbri |

Italia


Confindustria Cultura Italia

Il 40% della popolazione italiana con più di 14 anni è naviga ormai abitualmente in rete, ha a che fare con più device tecnologicamente avanzati e consuma costantemente contenuti e servizi digitali. Si tratta di circa 20 milioni di utenti e questo è sicuramente uno dei dati più rilevanti tra i tanti che sono emersi dal IV Rapporto dell’Osservatorio permanente contenuti digitali presentato ieri a Roma in occasione della IX Settimana della cultura d’impresa promossa da Confindustria. La presentazione del documento prodotto dall’Osservatorio è avvenuta nel corso dell’incontro pubblico dedicato a ‘Industria culturale e tecnologie digitali: mutamenti nella domanda e nell’offerta’, organizzato da Confindustria Cultura Italia, la Federazione italiana dell’Industria Culturale costituita all’interno di Confindustria, raggruppando le associazioni rappresentative del cinema, dell’editoria, della musica, dell’audiovisivo, dello spettacolo e dei videogiochi. Il secondo dato più rilevante è che circa 9 milioni di persone in Italia sarebbe disponibile a ricevere a casa, via Internet e sui nuovi dispositivi tecnologici, film, file musicali, quotidiani, prodotti televisivi, libri, videogiochi e ogni tipo di contenuto culturale, dietro il corrispettivo di un pagamento, in forme però ancora da stabilire.

 

Grazie al lavoro dell’Osservatorio permanente sui contenuti digitali, in collaborazione con Nielsen Italia, abbiamo ogni anno una fotografia aggiornata del nuovo modo di fruire contenuti digitali da parte degli italiani. Un progetto nato nel 2007 per volontà di alcune associazioni rappresentanti le aziende che producono e gestiscono contenuti digitali (AIDRO, AIE, UNIVIDEO, FIMI) e Cinecittà Luce. Successivamente, nel 2008, PMI e ANICA si sono aggiunti ai fondatori e quindi, nel 2010, con l’estensione dell’analisi anche ad altri settori dell’industria culturale come i videogiochi, la produzione televisiva, lo spettacolo dal vivo e l’editoria specializzata, l’Osservatorio è stato infine sposato da Confindustria Cultura Italia, la Federazione italiana dell’industria culturale. Lo sviluppo delle tecnologie digitali ha infatti consentito, tanto alle nuove generazioni quanto alle precedenti, di reperire contenuti di ogni tipo attraverso strumenti digitali differenti e soprattutto, di poterlo fare in qualsiasi luogo e in qualunque momento. E’ cambiata quindi la domanda del consumatore, non solo per il modo di accedere ai contenuti culturali e di intrattenimento, ma anche nell’attività di ricerca e nella fruizione stessa. Anche quest’anno l’indagine è stata quindi focalizzata sulle abitudini e le caratteristiche dei consumatori di contenuti digitali, cercando di far emergere i molti e differenti aspetti che modificano il consumo dei contenuti e le leve che permettono di accedervi e di fruirne in modo sempre più rapido, mirato ed evoluto.

 

Un modo per far emergere dal panorama economico italiano e internazionale il ruolo ormai decisivo svolto dai servizi e dai contenuti digitali all’interno dell’industria italiana, non più evidentemente solo manifatturiera, ma anche immateriale. Proprio per questo motivo, ha spiegato nel suo saluto alla sala il presidente di Confindustria Cultura Italia, Paolo Ferrari, “Il nostro unico fattore competitivo è il valore intrinseco di un opera culturale e questo ci è dato dal diritto d’autore. Solo proteggendo tale valore possiamo continuare a creare guadagno, posti di lavoro e invogliare gli investitori a fornire sempre nuove risorse al settore“. Per il ministero dell’Economica e dello Sviluppo Economico è intervenuto Stefano Selli, capo della segreteria del ministro Paolo Romani, che sottolinea invece l’importanza strategica del nostro imponente patrimonio culturale e artistico che fa da incubatore unico per le opere di cultura che poi finiscono sul mercato in diversi formati: “Il male del nostro tempo è la contraffazione, un mercato nero che vale 7,1 miliardi di euro e che per il 23% è costituito dai beni digitali piratati“. Selli cita il decreto Romani contro la contraffazione e la neonata task force della Presidenza del Consiglio, che dovrebbe occuparsi della tutela dei diritti d’autore e del fenomeno deleterio del download illegale dal web di contenuti protetti da copyright, ma senza troppa enfasi: “Sono tentativi benvoluti che però faticano ad essere compresi dai cittadini e utenti di Internet, con scarsa presa sulla realtà di un mercato che è fatto da editori, produttori e distributori che vedono sempre più erodersi i più che legittimi ricavi“. “L’Italia ha delle notevoli eccellenze nel settore della produzione di contenuti digitali culturali – ha specificato Selli – e la banda ultra larga deve essere considerata un’autostrada privilegiata su cui fa correre tali beni immateriali in tutto il paese e soprattutto fuori“. Un fuori in cui però i nostri prodotti di filiera faticano a collocarsi, per una diffusa impreparazione delle piccole e medie imprese del settore a competere con i diretti concorrenti europei, americani e asiatici.

 

Un problema di scarsa capacità, forse, di scarsa cultura della legalità tra il popolo dei consumatori, probabilmente, in cui il ruolo delle Istituzioni non appare molto chiaro. Secondo molti degli interventi che si sono succeduti nel primo panel del convegno, lo Stato fa poco o niente per tutela re la produzione culturale italiana, per sviluppare domanda legale e per contrastare la pirateria informatica e digitale più in generale. Il problema non sono quindi la mancanza di creatività e di fantasia, di cui i nostri ricercatori e operatori del settore sono ricchi, ma un vero e proprio sistema normativo e legislativo che supporti l’industria dei contenuti. Un segmento della più ampia industria culturale nazionale ben riportato nel documento presentato da Lamberto Mancini, Direttore di Confindustria Cultura Italia, “Confindustria Cultura Italia in numeri“. “Un’industria che vale oltre 20 miliardi di euro – ha evidenziato Mancini – che da lavoro a oltre 302mila lavoratori e addetti sui versanti artistico, tecnico e amministrativo. Si tratta in totale di quasi 19000 imprese impiegate in più macrosettori: cinema, audiovideo, editoria, musica, spettacoli dal vivo e videogiochi“.

 

Mercati che negli ultimi 10 anni hanno visto crescere sia l’offerta di contenuti e servizi, sia la domanda degli stessi, grazie alla maggiore diffusione di Internet, della rete mobile e dei relativi device di accesso. Un fenomeno che ha spiegato bene anche Claudia Baroni di Nielsen Italia nella sua relazione su “Nuovi scenari dai dati 2010 dell’Osservatorio Contenuti Digitali“. Segmentando la popolazione italiana con età superiore ai 14 anni, sugli assi della cultura e della tecnologia, si è osservato, negli ultimi 3 anni, un consistente aumento di quelle che potremmo definire le ‘avanguardie tecnologiche’, con oltre 3,6 milioni di individui che sono passati da una fruizione della cultura di tipo tradizionale ad una più tecnologica (+9%). Ciò, ci ha spiegato Baroni: “E’ dipeso dalla massiccia penetrazione di Internet, della telefonia mobile e dei media tablet più di recente“. Una fascia di popolazione che la relazione ha indicato col nome di ‘technofan’ e che è costituita oggi da circa 15 milioni di persone, il 28% della popolazione attiva (+11% sul 2007), orientate ad un uso avanzato di device di accesso alle reti di comunicazione elettronica. Il 61% di questi usa abitualmente il Pc portatile, il 32% ha in casa una televisione HD e sono propensi all’acquisto di un iPhone o di un iPad. Una comunità di persone che ascolta molta musica, vede film, consuma videogiochi e ama aggiornare le proprie competenze professionali o amatoriali. Il rovescio della medaglia, secondo lo studio di Nielsen Italia, è che sono poco inclini a leggere libri e giornali. Non sono interessati a sapere cosa accade nel mondo e nel proprio paese, al massimo qualcuno si informerà online, ma generalmente non sono propensi a tali attività. Infatti, si è potuto leggere dai grafici presentati in sala, i technofan comprano quasi tutti qualcosa di digitale, ma comprano poco. Non vanno al cinema, non acquistano cd, ne tanto meno libri e sicuramente in minor misura rispetto ad altri cluster. Il dato veramente interessante, però, che viene fuori lentamente dalla mole dei numeri presentati dalla Baroni, è che il 40% di queste 20 milioni di persone, che consumano contenuti digitali, sarebbero disposto a pagare, indicando nei film, nella musica, nei giornali online e nei corsi di aggiornamento l’offerta di interesse.

 

Una propensione al pagamento per consumo di contenti subordinata però ad un catalogo di offerte che deve essere molto ampio, ad una connessione ad Internet di qualità e a prezzi sostenibili e ad una qualità anche dei contenuti che soddisfi le attese del consumatore. Il canale online rimane quello più utilizzato, con un’eCommerce che nel nostro paese vale oggi circa 6,5 miliardi di euro (+16% sul 2009), per un 12% della popolazione che ne fa uso. Numeri molto lontani da realtà quali la Gran Bretagna dove il 50% della gente accede almeno una volta la mese in un sito di eCommerce. Cosa frena allora l’acquisto di questi beni online nel nostro paese? Perché si preferisce il download illegale? Come si potrebbe allora sostenere uno sviluppo virtuoso del segmento digitale dell’industria culturale? Domande che il moderatore del primo panel, Jaime D’Alessandro di La Repubblica, ha rivolto ai suoi speaker e a cui non tutti hanno dato risposte convincenti. Gaetano Ruvolo, presidente AESVI, non crede alla motivazione dei prezzi troppo alti dei beni digitali come ragione principale del download illegale. A mancare, secondo Ruvolo: “Sono gli strumenti culturali, non tecnologici, perché l’utente della rete immagina il mercato dei contenuti digitali come un luogo in cui fare razzia di beni senza pagare il dovuto prezzo della sua soddisfazione“. Il presidente di AFI, Leopoldo Lombardi, non crede invece ci sia altra strada che l’affrontare il prima possibile tali problematiche avendo ben in mente che. “O si trova una soluzione definitiva o si soccombe senza mezzi termini al mercato nero della pirateria digitale“. Paolo Protti, pesidente AGIS, non nasconde, come il suo precedente collega, che anche il cinema ha subito notevoli perdite a causa del download selvaggio di contenuti audiovisivi: “Ma a mancare sono anche gli strumenti normativi per affrontare il problema del consumo illegale e gli incentivi statali“. Stesso discorso per l’editoria, dove l’arrivo dell’eBook sembrava dovesse rivoluzionare lo scenario, mentre in realtà Marco Polillo, presidente AIE, ha dimostrato che le cose stanno andando diversamente: “La sua presenza sul mercato è ancora troppo marginale per dare i risultati da molti annunciati in anticipo. Le case editrici più grandi si sono subito buttate nel mercato dell’eBook, senza però conoscere in profondità il livello di domanda che è maturato sino ad oggi. Mi sembra che si sia data più importanza al device che al contenuto in questo momento“.

 

Due i dati che, comunque, lasciano ben sperare per l’industria dei contenuti digitali: la domanda di aggiornamento professionale e la produzione nazionale di prodotti audiovisivi. Entrambi i segmenti sono in crescita, come hanno confermato Gisella Bertini Malgarini, presidente di ANES, e Riccardo Tozzi, vicepresidente ANICA, soprattutto l’industria del Made in Italy nel settore del cinema e delle produzioni televisive. “Il nostro obiettivo ora – ha affermato Tozzi – deve essere quello di riuscire a portare questo immenso popolo di pirati verso la sfera della legalità, in maniera possibilmente non repressiva, quindi con più cultura del consumo lecito e in tempi brevi“. E sull’accelerazione dell’offerta legale di contenuti online si è mostrato d’accordo anche Luigi Perissich, direttore generale di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, che indica come l’unica strada percorribile per: “Recuperare il tempo perso nei confronti dei nostri diretti concorrenti europei e internazionali, nello sviluppare nuovi modelli di business sostenibili e nel dar vita ad un’offerta nazionale di contenuti culturali digitali. Traguardi tra loro collegati e non impossibili da raggiungere, grazie alla diffusione di strumenti ICT e di Internet, sui quali contare per veder nascere una nuova imprenditoria culturale in Italia che sia in grado di fare mercato in un contesto normativo che dia certezza delle regole“.

 

Nel secondo panel, moderato da Raffaele Barberio, direttore di Key4biz, si è discusso prettamente di tutela del copyright e di lotta alla contraffazione, con particolare attenzione al panorama legislativo italiano e alla necessità di adeguarlo alle nuove esigenze di mercato. In tale contesto, anche in considerazione dell’imminente iniziativa dell’Agcom su questo tema, diventa fondamentale per Confindustria Cultura Italia che le Istituzioni supportino lo sviluppo di un’offerta legale di contenuti digitali, ancora oggi carente a livello strutturale per la ridotta e non uniforme penetrazione della banda larga, la scarsa diffusione di pc e l’ancora bassa informatizzazione nelle famiglie italiane. A riguardo Enzo Mazza, presidente di FIMI, ha presentato la seconda relazione prevista nel convegno dal titolo: “La tutela dei contenuti culturali“. Un documento che fa il punto sullo stato dell’arte dell’industria digitale culturale italiana, partendo da una costatazione di fatto: “Un incremento dell’1% di copyright comporterebbe un aumento di investimenti stranieri nel nostro mercato del 6,8% e di nuovi investimenti nella ricerca di quasi il 4%“. Questo per dimostrare come e quanto il rispetto del diritto d’autore sia necessario per far si che il valore delle opere sia tutelato e trovi una giusta collocazione sul mercato. Pagare i contenuti, ha detto Mazza, significa consentire la sopravvivenza di tutta la filiera e il ritorno degli investimenti effettuati. “La normativa italiana sul copyright è molto avanzata – ha commentato Mazza – ma poco efficace perché male utilizzata. Serve allora una nuova piattaforma per il consumo legale di contenuti e un quadro normativo chiaro e preciso su cui fare affidamento. Solo così si potranno veder nascere nuovi e sostenibili modelli di business innovativi e lo sviluppo di un’imprenditoria italiana matura e concorrenziale“.

 

Dopo tante consultazioni, ci ha ricordato Mazza, l’Agcom sta infatti per varare un pacchetto di severe misure contro la pirateria, che comunque saranno sottoposte a consultazione pubblica. Nella nuova regolamentazione in oggetto sarà fatto obbligo, a quei provider che forniscono l’accesso ad internet, di mettere a disposizione dell’autorità i dai sui flussi di traffico, di modo che sarà più facile individuare coloro che scaricano grosse quantità di dati da internet. Nello stesso tempo l’utente dovrebbe comunque essere informato di questo tipo di controlli al momento dell’attivazione dell’abbonamento a Internet, per l’ovvia tutela della sua privacy.

 

In Francia c’è l’HADOPI, che sicuramente è una legge repressiva, ma lo Stato ha anche provveduto a stimolare il consumo legale di contenuti, con la distribuzione di una carta prepagata per acquistare online film e musica. Il 50% dell’importo ce lo mette lo Stato e questo è stato indicato da Mazza come un esempio pratico di incentivi statali per sviluppare domanda di mercato e quindi sostenere l’industria dei contenuti culturali di tipo immateriale. Un punto che è stato condiviso anche Roberto Guerrazzi, presidente Univideo: “Il web deve essere per noi una grande risorsa e una frontiera su cui misurarsi col nuovo, non un nemico da cui difenderci. Servono a tale scopo strumenti adeguati, sia economici, sia normativi“. “Certo, Internet degli inizi non poteva far altro che intimorire e allontanare quelle aziende che si occupavano di cinema, musica o altri segmenti dell’offerta culturale in Italia, ma ora le cose sono cambiate e ciò di cui si ha più bisogno è una tutela forte del mercato da parte delle Istituzioni”, ha confermato Mario Limongelli, presidente PMI.

 

A conclusione del convegno è poi intervenuto Gaetano Blandini, direttore generale SIAE, che non vede per il momento un mercato nazionale in buona salute: “Nonostante le imprese si adoperino per migliorare i propri conti e la qualità, già alta, del proprio lavoro, bisogna affrontare realtà con serietà e onestà”. “Il nostro mercato perde fatturato – ha sottolineato Blandini – i guadagni diminuiscono sempre di più e con essi si perdono posti di lavoro, tutto per colpa della pirateria e la criminalità informatica e multimediale“. “Attendiamo con attenzione e guardiamo con favore all’iniziativa dell’Agcom – ha precisato il DG SIAE – ma sappiamo bene che rimane difficile ad oggi rendere efficiente una qualsivoglia norma di settore, perché a mancare è una cultura della legalità e una certezza della legge che non lasci dubbi sugli esiti di un reato“. Un quadro normativo a tutela, insomma, di tutte quelle imprese che nonostante tutto investono, fanno ricerca e innovano, che necessitano di una maggiore difesa dei diritti e delle legittime aspettative. Blandini e altri si sono rivolti soprattutto alle piccole e medie imprese, spina dorsale del prodotto interno lordo italiano e che invece, al momento, poco sono sostenute per far fronte alla crisi economica, che comunque c’è, e alle storture del mercato. Un ultimo esempio che Blandini indica, come possibile strada da percorrere anche da noi, è la nascita dell’hub high-tech di Londra. Un incubatore in grado di competere con la celebre Silicon Valley californiana e che ha l’obiettivo di sostenere la crescita delle nuove attività sul mercato dell’ICT in Gran Bretagna e nel mondo, puntando allo stesso tempo su una politica di forti incentivi alle imprese: “Solo così si può salvaguardare la specificità culturale di un paese e della sua industria – ha concluso Blandini – quindi la produzione di contenuti digitali, senza chiudersi in nazionalismi sterili e sfruttando invece la potenza delle reti di comunicazione elettriche che ormai avvolgono il pianeta e arrivano nelle case di miliardi di persone“.

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