NGN: meno polemiche e più impegno per lo sviluppo di una rete in fibra ottica che serva il sistema-Paese

di di Quirino Brindisi (Management Consultant) |

Il processo di sviluppo della fibra ottica italiana tra strategie industriali divergenti e necessità di incentivare gli investimenti con nuovi strumenti regolatori nazionali e comunitari.

Italia


Fibra ottica

I toni del confronto tra Telecom Italia e i concorrenti sulla larga banda si stanno facendo tanto accesi che la competizione sembra degenerata in un litigio continuo.  Il primo strattone è arrivato con il rapporto del Comitato NGN (Next Generation Network), chiamato dall’Autorità per le Comunicazioni a delineare un percorso di transizione dalle reti di accesso in rame verso la fibra ottica, contro cui gli operatori alternativi sono insorti. A distanza di pochi giorni, l’attesa raccomandazione della Commissione europea sulle regole per la NGN ha ribadito il ruolo centrale e l’autonomia dei regolatori nazionali nele future scelte di policy.  La seconda scossa è arrivata sul fronte dei prezzi per l’affitto dei doppini in rame di Telecom che i concorrenti utilizzano per offrire l’ADSL in unbundling.

 

Agcom ha infatti concesso un aumento graduale di circa un euro al mese da qui al 2012, pur riducendo l’ammontare che era stato ipotizzato inizialmente.

L’Autorità, per la prima volta, ha usato per determinare queste tariffe un modello di calcolo ingegneristico che stima i costi di rete nel lungo periodo, come chiesto dalla Commissione europea, che l’ha spesso bacchettata in passato per non aver utilizzato metodologie di questo tipo, adatte a ridurre i margini discrezionali dell’intervento regolatorio.  Gli operatori alternativi hanno contestato il nuovo prezzo, rilevando che risulterebbe superiore alla media calcolata a livello EU-27 e stimando un aggravio di costi di oltre 1 miliardo di euro.  L’Autorità ha rigettato il calcolo, stimando un impatto di 70 milioni di Euro, e difeso il modello di costo, messo a punto attraverso una consultazione pubblica, che ha sostituito il vecchio strumento del benchmark utilizzato finora.  Non è sorprendente perciò che il commissario Kroes, interrogato a Bruxelles in attesa che i propri uffici si pronuncino sui dettagli della decisione, come previsto dalla normativa in vigore, abbia sostenuto l’operato dell’Autorità e ricordato che limitate differenze di prezzo tra i Paesi Membri possono essere imputate alla diversa topologia delle reti a livello nazionale.

 

Gli operatori alternativi sostengono che, in linea di principio, incrementare i prezzi e quindi la redditività dell’attuale rete in rame ridurrebbe per Telecom l’incentivo ad investire nella fibra ottica, rallentando il cambiamento di tecnologia per tutto il Paese. Questo sarebbe vero però soltanto nella misura in cui l’effetto non fosse bilanciato da uno stimolo di segno contrario da parte dei concorrenti ad accelerare la costruzione di una propria infrastruttura in fibra.  Questa considerazione porta verso il vero problema che si trovano ad affrontare non solo il regolatore di settore ma anche il decisore pubblico, vale a dire come creare le condizioni per avviare un ciclo d’investimenti dell’ordine di 10 miliardi di Euro nell’arco dei prossimi cinque anni, per dotare l’Italia di una rete NGN indispensabile a rilanciare la crescita economica.  L’obiettivo è stato posto dall’Agenda Digitale europea che prevede la disponibilità per tutti i cittadini di collegamenti in larga banda di “base” entro il 2013 e di connessioni a 30 Mbps entro il 2020.

 

L’Italia in questa corsa parte soltanto al 17° posto tra i Paesi europei, con un tasso di penetrazione della larga banda sulla popolazione di circa il 21%, mentre la copertura dell’ADSL è in linea con la media europea, anche se questo non significa affatto che il problema del digital divide sulla rete in rame sia risolto.  Su questo fronte, infatti, sono venuti a mancare gli 800 milioni di euro previsti dalla legge 69/2009 che erano alla base del “piano Romani” che intendeva portare entro il 2012 la banda larga a 2 Mbit/s in tutto il Paese, investendo 1,5 miliardi di Euro. Rimane una disponibilità di circa 100 milioni di Euro, tra fondi statali e regionali, che andranno alla cablatura di una settantina di distretti industriali.  Per il resto del territorio le alternative residue sembrano legate, in ordine di probabilità: allo sviluppo della banda larga mobile, alla realizzazione di progetti di cablatura a livello locale e ad un eventuale inserimento della banda larga nel servizio universale.

 

Per la NGN, come lamentato dal Presidente dell’Autorità a luglio, manca ancora un progetto “fiber nation” che metta insieme le energie e le strategie migliori per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda digitale.  Quest’ultima prevede che i Paesi Membri producano un progetto dettagliato e vincolante entro il 2012.  Per ora il Governo si è impegnato soprattutto a sostenere la necessità di varare investimenti congiunti tra gli operatori, sulla falsariga del progetto “Fibra per l’Italia” presentato da Fastweb, Vodafone e Wind nel maggio scorso.  Il tavolo negoziale aperto allo scopo presso il ministero dello sviluppo, dopo mesi di stallo per l’opposizione di Telecom a realizzare un’infrastruttura collegiale, ha registrato a metà settembre un accordo di principio sul tema della condivisione delle infrastrutture passive.  Anche a seguito di ciò, è stata avviata una ricognizione delle reti e dei piani per la sviluppo di NGN già esistenti sul territorio nazionale.

 

Le regioni, invece, sono molto attive, con i progetti più avanzati in corso in provincia di Trento e in Lombardia.  Quest’ultima ha presentato un progetto per il cablaggio di 2 milioni di unità immobiliari in 167 comuni, con un capitale iniziale di 300 milioni di Euro, attraverso una società che sarà partecipata da Invitalia, Cassa Depositi e Prestiti e forse anche da fondazioni bancarie e fornitori di tecnologia.  La società realizzerà un’infrastruttura fisica di tipo FTTH, completa di cablaggio verticale, e la affitterà a tutti gli operatori, seguendo un approccio opposto a quello usato nel 1999 da AEM Milano e Fastweb per l’uso in esclusiva dei sotterranei del capoluogo lombardo, al fine di posare la fibra ottica per raggiungere le case.  Circostanza questa che dimostra oltre alla giusta intuizione dei fondatori dell’azienda oggi controllata da Swisscom, avanti di circa 10 anni rispetto agli sviluppi del mercato, la riduzione della capacità d’investimento delle aziende di telecomunicazione.

 

Queste ultime, come molte altre in Europa, hanno bilanci in generale caratterizzati da ricavi declinanti, erosione dei margini ed indebitamento elevato.  Il fatturato totale del settore è in calo dal 2007, anche se più contenuto rispetto al PIL, in particolare nella telefonia fissa, dove la riduzione dei ricavi voce è stata compensata solo in parte dalla crescita degli accessi internet, mentre sulla telefonia mobile hanno inciso anche una serie di interventi regolatori sui prezzi della terminazione, del roaming internazionale e dei contributi di ricarica.  Gli operatori, dal canto loro, hanno beneficiato tra il 2006 e il 2009 di una riduzione dei prezzi alla produzione di circa il 13% nel fisso e di quasi il 30% nel mobile.  Questo recupero di efficienza non è stato però spesso sufficiente a compensare la diminuzione del cash flow da destinare agli investimenti, passati da un totale – per fisso e mobile – di quasi 9,5 miliardi di euro nel 2002 a circa 6,2 miliardi nel 2009.  Non è estranea al problema la stessa Telecom, sia per l’elevato indebitamento diretto sia per la struttura societaria, centrata da tempo su holding non quotate.  Questo assetto oltre a diminuire la trasparenza e la contendibilità spesso richiede un payout elevato sui dividendi per remunerare i soci di controllo, di cui beneficiano anche dei piccoli azionisti ma contribuisce a limitare le risorse disponibili alla società per nuovi investimenti.

 

In un quadro come questo, l’idea di unire le forze per la costruzione di una rete NGN unica sembrerebbe di buon senso.  Occorre però ricordare, come ha fatto qualche tempo fa anche il presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà, che la concorrenza tra infrastrutture alternative è il fulcro della competizione nelle telecomunicazioni e di tutto il disegno normativo europeo di liberalizzazione.  È necessario perciò garantire che l’eventuale realizzazione di un’infrastruttura unitaria non diminuisca gli incentivi a competere tra gli operatori sul piano della differenziazione e dell’innovazione dei servizi.  Su questo punto si scontrano le visioni di Telecom Italia, favorevole ad una architettura di accesso di tipo G-PON che concentra i flussi della rete primaria,  e i concorrenti che sostengono con forza una soluzione point to point, sostenendo che l’architettura G-PON renda impraticabile l’unbundling fisico della fibra e quindi ostacoli la concorrenza.  Telecom, dal canto suo, sostiene che l’architettura G-PON sia più economica di circa il 20 – 30% e non accetta, in linea di principio, di farsi imporre la scelta della rete point to point.

Capire quale sia la soluzione migliore non è semplice e forse non spetta alle autorità di regolamentazione stabilire uno standard, secondo il principio regolamentare della neutralità tecnologica, ribadito anche dalla raccomandazione sulla NGN.  Da alcuni sono stati proposte anche architetture miste, come la “stacked G-PON” in Lombardia, che potrebbero rappresentare un compromesso, ma se si arrivasse a un accordo sul punto rimarrebbero due considerazioni da fare.  In primo luogo, una NGN partecipata dagli operatori non garantirebbe un’accelerazione automatica degli investimenti, a meno che questi non assumano impegni vincolanti, e uno stimolo alla differenziazione maggiore dell’offerta in termini di prezzi e qualità.  In secondo luogo, una rete unica non risolverebbe il problema della determinazione dei prezzi di accesso da parte del regolatore, necessaria anche per garantire l’abbordabilità dei servizi finali e quindi il conseguimento degli obiettivi europei.

 

Far quadrare i conti non sarà comunque facile per gli operatori, come sottolinea anche  la raccomandazione NGN, considerando che gli investimenti sono pari a 5 volte quelli dell’attuale tecnologia VDSL in rame e la disponibilità dei clienti a pagare di più per il nuovo servizio pare essere limitata al 10 – 20%.  Per questo motivo il documento sottolinea l’opportunità di condividere tra gli operatori le infrastrutture di posa dei cavi, ma lascia ai regolatori nazionali la possibilità di definire mercati geografici sub-nazionali e di imporre su questi obblighi analoghi a quelli applicati alle attuali reti in rame.  In buona sostanza, la Commissione ha conferito un’ampia autonomia alle autorità nazionali, ormai rodate da oltre un decennio di attività, nel definire le future regole della NGN, sulla base delle specifiche condizioni dei mercati nazionali ed è auspicabile che in Italia si proceda in un’ottica di confronto aperto ma costruttivo, senza esagerazioni o colpi di mano.

Un clima di “competition by litigation” non è auspicabile, perché comporta il rischio di un blocco delle iniziative industriali nell’attesa di chiarire il quadro normativo, e ha portato nell’esperienza USA, dove è nato il termine, a uno sviluppo dell’unbundling sensibilmente inferiore a quello registrato in Europa.  Il Governo potrebbe fare molto per sbloccare la situazione, varando alcune misure strategiche.  Tra queste dovrebbero figurare incentivi fiscali per investire nelle NGN e per eventuali fusioni tra operatori, nel rispetto delle regole antitrust, giustificati dalla limitata possibilità di ricorso alla leva finanziaria di molti soggetti, soprattutto per operazioni di dimensioni rilevanti.  Gli operatori sani, inglobando quelli più in crisi, potrebbero raggiungere dimensioni più adatte a sostenere nuovi investimenti.  Allo stesso tempo, si dovrebbe accelerare i tempi per il dividendo digitale, liberando le frequenze televisive nella banda 800 MHz per la telefonia mobile come previsto dall’Europa e mettendole all’asta, per ricavare tra 2,5 e 3 miliardi di Euro.  Questa cifra, stimata in proporzione ai 3,6 miliardi di Euro ottenuti in Germania potrebbe essere reimpiegata – attraverso bandi competitivi – per la diffusione della NGN nelle regioni meridionali, sull’esempio del Broadband National Plan dell’amministrazione USA.

 

L’Autorità e il Governo dovrebbero preliminarmente, redigere un piano organico per il passaggio del paese alla fibra ottica, sull’esempio di quanto fatto in paesi come la Francia e in accordo almeno con gli obiettivi dell’Agenda Digitale europea.  Il piano dovrebbe essere non solo infrastrutturale ma incorporare anche interventi per la formazione digitale e per la diffusione di servizi pubblici, sia legati alla pubblica amministrazione che alla sfera sanitaria o al commercio elettronico, per generare interesse nelle fasce di popolazione che ancora non utilizzano internet.  In questo non facile compito potrebbero essere utilizzata anche la fruizione della rete attraverso lo schermo televisivo che si va delineando come una delle tendenze più innovative della transizione alla tv digitale.  Ciò che è stato fatto finora in termini di incentivi alla domanda di personal computer e di semplificazione amministrativa per la posa delle reti è oggettivamente troppo poco.

 

Alcuni fatti recenti fanno sperare in un superamento dell’attuale fase di stallo sul fronte industriale.  Tra questi la presentazione di Franco Bernabè al presidente dell’Autorità, Corrado Calabrò, di un piano dettagliato per collegare il 50% delle abitazioni italiane a 30 Mbit/s entro il 2013.  Una mossa che è insieme una risposta ai piani dei concorrenti ed un impegno basato sulla finora positiva esperienza della separazione tra gestione tra rete e vendita dei servizi di Telecom, attuata invece dello scorporo dell’infrastruttura, per salvaguardare i concorrenti da eventuali pratiche anticompetitive.  Nella stessa sede, Telecom ha chiesto di poter avviare entro la fine dell’anno la commercializzazione di un’offerta a 100 Mbit/s di capacità in 6 città, come risposta ad un’analoga, recente iniziativa di Fastweb.  Sono questi i segnali concreti dell’avvio della NGN? È lecito sperarlo, ma la domanda vera è quale sarà la diffusione effettiva della rete tra qualche anno. È importante che gli impegni di investimento siano resi vincolanti da una programmazione condivisa e sostenuta da tutti per assicurate lo sviluppo del Paese.