Privacy: vicina la fine dell’anonimato in Rete? Governi e web company predicano la privacy ma sono pronti a schedare gli utenti del web

di Alessandra Talarico |

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Eric Shmidt

“Il solo modo per rendere internet veramente trasparente è di finirla con l’anonimato”. Con queste parole, il Ceo do Google, Eric Schmidt, ha scioccato quest’estate i partecipanti alla conferenza Techonomy, in California. In un’intervista alla CNBC, Schmidt ha sottolineato che “…in un mondo di minacce asincrone, è troppo pericoloso  che non ci sia un modo per identificarci” e che presto, secondo lui, tutti i governi reclameranno “un servizio in grado di verificare l’identità” degli internauti, con buona pace di chi pensava che l’anonimato fosse una delle caratteristiche fondamentali del web, o quantomeno uno dei principali motivi del suo successo.

 

Affermazioni ancora più inquietanti, visto che a renderle è stato il Ceo del principale motore di ricerca Web, nonché consigliere tecnologico di Barack Obama. Un personaggio influente, dunque, e a capo di un gruppo che si può ben definire il maggiore collezionista di informazioni personali al mondo: Google, di fatto, già sa cosa ognuno di noi guarda e cerca sul web, sa chi sono i nostri amici e quali le nostre preferenze.

Dove vorrà andare a parare, dunque Schmidt? Il Ceo ha fatto una serie di precisazioni. La prima: “Se vuoi che nessuno sappia qualcosa che stai facendo, allora sarebbe meglio non farla proprio”.

Secondo, ha affermato, “Anonimato non vuol dire privacy”. La privacy, ha chiarito, “è incredibilmente importante ed è importante che Google e chiunque altro rispetti la riservatezza delle persone, che è un diritto naturale”.

Ma, ha aggiunto, “se si sta cercando di commettere un terribile delitto, è ovvio che non si possa farlo nel completo anonimato. Non ci sono sistemi nella nostra società che consentono di farlo. I giudici insistono nel  voler smascherare gli autori del reato. Così l’anonimato assoluto potrebbe portare ad alcune difficili decisioni per i nostri governi e la società nel suo complesso”.

 

Certo, se non stupisce che la Cina abbia già previsto la fine dell’anonimato in rete – “Creeremo un sistema di identificazione reale su internet al più presto possibile”, ha affermato Wang Chen, direttore dello State Council Information Office cinese – una tale presa di posizione non può che sorprendere se arriva dai consiglieri tecnologici del governo Usa: Howard Schmidt (omonimo del Ceo Google ma senza alcun legame di parentela), nuovo responsabile per la sicurezza informatica della Casa Bianca, ha infatti proposto lo sviluppo di un sistema di “identificazione volontario e verificato”, in grado di identificare le impronte digitali degli internauti. Via quindi le identità multiple agevolate dall’anonimato, in favore di una sola identità digitale, che corrisponda a quella reale dell’utente.

Ovviamente, l’obiettivo dichiarato è quello di combattere terrorismo e cybercriminalità, non di sorvegliare i cittadini, ma il risultato è lo stesso e c’è già chi pensa a scenari futuri in cui per connettersi a internet bisognerà avere la ‘patente’ e sostenere degli esami.
 

Il problema, secondo L’esperto in sicurezza Bruce Schneier è che le compagnie i cui Ceo elogiano la privacy, sono generalmente anche quelle che generano profitti grazie alla possibilità di controllare enormi quantità di dati personali degli utenti.
“Sia attraverso la pubblicità mirata, il cross-selling o semplicemente convincendo gli utenti a passare più tempo sul loro sito e a fare iscrivere i loro amici: più aumentano i modi di condividere il maggior numero di informazioni, più aumentano i profitti. Ciò significa – aggiunge – che queste società sono motivate ad abbassare continuamente il livello di privacy dei loro servizi e a prevedere, allo stesso tempo, un’inevitabile erosione della privacy, dando agli utenti l’illusione del controllo”.

 

La perdita dell’anonimato, dunque, non può avvenire se non a discapito della privacy ed è inquietante pensare a dei governi che possano ritenere necessario cancellare l’anonimato dalla rete perché ‘pericoloso’. Viene in mente, a maggior ragione dopo le esternazioni di Schmidt – Ceo di una società che fa soldi monetizzando i dati degli utenti –  che in effetti potrebbe esserci un certo conflitto d’interesse.

Se davvero, ha concluso Schneier, “crediamo che la privacy sia un bene sociale, qualcosa di necessario per la democrazia, la libertà e la dignità umana, allora non possiamo pensare che la mantengano le forze del mercato”.