Rete. Quale soluzione per la fibra ottica? L’ostinazione di Telecom Italia e la necessità di trovare una soluzione per far ripartire le tlc

di Alessandra Talarico |

Italia


Telecom Italia

Telecom Italia non sembra voler arretrare di un millimetro rispetto alla sua intenzione di non cedere la propria rete per dotare il paese di una infrastruttura libera e aperta. Lo ha detto più volte l’amministratore delegato Franco Bernabè e lo ha ribadito ieri anche il presidente Gabriele Galateri, affermando che, al massimo, si può procedere con forme di collaborazione pubblico-privato come quella avviata in Trentino.

“In un paese in cui, in questo momento  le risorse sono generalmente scarse – ha detto Galateri – occorre trovare forme di collaborazione tra pubblico e privato”, ma “nel rispetto dei ruoli di ciascuno”.

Quello di Telecom, ha aggiunto, è di “trasformare dati, bit e voce”.

 

Eppure, la società è sempre più sola in questa sua ostinazione.

Anche se la politica sembrava inizialmente voler assecondare la posizione di Telecom Italia – “Il mercato è libero e sono le aziende che decidono”, ha affermato il ministro Claudio Scajola – appare oggi inevitabile far convergere la rete, o una parte di essa, in una newco per lo sviluppo della fibra ottica che coinvolga tutti gli operatori, la Cassa Depositi e Prestiti e soggetti esterni come, Poste Italiane o Ferrovie dello Stato.

 

Certo, la via dello scorporo non è mai stata praticata in nessun altro paese ma è anche vero che Telecom Italia, indebitata com’è, non potrà mai provvedere a dotare il paese di un’infrastruttura di nuova generazione adeguata, per la quale è previsto un investimento compreso – a seconda delle scelte – tra 10 e 24 miliardi di euro. L’ex monopolista, “…investe poco appesantita da grandi problemi finanziari anche se non dipendono dalla gestione industriale ma da altro”, ha affermato, ad esempio, il vice ministro allo Sviluppo economico Paolo Romani, facendo riferimento alle precedenti gestioni della società.

 

Si dice anche – Bernabè lo ha sottolineato più volte – che l’infrastruttura attuale è più che adeguata a sostenere il livello di domanda, che in Italia è molto basso.

Ma è altrettanto vero, come ha sottolineato a suo tempo Francesco Caio (incaricato dal governo a stilare un piano di sviluppo per la fibra ottica) che non si può pensare di affrontare lo sviluppo della nuova rete quando sarà troppo tardi, quando, cioè, l’attuale infrastruttura sarà troppo obsoleta per far fronte alla forte crescita dell’utilizzo di servizi che necessitano di molta banda.

Dalle pagine de Il Sole 24 Ore, anche l’ad di Wind, Luigi Gubitosi, ha sottolineato infatti che “…la richiesta cresce a ritmi sostenuti, non si può aspettare che sia troppo tardi e si crei l’ingorgo”.

 

Il problema non è di poco conto, anche perché ancora non si hanno le idee chiare su come affrontare la fase successiva, quando gli operatori dovranno convergere su una strategia comune per la realizzazione di una società per la rete, ma – afferma ancora Gubitosi – in futuro si assisterà “…a un aumento di collaborazioni tra operatori alla creazione di società infrastrutturali”, che nel settore mobile potrebbero concretizzarsi nello sviluppo di “tower company”.

Nel settore fisso, ha spiegato Gubitosi, “la questione è più complessa perché gran parte dell’infrastruttura è in mano a Telecom”, ma – ha aggiunto – “…prima o poi sarà utile per tutti immaginare un sistema che permetta di condividere i costi”.

 

Quale soluzione, allora, per far ripartire le tlc e dotare il paese di un’infrastruttura in fibra ottica prima che sia troppo tardi?

L’associazione Assoprovider, ad esempio, ha richiamato il famoso piano Rovati, che suggeriva – per scongiurare il rischio di una scalata da parte di investitori finanziari, anche esteri – lo scorporo della rete fissa, il suo passaggio alla Cassa Depositi e Prestiti e la sua successiva quotazione. Un po’ come era avvenuto per Terna, l’ex rete Enel.

Elaborato da quello che era il più fedele consigliere politico-economico di Romano Prodi, costretto a dimettersi dopo che il suo ‘studio’ sul riassetto di Telecom, consegnato riservatamente a Marco Tronchetti Provera, il piano Rovati finì pubblicato sulla stampa facendo divampare le polemiche su un eventuale ingerenza politica sul futuro dell’unica compagnia telefonica ancora italiana.

 

Tornato sull’argomento nei giorni scorsi, Angelo Rovati ha ribadito che la rete va salvaguardata “perché ha un interesse pubblico strategico”, ma anche per chiudere “l’annoso problema dei cittadini che non vi hanno accesso”.

Rovati ha quindi ribadito che, per dare un presidio pubblico alla rete, “… la Cassa Depositi e Prestiti sarebbe un candidato ideale”, ma ha anche sottolineato che non sarebbe un “delitto di lesa maestà tenere la rete e vendere il resto”.

Ipotesi ventilata nei giorni scorsi anche da La Repubblica, secondo cui si potrebbe vendere parte della rete, quindi l’ultimo miglio, “a investitori privati capeggiati da CdP e Fondazioni” oppure trasformare Telecom in utility attraverso “lo scorporo della rete commerciale, clienti compresi, che a questo punto potrebbe anche essere venduta a un operatore terzo”.

 

Anche secondo Gubitosi, quindi, le telecom devono avvicinarsi sempre più al modello delle utilities: “…quello delle tlc resta un settore vivace, ma non si può pensare di risolvere tutti problemi con la crescita, occorre intervenire anche sui costi e altri fattori quali la distribuzione e l’attenzione al cliente”, visto che il mercato italiano è ormai saturo.

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