XII Rapporto IEM: stato dell’arte e possibili strategie per il mercato dell’audiovisivo, di musica, cinema e videogame

di Flavio Fabbri |

VII Summit sull’Industria della Comunicazione in Italia: ‘Nella creatività il futuro dei media’.

Italia


VII Summit sull’Industria della Comunicazione in Italia

Settimo Summit sull’Industria della Comunicazione italiana quest’anno dedicato alla ‘creatività‘, come leva per la crescita e il futuro del mercato dei media, con analisi delle piattaforme digitali e in particolar modo dei videogiochi.

Un incontro, quello del 17 dicembre, organizzato dall’Istituto di Economia dei Media – Fondazione Rosselli, in collaborazione con Mediaset, Telecom Italia, Vodafone, e con il sostegno di Rai Cinema, Alcatel-Lucent, APT, Poste Italiane, RCS Media Group e Wind Telecomunicazioni. Un appuntamento che ha voluto portare l’attenzione sulla creatività nei contenuti, nel design dell’esperienza di fruizione, nella promozione e nella distribuzione, come nuovo driver dello sviluppo dei mercati e dei modelli di business. Occasione inoltre per la presentazione del Rapporto IEM, quest’anno giunto alla sua XXII edizione, in cui si è mantenuta la tradizionale ripartizione tra ‘mercati‘ (dati, trend e raffronti internazionali relativi all’intera Industria della Comunicazione divisa per il 2008) e ‘approfondimenti‘, con focus sul mercato dei videogiochi in Italia e sue dimensioni economiche e culturali.

 

La presentazione del volume è stata affidata a Flavia Barca, Coordinatrice IEM – Fondazione Rosselli, mentre moderatore delle tavole rotonde della mattinata e del pomeriggio è stato Ernesto Assante de La Repubblica. Un ‘Industria della Comunicazione che vale 101,8 miliardi di euro e che è cresciuta nel 2008 solo dello 0,2%, a cui si aggiunge il comparto ICT che da solo produce ricchezza per 64,5 miliardi e i mezzi a contenuto editoriale (tv, cinema, home video, editoria, videogiochi, musica) che valgono 24,1 miliardi di euro. Il 2009 inoltre, sempre secondo il Rapporto, dovrebbe chiudersi con una flessione del 5%, confermando i timori già espressi nella scorsa edizione e quest’anno materializzati con la crisi economica e finanziaria che tutt’ora morde il mercato dell’audiovisivo italiano, sia negli investimenti pubblicitari sempre più ridotti (-1,2%), sia nel volume delle spese dei consumatori (+0,2%), decisamente contenuto. 

 

La nostra attenzione – ha confermato Barca – si è quindi rivolta al mondo delle imprese produttrici di contenuti, a quelle aziende che hanno investito in creatività nel settore musica, audio-video e soprattutto videogiochi, con attenzione a fatturati, redditività e strategie di mercato. Proprio il comparto videoludico è quello che, insieme alla televisione, ha registrato le migliori performance negli ultimi 4 anni, con un tasso medio di crescita del 20,3%, seguito dalla Tv col 6,8%“. “Altri segmenti media con i migliori risultati – ha proseguito Barca nella sua esposizione – sono la Pubblicità su Internet col 56,9%, le Pay TV col 23,2% e i Mobile Content col 18,2%. Settori importanti che nel 2008 hanno visto aumentare la spesa procapite in Europa per il videogaming, in testa la Gran Bretagna (78 Euro), seguita da Germania (33,6 Euro), Francia (47 Euro), Spagna (31,2 Euro) e infine Italia (21 Euro)“. Un contenuto, il videogioco, la cui forza sta sicuramente nell’interattività proposta all’utente, nel grado di personalizzazione e nel modello di consumo non lineare, che è riuscito a penetrare i mercati declinandosi tra piattaforme mobili, online e portatili, per un’esperienza user friendly e andata oltre la dimensione della ‘cameretta’, passando infine al salotto di famiglia. Un successo dovuto anche alle nuove console ‘portable’, multifunzionali, dotate di lettore Blu Ray, di servizi multimedia, VOD e di connettività continua, così da garantire al pubblico dei new gamers un’esperienza di gaming “total, cloud e social“.

 

La stessa valorizzazione dei servizi di billing – ha proseguito Barca – hanno consentito nuovi modelli di business basati sulla monetizzazione dell’innovazione, in grado di garantire margini di profitti elevati su applicazioni e servizi“. Un’industria, quella della produzione di videogiochi in Italia, che, a fronte di una spesa dei consumatori in software pari a 671 milioni nel 2008, produce ricavi complessivi per 18 miliardi di euro.

 

Il Rapporto ha inoltre fornito nuovi dati sul mercato italiano che, in un contesto economico minato dalla recessione, presenta pochi grandi publisher, con prevalenza sul territorio delle corporation internazionali e relativa strozzatura della filiera, fiaccata da scarsità di risorse e limitati sbocchi commerciali.

Sono 61 le software house presenti sul nostro territorio – ha confermato Barca – quasi tutte Piccole e Medie Imprese e concentrate in Lombardia e Lazio per un fatturato complessivo di 18 milioni di euro e una redditività ancora negativa. Un settore sostanzialmente frammentato, con i tre quarti delle imprese che fatturano poche centinaia di migliaia di euro l’anno e una produzione di non più di 50 titoli, soprattutto per Pc, console portatili e dispositivi mobili“. Un mercato in ritardo, quindi, dove il prodotto videoludico è poco cultural-specific, privo di politiche di sostegno, con un tessuto imprenditoriale poco maturo e danneggiato dall’assenza di un sistema editoriale distribuito e interessato al prodotto, con la conseguente mancanza di aree di business dedicate.

 

La chiave di successo dei contenuti video ludici, secondo Gaetano Ruvolo di AESVI, l’Associazione Editori Software Videoludico Italiana: “E’ stata proprio nell’innovazione tecnologica delle console di Terza Generazione, evolute da home a portatili, facendo così in modo di trasportare fisicamente i dispositivi di gioco dalla dimensione individuale della ‘cameretta’ a quella interattiva digitale, plurale e famigliare del soggiorno, aumentando l’esperienza di realtà attraverso collegamenti in rete, l’HD, il Blu Ray e il multimediale“. Un medium che è riuscito ad attraversare in maniera trasversale generazioni diverse, dai giovanissimi agli over 60 ha continuato Ruvolo: “Un mercato in crescita costante, che per l’Italia però evidenzia la mancanza di politiche di sostegno allo sviluppo, la scarsità di figure professionali e una consistente sottostima del valore non solo economico, ma anche formativo e didattico del mezzo, soprattutto da parte degli ambienti accademici”.

 

Una posizione critica che si basa su un dato importante, come ha sottolineato Stefano Pileri, Presidente di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici: “Che vede il videogico assurgere a medium didattico e formativo, in grado di diffondere alfabetizzazione digitale nelle famiglie, sviluppare socialità e sostenere la penetrazione tecnologica di Internet. Il Progetto Italia Digitale si propone in questi termini di ridurre il digital divide, oltre che di sostenere la crescita del settore, ponendo il videogioco come piattaforma di diffusione anche della banda larga, ancora ferma al di sotto del 10%“. “La stessa alfabetizzazione informatica delle imprese – ha proseguito Pileri – presenta valori del 66%, molto bassi se confrontati con il resto d’Europa, limitanti da un punto di vista della capacità di fare business con Internet e contrassegnati dal fatto che ancora un terzo delle imprese non usa la rete“.

 

Per sviluppare modelli di business online servono più infrastrutture broadband, le stesse che in Italia sono appese agli 800 milioni di euro promessi dal Governo e senza i quali non è possibile innovare e sostenere i livelli di competitività dei mercati globali.

Unica eccezione, in un quadro infrastrutturale deprimente – ha sottolineato Pileri – è la banda larga mobile, che in Italia è ai massimi livelli mondiali per estensione e qualità dei servizi“.

 

Storia di un ritardo che rischia di divenire cronico se non si interviene nell’immediato e che evidenziano uno squilibrio spropositato tra il mercato dei videogiochi e la sua industria nel nostro paese.

 

Un’industria – ha spiegato Raul Carbone di Assoknowledge, Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici – che ha deciso in controtendenza, rispetto ai partner europei, di dedicarsi allo sviluppo di contenuti per Pc, invece che per console“. Quindi una deviazione strutturale che in qualche modo penalizza la crescita comunque eccezionale del mercato, anche in termini occupazionali e di volumi fiscali. Come sostenuto negli altri interventi, inoltre, non bisogna dimenticare l’eccezionale contributo culturale dei videogiochi, prodotti formativi, in grado di divulgare linguaggi digitali e tecnologici in forma semplice e comprensibile, accompagnando nuove e vecchie generazioni nei futuri scenari tecnologici che ci attendono. Uno strumento di comunicazione aperto e interoperabile in qualche modo, perché connesso con tutte le altre piattaforme tecnologiche: “Di supporto strategico all’advertising ad esempio – ha confermato Paolo Giacomello di Idoru – utile alla riduzione dei costi aziendali in branding & custode experience, determinante un nuovo rapporto tra medium e fruitore, costruito sulla social experience & interaction, comprensiva di momenti di competizione, condivisione e networking“. “Il futuro dei media – ha infatti sostenuto Fabrizio Vagliasindi della IULM di Milano – si gioca anche nella sua dimensione ludica, comunicativa, interattiva e sociale, in cui rientrano tutte le declinazione del digitale, dai servizi eCommerce all’advertising, dall’eGovernment alle applicazioni mobili. Panorami prossimi che necessitano però di un adeguato paradigma culturale altrimenti, invece della ‘all digital society’, avremo nuovo social divide“.

 

Nella successiva Tavola rotonda, moderata da Ernesto Assante de La Repubblica, dedicata a “Industria della creatività – I contenuti videoludici tra i driver della crescita del mercato digitale” si sono succeduti gli attori, tra operatori di telefonia mobile, provider di soluzioni tecnologiche, editori e rappresentanti del mondo accademico, che direttamente o indirettamente sono coinvolti nel settore e che hanno continuato ad evidenziare i temi già sollevati dalla prima tornata di interventi della mattinata. Gianluca Palladini della RCS Media Group ha sottolineato il ruolo centrale dell’editoria nello sviluppo di una sana industria del videoludico, “Ma che esige un cambiamento delle regole, con il superamento delle tradizionali barriere commerciali e una diversa modalità metodologica nella raccolta dei dati su target specifici, troppo spesso focalizzati solo su alcune fasce di pubblico e di consumatori e indifferenti a grosse fette di utenti considerati outsider“. Per Cesare Sironi di Matrix-Telecom Italia non c’è dubbio: ” è stata Internet la killer application del videogaming, permettendo la connessione al web della console, facendo interagire i contenuti video ludici con i social network e diffondendo la pratica del multiplayer gaming come il MMOGame o del MMORPG. Un’operazione di apertura della piattaforma agli sviluppatori esterni, che ha permesso di realizzare nuovi modelli di business come il pay-per-use“. Sempre di rete ha parlato Andrea Casalini di Buongiorno, ma di quella mobile, che in breve tempo ha dato la possibilità agli utenti: “Di accedere ai contenuti video ludici in mobilità, libertà spaziale e temporale, valorizzando il tempo libero e interstiziale, con l’aggiunta di una maggiore garanzia di sicurezza che la rete mobile offre contro la pirateria digitale“.

 

Un punto di vista diverso lo ha offerto Layla Pavone di IAB Italia, qui anche in veste di manager director della Iscobar Communication, fermando alcuni punti essenziali sul boom dei contenuti video ludici: “Principalmente la natura interattiva e sociale del videogaming, piattaforma abilitante a diverse forme di business online e mobile, aperta all’evoluzione antropologica del gamer, sempre più multitasking che però necessita di nuove capacità manageriali nel saper intercettare i bisogni del consumatore e nel tracciare l’utente, andando a sostenere la parallela crescita del mercato advertising“. Sempre sui dati, è poi tornata Pavone, “C’è la necessità in questi termini di modificare tecniche e metodi di raccolta“, portando all’attenzione della platea il ruolo svolto da Audiweb, “Che lavora su dinamiche di tracciabilità dell’utente più efficienti, in profondità, in grado di valorizzare l’interattività tecnologica e il real time dei feed back comportamentali dei giocatori digitali“. Di web 2.0 e di networking ha invece parlato Marco Gaeta di Alcatel-Lucent che indica nella capacità di ‘fare rete’: “La possibilità di costruire valore, competitività e ulteriore crescita, come successo negli USA, dove provider di servizi, di tecnologia, di rete e contenuti collaborano stabilmente nello sviluppo di nuovi modelli di business“. Una condivisione di obiettivi che nasce dalla ricaduta dell’innovazione tecnologica come asset aziendale imprescindibile, che Antonio Converti di Wind Telecomunicazioni ha riassunto nel boom italiano del broadband mobile e nella straordinaria penetrazione tecnologica dei dispositivi mobili come l’iPhone.

 

Eppure, non tutto è positivo sul mercato italiano, danneggiato dalla mancanza di politiche dedicate, come visto, dalla presenza costante di una pirateria molto vicina alla criminalità organizzata e troppo sbilanciato sull’offerta gratuita piuttosto che a pagamento. Ovviamente ciò non significa che la crescita fin qui registrata ha già dato il meglio di sé. Il fenomeno, ha spiegato Vittorio Veltroni di Vodafone Italia, è tenuto sotto osservazione da parte degli operatori mobili: “Curando un’offerta flessibile e attenta alle sempre nuove esigenze del consumatore, aperta ai cambiamenti e alle novità, con un atteggiamento dell’azienda orientato all’investimento in ricerca e innovazione, verso nuovi modelli di business legati ovviamente all’advertising da una parte, ma anche ai servizi di billing mobili, come nel caso di Vodafone 360, con cui l’utente può godere di una ricca gamma di applicazioni, brani musicali e giochi da scaricare sul cellulare, nonché di riunire in un’unica rubrica tutti i contatti del cellulare, di Facebook, di Windows Live e Google“. Non è mancato il punto di vista delle Istituzioni più volte tirate in ballo e rappresentate da Mario Dal Co, Consigliere per l’Innovazione del Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, per il quale: “Compito della Pubblica Amministrazione è sempre quello di tutelare i Beni Pubblici, in cui far rientrare anche la formazione di personale qualificato, come capitale umano da fornire alle imprese, assieme a servizi di pari valore e a prezzi contenuti“. “I contenuti videoludici sono una risorsa importante per il sistema paese – ha sottolineato ancora Dal Co – come la rete a cui sono legati tecnologicamente e culturalmente, ma l’ente pubblico non deve confondere l’innovazione tecnologica con il web 2.0, perché suo fine ultimo resta la comunicazione pubblica al cittadino, ispirata dai principi di uguaglianza e trasparenza, attenta a non lasciare indietro nessuno e alla piena accessibilità della stessa“. “Il web 2.0 è il centro motore da cui si dipartono tutte le grandi innovazioni del presente e del futuro – ha invece sostenuto Carlo Infante, libero docente di Performing Media – fucina di comportamenti creativi e delle dinamiche interattive e sociali di cui stiamo parlando. Nel prossimo futuro le sue evoluzioni ‘cloud’ daranno ancora maggiore impulso all’esperienza digitale dell’utente, spostando la frontiera interattiva e del real time ancora più avanti“.

 

Sempre sul mercato nazionale dei videogiochi si è tenuta la presentazione dell’Osservatorio IEM PMI di produzione creativa, condotta sempre da Flavia Barca, e centrata su “Le industrie dei contenuti in Italia: cinema, musica, tv, videogame. Perimetro e peso economico“. In cui si è di nuovo parlato di autenticità dei dati raccolti sul consumo dei contenuti creativi, loro validità metodologica, tecniche di rilevamento e necessità di un cambiamento in termini di approccio culturale alla ricerca più qualitativa che quantitativa, anche per comprendere a pieno l’impatto del settore sull’intero sistema economico nazionale. “L’Osservatorio sull’Industria della Comunicazione – ha spiegato Flavia Barca – nasce proprio per questo motivo, nel tentativo di radiografare lo stato dell’arte e ragionare su possibili strategie di policy che riguardino il mercato dell’audiovisivo, della musica, del cinema e del videogame“. Quattro settori nevralgici della comunicazione digitale, ancora spacchettati ma che presto tenderanno a convergere. “Particolare attenzione – ha continuato Barca – è stata data ai cluster territoriali, come nel caso del Lazio con il cinema e la televisione, o la Lombardia con la musica e il videogame. Per l’audiovisivo abbiamo un tessuto economico caratterizzato da 860 imprese, con un fatturato di 1,5 miliardi di euro e una redditività piuttosto scarsa dell’1%, mentre per il cinema ci sono poco meno di 150 imprese attive per un fatturato di 320 milioni di euro e tutte concentrate nel centro Italia“. “Del videogame si è già discusso – ha proseguito Barca – mentre per la musica, stretta tra pirateria e crisi del mercato, le imprese attive sono più di 1000, con 4 grandi major che da sole fanno il 64% del fatturato. Unica nota positiva è che il prodotto italiano continua a crescere e conquista il 56% del mercato“.

 

Anche la seconda Tavola Rotonda, moderata anche questa da Assante, è stata dedicata al mercato del videogame nazionale, con la presentazione dei risultati dell’Osservatorio IEM PMI di produzione creativa “Le industrie dei contenuti in Italia: cinema, musica, tv, videogame. Perimetro e peso economico“. Uno scenario caratterizzato nel cinema nostrano da bassi livelli di innovazione tecnologica e scarsa creatività secondo Giorgio Gori di Magnolia, per il quale: “In un momento di crisi economica si rafforzano le spinte conservatrici dell’industria, quelle tese alla sopravvivenze delle strutture e dove i broadcaster nazionali preferiscono scaricare le difficoltà sui produttori indipendenti, piuttosto che alzare i livelli di investimento in nuovi contenuti”.Una sistema che risulta essere bloccato, sia per il basso livello di concorrenza, sia per una scelta aziendale generale tesa ormai a favorire la produzione in-house che si aggira oggi sui 260 milioni di euro, tagliando di conseguenza ogni esternalizzazione, “Questo significa che la creatività in Italia non è ancora considerata una leva per la crescita economica – ha sottolineato Gori – mentre le grandi aziende nazionali dovrebbero pensare a muoversi di più sui mercati esteri, confrontandosi con realtà che investono molto nei contenuti, coinvolgendo i produttori indipendenti, permettendo alle imprese di salvare i loro già esigui margini di guadagno, garantendo per tutta le filiera i ritorni degli investimenti sostenuti. La creatività, se non viene utilizzata a livello industriale per raggiungere tali obiettivi, muore e con essa un intero mercato“.

 

Tirata in causa come rappresentate di uno dei grandi broadcaster italiani, Gina Nieri di Mediaset ha spiegato quanto la crisi finanziaria sia un problema serio per le aziende in questo momento: “Con una contrazione di fatturato non indifferente e che, a differenza di quanto detto, ha visto Mediaset procedere con un aumento di risorse destinate ai contenuti, alle fiction e al cinema per l’esattezza“. “I broadcaster fanno il possibile in questa situazione – ha sostenuto Nieri – ma se non si argina il fenomeno della pirateria diretta e di quella indiretta, i danni poterebbero farsi maggiori per l’intera filiera dell’audiovisivo. Mi riferisco a chi, come Google, utilizza i contenuti altrui per fare profitti, rendendoli gratuiti al pubblico della rete. Noi investiamo soldi veri nei contenuti e altri se ne appropriano. Così si distrugge il mercato e la sentenza del Tribunale di Roma sul Grande Fratello è un primo attesissimo segnale di legalità e di rispetto delle regole a cui tutti si dovrebbero attenere”. Solo colpa della pirateria e del modello ‘free web’? Non proprio, come ci ha spiegato Riccardo Tozzi dell’Unione Produttori Anica: “Se non si riesce a pensare ad una nuova offerta al pubblico della rete, che metta d’accordo tutti, produttori, distributori, esercenti e consumatori, non credo che troveremo una via di uscita nel breve periodo a tale difficile situazione. Le piattaforme ci sono, la tecnologia anche e i contenuti sicuramente, abbiamo necessità di trovare quindi un accordo programmatico sul pricing, le finestre di uscita, la diversificazione dei tempi di consumo“. Una grande alleanza tra player quindi, che sia in grado di dare continuità a 15 anni di grande crescita dell’industria culturale italiana che, come ci ha confermato Tozzi: “Ha registrato aumenti nei consumi in tutti i suoi comparti, dalla letteratura al cinema, dalla musica al multimediale; un patrimonio incredibile di innovazione, conoscenza e arte, giacimento di risorse per le aziende italiane che non deve essere disperso e la cui qualità, riconosciuta anche all’estero, deve porsi come leva per la ripresa della competitività sui mercati globali“.

 

A confermare tale trend positivo della produzione audiovisiva nazionale è intervenuto Paolo Del Brocco di Rai Cinema, che ha sottolineato “La grande domanda di cinema da parte del pubblico Rai, che per il 65% dei casi si dice soddisfatto di quanto l’azienda propone nel prime time e in seconda serata. Questo per dire che l’ampliamento delle piattaforme di fruizione dei contenuti, se non seguito da una formazione adeguata, al momento non apporta un considerevole aumento di pubblico per il cinema e l’industria dell’audiovisivo. Negli ultimi anni il numero di film visti rimane sempre lo stesso“. Una posizione leggermente critica verso il digitale nelle sue declinazioni e l’offerta online, che invece viene difesa da Giorgio Bonifazi Razzanti di Pan Advertising e delegato di Assocomunicazione, il quale ha sostenuto che: “Per 50 anni i broadcaster e le imprese di comunicazione hanno sviluppato dei modelli di business efficaci e sicuri, basati sui media classici. L’arrivo del digitale e del web hanno destabilizzato il sistema delle rendite garantite, facendo sorgere nuovi spazi di comunicazione, più veloci, interattivi, personalizzabili dal lato utente, come i social newtork, gli ambienti virtuali, l’augmented reality e gli applicativi mobili. Un panorama completamente cambiato e che continuerà ad evolversi nei prossimi anni, in maniera sempre più veloce, in cui per ‘giocare’ al tavolo delle imprese globali serviranno tanta innovazione, creatività, mix di business e flessibilità manageriale sul mercato“. Tra le possibili soluzioni all’empasse italiana c’è quella proposta da Stefano Turi di FILAS, società dedicata al sostegno dei processi di sviluppo e di innovazione del tessuto imprenditoriale della regione Lazio: “Bisogna trovare nuove risorse e strumenti per fare impresa nel settore dell’audiovisivo, per tornare sui mercati internazionali con i nostri prodotti. Un esempio è la proposta FILAS di Associazione in Partecipazione, con finanziamenti di capitale di rischio con cui entrare nei progetti d’impresa più validi e seguire il cammino delle PMI locali, a partire proprio dai nostri cluster territoriali maggiormaente innovativi“.

 

Mission importante, quest’ultima, dedicata al tessuto economico che vive dell’audiovisivo e che da lavoro a oltre 200mila occupati, ma che non è sufficiente a ridare ossigeno ad un intera filiera: “Se non ci adeguiamo ai nuovi paradigmi tecnologici, economici e culturali che si stanno diffondendo a livello globale – ha affermato Lorraine Dé Selle Du Real dell’APT – non avremo modo di sfruttare l’immenso patrimonio a disposizione delle imprese italiane. La nostra creatività, la naturale capacità delle aziende italiane di stare sul mercato, l’eccellente know-how accumulato negli anni, senza un adeguato sostegno istituzionale, con piani governativi dedicati all’audiovisivo, potrebbero andare perduti in pochissimo tempo“. Gli ha fatto eco anche Francesco Gesualdi della Fondazione Roberto Rossellini per l’Audiovisivo, che nel suo intervento ha evidenziato proprio la latitanza dello Stato: “Di un impegno formale nel settore dell’audiovisivo, di politiche di sviluppo e di incentivo all’investimento in un settore industriale che è assolutamente strategico per il paese“. “Per anni si è detto che la televisione stava uccidendo il cinema ha ricordato Gesualdi – e che ingiustamente da questo attingeva contenuti per il suoi programmi di massa, offrendo gratuitamente film al pubblico. Oggi si parla in questi termini del web o dei dispositivi mobili. Se i grandi player, assieme agli attori della filiera e unitamente alle forze di governo, non trovano la forza e la volontà di riunirsi attorno ad un tavolo per discutere di una reale exit strategy dalla crisi economica e dalla mancanza di regole nel settore, sarà difficile battere la pirateria digitale e la cattiva abitudine al ‘gratuito sempre’ di una larga fetta del pubblico italiano“. Insomma, non è proprio colpa delle nuove piattaforme tecnologiche se le media company perdono profitti, probabilmente è accaduto anche in passato che nuovi canali di distribuzione dei prodotti audiovideo abbiano danneggiato chi c’era prima sul mercato e la mancanza di regole non è del tutto una scusante alla ‘non volontà’ manifesta dei grandi gruppi operanti nel comparto dell’audiovideo nel trovare un’intesa, che vada oltre la semplice legge contro la pirateria digitale. Il copyright è un valore importante da difendere, ma lo è anche la qualità dei prodotti e la libertà di accesso a questi, in ogni modalità di fruizione.

 

Sta alle associazioni di categoria e alle Istituzioni trovare il modo per garantire all’autore e al consumatore il ‘giusto prezzo’ per la fruizione di un contenuto, garantendo al mercato le risorse necessarie per investire in creatività e innovazione.

 

Ma, oltre alle aziende, sarà il consumatore finalmente pronto a questo salto culturale?

 

Il web è uno straordinario strumento di distribuzione dei contenuti – ha risposto Antonio Pilati dell’AgCom – ma non sembra che all’aumentare dei livelli di accesso alla rete da parte del pubblico, anche grazie al maggior numero di device a disposizione, anche la domanda di contenuti sia aumentata; determinando inoltre un’erosione di pubblico e risorse alle altre piattaforme di fruizione, grazie al persuasivo modello di consumo basato sulla gratuità“. “Questo stato di cose determina sofferenza nel mercato multimediale e audiovisivo italiano – ha spiegato Pilati – squilibrato per l’entrata di nuovi soggetti e piattaforme tecnologiche, che al momento squilibrano i rapporti di concorrenza tra player non rispettando a pieno le regole e spingendo questi ultimi alla ricerca di nuovi modelli di business in brevissimo tempo, esponendoli inoltre all’azione distruttiva dei pirati e dei criminali informatici“.

 

Per maggiori approfondimenti consulta le slides: 

La creazione di contenuti nel mercato italiano dei media. Televisione, Cinema, Videogiochi, Musica
Osservatorio IEM 2009

Il mercato dei videogiochi. L’industria in Italia, le tendenze, i nuovi modelli di business
di IEM – Fondazione Rosselli  

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