Telecom Italia: no a cambi piano industriale. Bernabè, sulla rete ‘L’agenda la fa il mercato, ma lo Stato è libero di prendere iniziative’

di Alessandra Talarico |

Sulla questione 'ultrabroadband' è intervenuto anche Paolo Bertoluzzo (Vodafone Italia), secondo cui, 'E' evidente che ci sarà bisogno di un'infrastruttura di nuova generazione e si deciderà in base alle risorse disponibili e alle risposte del mercato'.

Italia


Franco Bernabè

“Telecom Italia ha non solo la consapevolezza, ma la volontà di essere attore protagonista della crescita della banda larga in Italia. Abbiamo investito 18 miliardi di euro in 5 anni e non è accettabile dire che il gruppo non è in grado di fare investimenti”. L’amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè ha parlato così, questa mattina, a margine di una lectio magistralis alla facoltà di economia dell’Università La Sapienza di Roma.

Un intervento che ha toccato i punti caldi del dibattito che ruota attorno allo sviluppo della fibra ottica in Italia e, dunque, al futuro della rete di Telecom Italia e al suo piano industriale.

 

Su quest’ultimo fronte, ha affermato Bernabè, “non ci sono novità” in vista: gli obiettivi per il triennio 2009-2011 restano quelli presentati a fine 2008: proseguire nel miglioramento della dinamica di ricavi e margini e riprendere un percorso selettivo di crescita caratterizzato da una severa disciplina finanziaria del Gruppo Telecom Italia.

“E’ una cosa che si fa giorno per giorno – ha spiegato – noi il piano industriale che abbiamo presentato l’anno scorso non lo cambiamo di anno in anno. Facciamo degli stati di avanzamento”.

Nello specifico, nel piano industriale rientrano la riduzione dei costi per 2 miliardi di euro grazie a 7 progetti di trasformazione della società; un’ulteriore riduzione dell’organico in Italia (annunciati 4 mila nuovi licenziamenti oltre alla già prevista riduzione di 5 mila risorse entro il 2010) che porterà il numero totale dei dipendenti del gruppo dagli attuali 64 mila a circa 55 mila nel 2011, e la progressiva dismissione delle attività non core per un valore atteso fino a 3 miliardi di euro.

 

Telecom, ha dichiarato ancora Bernabè, “ha la forza economico-finanziaria per fare altri investimenti” e ha sviluppato “un’ampia serie di iniziative, proposte e progetti” che porterà avanti “in un’ottica di sistema informando e coinvolgendo sia le autorità sia le istituzioni sia gli altri attori del mercato”.

Oltre che a Roma e Milano, ha aggiunto, “…avvieremo la realizzazione della rete in fibra in altre città italiane in coerenza con le nostre scelte tecnologiche” e “offriremo agli altri operatori infrastrutture civili e fibre ottiche, come peraltro già previsto negli impegni sottoscritti da Telecom Italia”, nell’ambito di Open Access.

Deve essere infatti il mercato e nient’altro “a dettare l’agenda” sulla nuova rete di accesso ultrabroadband, in un contesto in cui le Autorità di regolazione, Agcom e Antitrust, “rivestano un ruolo fondamentale, poiché la concorrenza va mantenuta e sviluppata”.

 

“Faremo tutti i passi necessari secondo i criteri guidati dalla legislazione, secondo le regole dettate dalle autorità e secondo i principi cui ci ispiriamo, che sono i principi dettati dal mercato”, ha detto ancora Bernabè, sottolineando come in questo momento cruciale sia essenziale evitare di fissare degli obiettivi di primato tecnologico sganciati dal mercato.

Dal momento che nel nostro Paese, ha continuato l’ad, “…ci sono tanti soggetti e libertà d’impresa”, è giusto che vengano fatte “una pluralità di sperimentazioni, perché nessuno ha la ricetta giusta”.

 

Sull’ipotesi della creazione di una società della rete con una partecipazione pubblica, ha quindi aggiunto, “…per fortuna siamo in un Paese liberale dove non c’è una pianificazione centralizzata, c’è un’Autorità della Concorrenza e un sistema liberalizzazione delle telecomunicazioni. Se lo Stato vuol fare le iniziative, essendo uno dei soggetti che in una società liberale concorrono a determinare l’esito finale, prenda iniziative, faccia quello che deve fare. E’ liberissimo di farlo”.

 

“E’ ormai definitivamente superata la visione che vede all’interno di un Paese lo sviluppo del settore delle telecomunicazioni pianificato e gestito centralmente da un unico grande operatore nazionale, pubblico o privato, singolo o consortile. La concorrenza – ha aggiunto – è ormai una realtà conclamata ed in fase di ulteriore consolidamento”.

 

Qualsiasi sperimentazione, che includa la condivisione della rete con altri soggetti va però “attentamente verificata dall’Antitrust ancora prima che dall’Autorità’ per le garanzie nelle comunicazioni”

Questo perché, ha aggiunto, “…in un momento in cui la molteplicità delle reti è una ricchezza e non una penalizzazione, se questa molteplicità è guidata dal mercato, è chiaro che qualsiasi accordo tra operatori va attentamente valutato alla luce dell’impatto sulla concorrenza”.

 

In ultimo, Bernabè si è fermato anche sul ruolo del pubblico nello sviluppo della domanda e nella lotta contro il digital divide, due ulteriori fattori che frenano lo sviluppo delle telecomunicazioni di nuova generazione in Italia.

Lo Stato, oltre ad accelerare “la digitalizzazione e l’ammodernamento delle imprese e della PA”, dovrebbe intervenire nelle cosiddette aree a fallimento di mercato, dove gli operatori non investono perché non hanno certezza sul ritorno degli investimenti: “…un sistema affidato alle dinamiche di mercato è correttamente guidato dalla domanda e dal ritorno degli investimenti – ha spiegato Bernabè – ma inevitabilmente tende a creare il cosiddetto digital divide. Nell’era dell’accesso, la connessione alle reti è  pero un diritto che deve essere garantito a tutti e, di conseguenza, è necessario che la collettività si faccia carico di sostenere gli oneri per garantire l’universalità dell’accesso alle reti”.

 

L’importante, ha concluso Bernabè, è evitare di commettere gli stessi errori del recente passato, durante la bolla speculativa che ha portato a fallimenti catastrofici a causa dell’eccesso “di offerta di servizi e infrastrutture che ha comportato un’enorme distruzione di valore ed il fallimento di tante imprese”.

 

Anche l’amministratore delegato di Vodafone Italia, Paolo Bertoluzzo, ha sottolineato, a margine della presentazione del progetto Vodafone Village, che la mancanza di una rete ultrabroadband che supporti  i servizi di nuova generazione che saranno offerti sia dal settore pubblico sia da quello privato non è un’emergenza oggi ma lo sarà nel prossimo futuro: “…è evidente che ci sarà bisogno di un’infrastruttura di nuova generazione e in base alle risorse disponibili e alle risposte del mercato si deciderà come procedere”, ha affermato Bertoluzzo, sottolineando che il problema  “…va affrontato partendo dal centro del paese, ovvero dalle metropoli e dalle zone con alta densità di imprese”.

Per quanto riguarda invece la questione del digital divide, ha concluso l’ad di Vodafone Italia, “…la soluzione più efficiente cioè che garantisce, a parità di investimento, la resa migliore e su cui ha deciso di puntare Vodafone, è quella della banda larga mobile che con pochi milioni di investimento permette di coprire superfici molto ampie. Ogni mesi ci siamo presi l’impegno di coprire un Comune per dimostrare che è possibile farlo”.

 

Pubblico e privato, dunque, facciano sistema, prestando attenzione alle regole di mercato, alla concorrenza e, soprattutto, all’interesse, troppo spesso lasciato del tutto ai margini, dei cittadini-clienti di telecomunicazioni, gli unici a poter innescare, se messi nelle giuste condizioni, il circolo virtuoso che porterà il vero valore aggiunto per lo sviluppo socio economico del prossimo futuro.