XXI Seminario Bordoni: ICT e beni culturali. L’Italia alle prese con il suo ‘heritage’, tra grandi risorse e difficoltà a fare sistema

di Flavio Fabbri |

Italia


Fondazione Ugo Bordoni

L’impiego dell’informatica e dell’Information Communication Technology (ICT) nella tutela, valorizzazione e promozione dei beni Culturali in Italia sta crescendo al pari degli altri Paesi sviluppati. Grazie alle reti di telecomunicazione e alle tecnologie multimediali è emerso un nuovo modello di fruizione degli oggetti d’arte e dei siti che li ospitano, mediante lo sviluppo di percorsi di visita virtuali e interattivi, tesi a personalizzare l’elaborazione della conoscenza e l’approccio alle strutture museali. Il XXI appuntamento del ciclo dei Seminari Bordoni è stato dedicato alle nuove frontiere del “Reale e Virtuale: Nuove Tecnologie per i Beni Culturali“, organizzato dalla Fondazione Ugo Bordoni (FUB) e tenutosi a Roma il 24 novembre, con ospiti in rappresentanza delle istituzioni pubbliche, di enti privati, di centri di ricerca e provenienti da quei laboratori creativi fioriti di recente un po’ in tutta Italia, grazie alla diffusione dei dispositivi tecnologici e delle competenze necessarie per il oro utilizzo avanzato. Focus degli interventi è stato il rapporto virtuoso tra ICT e patrimonio culturale, il suo impatto sull’economia della conoscenza, sul pubblico dei musei e più in generale in tutte quelle strutture anche private che rendono fruibile l’arte e i suoi contenuti in tutto il paese.

 

Come ha ricordato Enrico Manca, presidente della Fondazione Ugo Bordoni: “La cultura è ormai un fattore di crescita economica riconosciuto e valorizzato in tutti i Paesi occidentali e non solo“. “Intesa anche – ha spiegato Manca – come risorsa dinamica per i mercati, come ricerca e come scienza. Uno strumento per la promozione di valore nelle economie post-industriali e della conoscenza“. Cultura intesa come ‘heritage‘, giacimento culturale da cui estrarre risorse nuove da investire per produrre valore reale nella filiera del turismo, da sempre strategica per il nostro paese e pari all’11,6% del Prodotto Interno Lordo (PIL). Occorre però investire e incentivare la ricerca, stabilendo un legame tra cultura e sviluppo economico, valorizzando i 44 siti classificati dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità e le oltre 4000 strutture museali disseminate su tutto il territorio italiano.

 

La scarsa concentrazione dei beni culturali – ha affermato Manca – è forse uno dei punti deboli del nostro immenso bacino artistico e le tecnologie possono in questo aiutarci, nella realizzazione di una rete di comunicazione per lo scambio di informazioni e contenuti, tale da spingere il visitatore e il turista del web 2.0 nei siti più esterni al circuito museale“. D’altronde la promozione dei beni culturali passa anche per una maggiore attenzione al territorio, alle sue bellezze paesaggistiche, all’Italian way of living che tanto ha fatto innamorare i primi viaggiatori inglesi e tedeschi, che poi le nostre bellezze hanno cantato in romanzi e racconti di grande diffusione sul finire del XVIII secolo. Oggi, a distanza di oltre due secoli abbiamo la possibilità, grazie all’iPhone, o a qualsiasi altro dispositivo mobile di nuova generazione, di interagire con le reti di comunicazione avanzate che stanno conquistando pezzo dopo pezzo città, paesi e campagne, luoghi ricchi di testimonianze storiche, artistiche e archeologiche. Avvicinando infatti uno di questi device ad un oggetto d’arte è già possibile, in diversi casi, uno scambio di informazioni corredato da video, fotografie, testi, contenuti audio, che meglio facilitano la fruizione dell’opera arricchendola di metadati e approfondendone la dimensione storico-culturale.

 

Quindi un utilizzo delle ICT non solo finalizzato alla conservazione del patrimonio sopra citato, ma anche ad una sua ulteriore valorizzazione in chiave di moltiplicazione delle opportunità di attrazione e di approfondimento del sapere e dei modi di interagire con esso. Il mondo delle imprese e dei servizi, le stesse Istituzioni Pubbliche, dovranno poi trovare il modo di intensificare gli sforzi in termini di caring del visitatore, di infrastrutture, di ricerca e di innovazione continua. Quindi tutto il panorama del ‘back end’, come lo ha definito Vittorio Trecordi del Politecnico di Milano e membro del Comitato Scientifico FUB, mediante il quale è possibile monitorare l’intero ciclo di vita delle nuove attività di tutela, diagnosi, analisi, comunicazione, formazione, fruizione di un’opera d’arte. “Un articolato ‘dietro le quinte’ – ha sottolineato Trecordi – necessario per potenziare e rendere efficiente il panorama delle biblioteche, degli archivi, dei musei, dell’amministrazione pubblica, degli eventi, delle manifestazioni che dall’arte e nell’arte prendono forma ogni giorno“. Luoghi di lavoro e di produzione di valore in cui il web acquista una nuova importanza nella riduzione delle distanze fisiche e nella sua natura di rete e di sistema, in cui gli enti dialogano e si scambiano informazioni. “Gli stessi utenti – ha continuato Trecordi – potranno arricchire un sito museale virtuale con nuovi contenuti, estendendo definizioni, condividendo esperienze, avendo a disposizione webware, collaborative workspace, siti di videocapture sharing, community tagging, geotagging, mashup applicato alla formazione, open educational resources e interazione avanzata“. L’ICT ha il compito di rendere possibile tutto questo, compreso l’accesso all’oggetto d’arte e alle strutture preposte alla sua fruizione nel modo più facile e veloce possibile, con tutta la galleria di applicazioni già disponibili sul mercato, supportate da piattaforme tecnologiche interoperabili e standardizzate che aumentano l’esperienza della realtà.

 

Ovviamente non dobbiamo dimenticare il digital divide, quel gap culturale che divide generazioni e porzioni di paese, impedendo ancora a tanti di accedere alle informazioni e agli strumenti di cui oggi la conoscenza si avvale nella sua diffusione sempre più frenetica e stratificata. Un fattore questo che, secondo Francesco Antinucci del CNR: “Ancora pesa nello sviluppo reale delle potenzialità insite nell’utilizzo della tecnologia per comunicare nel museo“. “Sono venti anni che si parla di sperimentazione e di nuovi modelli di fruizione delle opere d’arte custodite nei musei – ha affermato Antinucci – ma ancora non si riesce a trovare una strada sicura per la definitiva introduzione delle tecnologie della comunicazione all’interno di questi impianti“. La nostra rete museale soffre non solo di carenze strutturali, ma anche di una minacciosa forma di branding, che Antinucci ha identificato nel ‘brand name’, tale che solo i primi 5 musei assorbono il 40% del pubblico totale, “limitando pesantemente la diffusione delle informazioni ancora prima che della conoscenza e del sapere e lasciando vuote le rimanenti strutture sul territorio“. Come ha raccontato l’ingegnere del CNR, il fenomeno del brand name ritracciato nei musei è ben visibile nell’afflusso di turisti alle note località di Ercolano e Pompei, due siti gemelli per storia e ricchezza di reperti, ma con una differenza: “In tutto il mondo si conosce il nome di Pompei, chiunque viene a Napoli non può non visitarla, escludendo a priori di tornare a casa e raccontare di aver visitato solo Ercolano, una località ai più completamente sconosciuta“. Il web in questo può ancora una volta venirci in aiuto, permettendo una maggiore circolazione di informazioni, di notizie e di contenuti, mentre parallelamente enti pubblici e privati potrebbero dar vita a nuove strategie di marketing tese ad abbattere questo dannoso fenomeno, tipico della società del consumo e dalla cultura ‘mordi e fuggi’.

 

Aumentare le informazioni in circolo sarebbe di giovamento anche per la didattica e i progetti formativi che pure devono trovare spazio in questo nuovo orizzonte delle ICT applicate ai Beni Culturali. “L’uomo da sempre ha tentato, in ogni modo – ha raccontato Antonella Sbrilli dell’Università “ La Sapienza ” – di trasformare il sapere in conoscenza rendendolo mobile e portatile“. “Pensiamo ai libri e alla loro evoluzione come medium culturali, un oggetto che ha plasmato la nostra evoluzione sociale e di specie, direttamente legato allo sviluppo delle tecniche e delle tecnologie di riproduzione del sapere e della conoscenza“. Strumenti pensati e realizzati in definitiva, come ha spiegato la professoressa Sbrilli: “Per catturare e trattenere un’assenza“. Anche per questo sono nati i musei e strutture simili, luoghi in cui ‘trattenere’ il sapere sotto forma di oggetti, che la tecnologia può far tornare in vita trasfigurandoli in interfacce per la comunicazione con i visitatori, aprendosi all’esperienza dell’interazione, ai nuovi contenuti, allo scambio di questi con piattaforme RFID (Radio Frequency Identification). In molti vedono i tradizionali musei progressivamente trasformarsi in ‘nuvole semantiche’, virtualizzandosi in spazi sul web, facilitando l’accesso all’utente, favorendo lo scambio di contenuti audio-video e gli approfondimenti culturali dettati magari dal 3D e molto altro.

 

Esempi pratici sono stati portati da Cristina Delogu della FUB, con il progetto CHIP (Cultural Heritage Image Processing), in collaborazione con il Ministero dei Beni e le Attività Culturali – Sovrintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, per l’approfondimento di nuovi modelli di comunicazione in ambiente museale o sito archeologico, con cataloghi digitali, applicazioni multimediali interattive, applicazioni per palmari e smartphone, ricostruzioni virtuali e in 3D, giochi interattivi con fini didattici e formativi. Luogo prescelto per la sperimentazione è stato l’Aventino di Roma: “Un sito ricco di attrattive culturali e architettoniche – ha spiegato Delogu – famoso in tutto il mondo e che in occasione della Settimana dei Beni Culturali 2010 vedrà la presentazione della sua visita archeologica multimediale e interattiva, in una versione sperimentale, ma già aperta al pubblico munito di iPhone per la visualizzazione delle informazioni e dei contenti audio e video“.

 

Nella consueta Tavola rotonda pomeridiana, dedicata a “Visioni nell’antico nel contesto contemporaneo: risvolti tecnologici ed economici“, si è cercato di individuare in che modo arte e patrimonio culturale possano interagire con l’ICT e il mercato, favorendo la nascita di modelli di business e la creazione di nuova occupazione. Moderatore della tavola è stato Giordano Bruno Guerri della FUB, che ha richiamato l’attenzione anche sulle tecnologie per il Trattamento Automatico della Lingua in Italia (Forum TAL) e sul progetto Futurtal, il software installato a maggio su 7 totem con la funzione di Punti Informativi Multimediali e presentato in occasione dei festeggiamenti del centenario futurista. Anche questi strumenti tecnologici, pur se sperimentali, sono da considerarsi in grado di migliorare il rapporto tra utente e contenuti, tra turista e storia, tra visitatore e struttura, come nel caso del Vittoriale degli Italiani, di cui Guerri è Presidente e costituito da oltre 20 mila oggetti, raccolti nella splendida villa dal celebre scrittore Gabriele D’Annunzio: “Un’altra occasione per dimostrare quanto le tecnologie digitali siano oggi in grado di rifondere vita a tutti quegli oggetti chiusi in un museo e per loro destino ormai muti“. Una struttura, ci ha ricordato Guerri, visitata ogni anno da 50 mila studenti, visitatori speciali che per la loro dimestichezza con i dispositivi tecnologici di ultima generazione avrebbero sicuramente modo di interagire con questi oggetti, “invece di ricevere il solito ‘ormai inutile’ materiale cartaceo“.

 

Tra gli ospiti della Tavola rotonda ha trovato posto anche il regista Carlo Lizzani, che ha voluto portare la sua testimonianza di autore di contenuti audiovisivi alcuni dei quali dedicati al nostro grande patrimonio artistico, come nel caso della serie ‘Imago Urbis’. Una produzione nata dalla collaborazione con Giulio Carlo Argan e Paolo Portoghesi, che ormai da anni è stata abbandonata negli archivi della Rai e delle televisioni private, a testimonianza che di tentativi di far interagire tecnologia e arte ce ne sono stati davvero tanti negli ultimi venti anni, eppure: “Ciò che manca non è solo la domanda, bensì anche un’offerta di qualità nel panorama della fruizione dei Beni Culturali italiani. Se c’è quest’ultima, la prima viene di conseguenza“. “Un settore, quello dell’arte, della cultura e del turismo – ha aggiunto Patrizia Asproni di Confcultura – che messo insieme produce un valore pari al  12,7% del PIL, di cui il 34% deriva direttamente dal comparto della tutela, conservazione e riqualificazione del patrimonio culturale“. Un asset fondamentale per il paese, quindi, anche per nuove e più efficienti strategie di marketing territoriale, nella creazione di vantaggi competitivi, facilitando l’inserimento sul mercato di nuove realtà imprenditoriali col loro carico di innovazione tecnologica. Esempio ne è il consorzio Roma Wireless, di cui Paolo Celata è Presidente e cha nel suo intervento ha presentato come: “Piattaforma per un turismo di qualità, da cui poter valorizzare l’oggetto d’arte in maniera diversa, più profonda, ricca di informazione, di contenuti, di conoscenza“. C’è poi il progetto Wi-Move, che presto sbarcherà a Roma e in altre città  d’Italia, frutto di una rete Wi-Fi che avvolgerà i centri storici, le piazze, i parchi, i palazzi d’arte e i tram, questi ultimi solo nella capitale saranno quasi settanta, caso unico in Europa.

 

Un accenno poi è stato fatto anche alla possibilità di chiudere piazze storiche, monumenti e musei, appellandosi al numero chiuso, strumento estremo per la riqualificazione del pubblico che, secondo sia Celata, sia Asproni: “Ha ormai un atteggiamento verso i Beni Culturali tipicamente di massa e consumistico, facendo si che si entra in un museo come al fast food“. Ma a parte provocazioni e provvedimenti fuori misura, è certo che negli ultimi anni si è sempre più spesso avuto modo di notare una trasformazione antropologica del turista, da viaggiatore tardo-romantico a visitatore mordi e fuggi, consumatore di opere d’arte sempre troppo disattento e distratto, portatore di una conoscenza frammentata e nozionistica a  cu,i in qualche modo, bisognerà comunque porre rimedio.

 

L’innovazione tecnologica è certamente una strada da percorrere e da cui non si può più prescindere, come ha sostenuti anche Rosanna Frigeri della Sovrintendenza Archeologica di Roma: “Le immense possibilità dischiuse dal digitale e dal virtuale, applicati al patrimonio museale italiano sono una risorsa da saper sfruttare nel più breve tempo possibile, ma senza mai perdere di vista l’obiettivo primario, che è quello di rendere la fruizione dell’opera d’arte il più semplice ed esaustiva possibile. Ogni eccesso o spettacolarizzazione non farebbe altro che peggiorare l’attuale tendenza a confondere la conoscenza con il puro e sterile consumo delle informazioni“. Dall’intervento della Frigeri sono emerse poi altre considerazioni molto importanti, come la formazione del personale, le competenze necessarie per la gestione dei sistemi informatici e la responsabilità nella loro gestione.

 

 E di questi nuovi dispositivi multimediali e informatici ha portato esempi pratici Fabrizio Giacomelli di Media Voice, tra cui: il riconoscimento vocale automatico della voce, “strumento in grado di facilitare enormemente l’usabilità dei dispositivi tecnologici più avanzati“, gli ambienti Wi-Fi per la fruizione di contenuti multimediali abbinati ad un’opera, “di cui il Futurtal ne è stato prova alcuni mesi or sono“. Certo servono investimenti ragionati e un maggiore impegno delle istituzioni nel recuperare terreno nella competitività con gli altri Paesi europei. La Spagna , che ha la metà dei nostri posti letto a disposizione dei turisti e un numero inferiore di siti UNESCO, registra il doppio dei guadagni in termini di biglietti strappati e di servizi fruiti, a testimonianza della funzionalità di una rete centralizzata di siti, servizi e strutture per il caring turistico di cui noi ancora scarseggiamo. “Per ottenere questi risultati – ha commentato Gianni Orlandi dell’Università di Roma ‘ La Sapienza ‘ – serve l’apporto delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, unitamente a maggiori risorse finanziarie a disposizione delle imprese e degli enti pubblici, della ricerca universitaria e dell’innovazione“.  Possiamo aggiungere che anche le infrastrutture come la banda larga e le reti di nuova generazione potrebbero sicuramente dare un sensibile contributo al miglioramento dei livelli di competitività della nostra nascente economia della conoscenza, a cui Internet, pur con tutti i suoi limiti, ha dato il via negli ultimi anni.

 

Ma come si fa a parlare di interazione, economia della conoscenza e ambienti digitali se in Italia ancora poco meno del 50% delle persone non ha accesso alla rete?

 

Il digital divide, come anticipato, è ancora un problema lungi dall’esser risolto nel nostro paese, sia per la mancanza di programmi governativi dedicati, sia per la pigrizia culturale delle masse. “Si fa tanto uso di dispositivi tecnologici di largo consumo, ma ancora poca interazione – ha avuto modo di affermare Luigi Perissich di Confindustria Servizi Innovativi – a testimonianza che se non si fa formazione e non si favorisce l’inserimento di programmi didattici dedicati nelle scuole, davvero non potremmo mai chiudere i conti con questo gap cultural-tecnologico“. “L’innovazione stessa è ancora poco associata dalle imprese al business e alla produzione di ricchezza – ha continuato Perissich – mentre invece, come hanno imparato i nostri competitor asiatici, l’ICT permette di abbattere i costi e sviluppare new manufacturing in misura crescente, andando a recuperare anche 10 -15 miliardi, per un punto, un punto e mezzo del PIL“. Scelte importanti per il tessuto economico di un paese come il nostro, dove le piccole e medie imprese, che hanno caratterizzato l’economia della penisola negli ultimi trent’anni, necessitano di maggiori risposte in termini di investimenti e innovazione.

 

Come impiegare allora la tecnologia in tale contesto caratterizzato da scarsa conoscenza dei mezzi e limitatezza delle risorse finanziarie?

 

Secondo gli ospiti della tavola moderata da Guerri, gli sforzi maggiori vanno concentrati nella ricerca di una via italiana all’ICT applicata ai beni culturali, con lo sviluppo dei micropagamenti su rete mobile, la realizzazione di un corretto asset-management, una rinnovata partnership tra pubblico e privato, investimenti in strutture di accoglienza per il caring del turista, un atteggiamento diverso verso il viaggiatore tecnologico con l’offerta di una comunicazione specializzata in tool interattivi, servizi avanzati e forme di edutainment, con infine il ricorso alle tecnologie del virtuale e del 3D. D’altronde, come ha ricordato in conclusione di seminario il video-artista Stefano Scialotti di Artefacta – Dinamo Italia: “La tecnologia è l’ultimo dei nostri problemi, perché prima viene la ricerca di contenuti e percorsi che abbiano senso“. Alla tecnologia si può chiedere qualsiasi cosa, basta che si abbiano le idee chiare, ma per far questo servono risorse finanziarie e umane, competenze, creatività, voglia di rischiare e un paese che sappia fare sistema.

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