Privacy: la Ue contro la Gran Bretagna, ‘Non garantisce la riservatezza delle comunicazioni elettroniche’

di Alessandra Talarico |

Unione Europea


Privacy

La Commissione europea ha deciso di portare avanti il procedimento contro la Gran Bretagna , che non ha ancora trasposto nel diritto nazionale la normativa comunitaria sulla privacy – direttiva ePrivacy e  direttiva sulla protezione dei dati – in base alla quale i governi devono assicurare la riservatezza delle comunicazioni elettroniche dei cittadini, come le eMail o la navigazione su internet, vietandone l’intercettazione o la sorveglianza illegali senza il consenso degli utenti.

 

Bruxelles, non soddisfatta della risposta ricevuta alla lettera di costituzione in mora (la prima fase del procedimento di infrazione) inviata il 14 aprile 2009, ha quindi deciso di andare avanti per garantire il rispetto delle norme comunitarie, inviando al Regno Unito un parere motivato.

 

La Commissione ha espresso preoccupazione per diverse lacune riscontrate nelle norme vigenti nel Regno Unito a disciplina della riservatezza delle comunicazioni elettroniche, riferendosi, in particolare alla mancata istituzione di una autorità nazionale di sorveglianza preposta al controllo delle intercettazioni e all’accoglimento delle relative denunce da parte dei cittadini, come previsto dalle direttive ePrivacy e sulla protezione dei dati.

 

Secondo la Commissione, inoltre, la normativa britannica vigente (Regulation of Investigatory Powers Act 2000 – RIPA) non rispetta la legislazione comunitaria che definisce il consenso come una manifestazione di “volontà libera, specifica e informata”, consentendo l’intercettazione delle comunicazioni non solo quando gli interessati vi hanno consentito, ma anche quando chi esegue l’intercettazione ha “ragionevoli motivi di ritenere” che il consenso sia stato concesso.

“Le disposizioni britanniche che vietano e prevedono sanzioni per le intercettazioni illegali – nota quindi la Commissione – riguardano solo le intercettazioni “intenzionali”, mentre il diritto comunitario impone agli Stati membri di vietare e sanzionare tutte le intercettazioni illegali, indipendentemente dalla loro intenzionalità”.

 

Il procedimento si riferisce all’utilizzo sproporzionato della tecnologia di advertising comportamentale nota come Phorm da parte dei provider del Regno Unito.

La tecnologia si basa sull’analisi costante della navigazione internet al fine di determinare gli interessi degli utenti e realizzare annunci pubblicitari mirati ai loro gusti e ai loro interessi.

La tecnologia è utilizzata dall’operatore sudcoreano KT, mentre Virgin Media e Carphone Warehouse starebbero valutando la possibilità di lavorare col gruppo. British Telecom, invece, ha ammesso di aver usato Phorm in via sperimentale nel 2006 senza informare gli utenti, molti dei quali si sono poi rivolti alle Autorità, ma ha poi fatto marcia indietro, dichiarando di non avere piani immediati relativi all’utilizzo della tecnologia.

 

Da qui i diversi appelli della Commissione europea all’indirizzo delle autorità britanniche, per ricevere informazioni relative alle modalità di applicazione della normativa europea sulla privacy: a partire da luglio 2008 la Commissione ha scritto più volte alle autorità britanniche per chiedere informazioni in merito all’uso di Phorm, giungendo alla conclusione che le norme comunitarie in materia di riservatezza delle comunicazioni nel Regno Unito pongano “dei problemi strutturali”.

Per il Commissario Ue ai media e alla società dell’informazione Viviane Reding, il governo della gran Bretagna deve modificare le leggi nazionali sulla privacy per garantire ai cittadini di usufruire delle tutele previste dalle norme comunitarie.

“La privacy e l’integrità dei dati personali nel mondo digitale – ha affermato la Reding – non sono solo questioni importanti, bensì diritti umani tutelati dalle norme europee. Per questo la Commissione vigila per assicurare il rispetto delle norme comunitarie e dei diritti sanciti dall’Unione”.

 

Il Regno Unito ha ora altri due mesi per rispondere a questa seconda fase del procedimento di infrazione: se anche in questo caso la risposta non sarà ritenuta soddisfacente,  la Commissione potrà deferire la causa alla Corte di giustizia delle Comunità europee.

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